Definitiva la colpevolezza di un uomo, fermato dopo aver molestato una donna su un autobus. Inequivocabile la condotta da lui tenuta e catalogata come violenza sessuale. Irrilevante il richiamo difensivo al disturbo bipolare che affligge l’uomo.
Linea dura contro i molestatori che sfruttano gli spazi ristretti dei mezzi di trasporto pubblico per ottenere un contatto erotico con malcapitate passeggere. Esemplare la condanna definitiva nei confronti di un uomo – di origini campane, ma fermato in trasferta in Piemonte –, ritenuto colpevole di violenza sessuale per avere prima palpeggiato il sedere di una donna e poi per essersi strusciato su di lei. Respinta la linea difensiva, centrata su una presunta incapacità di intendere e di volere non sufficiente, a questo proposito, il richiamo a un “disturbo bipolare con attacchi di panico” certificato da un medico Cassazione, sentenza numero 38795, sezione terza penale, depositata oggi . Autobus. Ricostruito il brutto episodio, verificatosi alla fine del 2012 nella zona di Torino. L’uomo è stato fermato dalle forze dell’ordine, una volta sceso da un autobus, perché «a bordo del mezzo pubblico ha palpeggiato le natiche di una donna e ha strusciato le proprie parti intime contro le gambe e i glutei di lei», che ha raccontato tutto e ha sporto denuncia. Per i Giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, gli elementi probatori a disposizione sono sufficienti per arrivare a una pronuncia di condanna. In sostanza, l’uomo è ritenuto colpevole di «violenza sessuale» e punito con «tredici mesi e dieci giorni di reclusione». Secondo l’avvocato dell’uomo, però, la decisione è viziata da una lacuna, ossia la mancata valutazione della «incapacità di intendere e di volere» del suo cliente. A questo proposito il legale richiama non solo il «disturbo bipolare» del proprio cliente, ma anche il connesso «utilizzo di ansiolitici in modo pesante, tale da condurre ad una disinibizione comportamentale, come nel caso dell’assunzione di alcool». Per chiudere il cerchio del proprio ragionamento, infine, l’avvocato difensore mette sul tavolo anche le assurde «scelte economiche e imprenditoriali» compiute dal suo cliente, come ulteriore testimonianza della sua «incapacità». Sofferenza. La linea difensiva non convince però i Giudici della Cassazione, i quali confermano difatti la condanna dell’uomo, così come pronunciata in Corte d’appello. Secondo i magistrati non è in discussione il «disturbo bipolare» che affligge l’uomo, bensì le ripercussioni sulla sua «capacità di intendere e di volere». Ebbene, a questo proposito, i giudici osservano che «l’uomo, fermato dagli agenti, aveva accettato di rilasciare spontanee dichiarazioni e aveva raccontato i fatti in modo congruo e controllato dal punto di vista delle proprie emozioni, aggiungendo considerazioni che, da un lato, facevano pensare a comportamenti ripetuti – “osservo le ragazze e quando vedo qualcuna che mi piace, mi avvicino e cerco il contatto fisico” – e dall’altro ad una consapevolezza piena di questa compulsione – “ho dei problemi psichici e sento questo bisogno che non riesco a frenare, nonostante capisco sia sbagliato e non vorrei farlo” –». E sempre in questa ottica i giudici sottolineano che «lo psichiatra ha concluso che la documentazione presentata e l’anamnesi permettono di evidenziare una sofferenza psichica» ma non di «sostenere l’incapacità di intendere e di volere».
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 febbraio – 22 agosto 2018, numero 38795 Presidente Rosi – Relatore Macri Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 17.5.2017 la Corte d'appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città in data 5.12.2014 che aveva condannato Mi. Da. alla pena di anni 1, mesi 1, giorni 10 di reclusione, oltre spese e pene accessorie, sospensione delle pene per anni 5 e non menzione nel certificato del casellario giudiziale, per il reato di cui all'articolo 609-bis, ultimo comma, cod. penumero , perché, a bordo di un mezzo pubblico, aveva palpeggiato le natiche ed aveva strusciato le sue parti intime contro le gambe ed i glutei della persona offesa, in Torino il 4.12.2012. 2. Con un unico motivo di ricorso, l'imputato deduce la nullità e/o invalidità della sentenza per violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. c , d ed e , cod. proc. penumero , per lesione del suo diritto di difesa, a causa della revoca dell'ammissione dell'escussione dell'unico teste, indicato come persona informata delle condotte sulla sua vita privata, tenute nell'inverno 2012, e come illogica mancata rinnovazione della perizia sulla sua capacità d'intendere e di volere. Il perito aveva ritenuto l'assoluta rilevanza e necessità di acquisire informazioni e testimonianze sulle sue condizioni di salute psichica al momento dei fatti e nel periodo immediatamente precedente, perché, ammessa la validità del disturbo bipolare, sarebbe stato necessario appurare la sintomatologia presente al momento dei fatti, specie allorché lo stesso aveva riferito che, dopo la sospensione della terapia, aveva sperimentato sbalzi d'umore frequentissimi, risvegli notturni accompagnati da una tensione che lo spingeva a lunghi percorsi in auto, cefalea, vertigini, sensazione di svenimento. Di qui la necessità, in mancanza di documentazione, di verificare a mezzo testi le sue condizioni al momento del fatto. In particolare, il teste era stato chiamato a deporre sulle condotte tenute nella vita privata e nel campo imprenditoriale nell'inverno 2012 e tale prova, prima ammessa, era stata poi revocata con pregiudizio del suo diritto di difesa. Il perito aveva concluso che la mancanza di documentazione medica e di testimonianze certe aveva reso il suo racconto non verificabile. Precisa di aver dedotto il tema tra i motivi d'appello, segnalando specificamente a che tutte le prove richieste dal Pubblico ministero erano state ammesse e che, quando ancora non era stato revocato il mezzo di prova del teste a discarico, aveva prestato il consenso all'acquisizione dell'annotazione di Polizia giudiziaria del 4.12.2012, mai potendo immaginare che il Collegio avrebbe revocato l'ammissione dell'unico teste a conoscenza delle sue condotte b che il Giudice di prime cure si era limitato a ripetere quanto riferito nell'elaborato peritale, in buona parte fondato sulle sue spontanee dichiarazioni rese al momento del fatto, con la conseguenza che queste avevano fatto parte del compendio istruttorio, con violazione del divieto del loro utilizzo perché era ontologicamente contraddittorio ed impossibile trascrivere delle dichiarazioni spontanee in sentenza ed argomentare che non erano state usate a fini decisori con conseguente nullità della sentenza. Lamenta che, a fronte della specifica doglianza, la Corte territoriale aveva osservato che il nodo era la sua capacità d'intendere e di volere al momento del fatto e che condivideva la valutazione del perito nell'incidente probatorio, nel senso che la stessa non sarebbe stata inficiata anche qualora fosse stato provato che aveva fatto delle scelte economiche rovinose. Di qui la correttezza della decisione di revoca della prova testimoniale volta a provare la circostanza del compimento di scelte economiche rovinose. Argomenta che la Corte territoriale aveva travisato, almeno in parte, la circostanza capitolata nella propria lista testi e non aveva motivato sul fatto che il teste avrebbe dovuto riferire sulle condotte della vita privata tenute nell'inverno 2012. La Corte territoriale aveva quindi omesso la motivazione della revoca con riferimento alla parte della circostanza istruttoria relativa al capo d'imputazione ed alle condotte tenute nell'inverno 2012 aveva poi dichiarato di far proprie le motivazioni del perito, il quale però aveva evidenziato la necessità di conoscere i comportamenti tenuti in prossimità del 4.12, data in cui il fatto commesso poteva considerarsi un epifenomeno della malattia aveva omesso di considerare che il perito aveva dichiarato che se le scelte economiche rovinose fossero state provate con riferimento all'arco temporale prossimo al fatto, avrebbero influito sulla redazione del parere. In altri termini, l'imputato censura la decisione impugnata per travisamento della prova, sotto forma di contraddittorietà processuale, perché i Giudici avevano confermato la condanna sulla base di una perizia il cui contenuto era diverso da quello riportato in sentenza. Inoltre, il perito aveva dichiarato di essersi basato sul racconto che egli aveva reso e che non aveva avuto ad oggetto scelte economiche rovinose da cui la valutazione clinica che gli ipotetici episodi ipomaniacali non erano così gravi da determinare delle conseguenze nefaste, ma erano di natura modesta o moderata e non grave. In realtà, come evidenziato nell'atto d'appello, quando nell'aprile 2013 aveva comunicato al perito di avere un reddito soddisfacente, era in condizioni economiche talmente dissestate da non essere in grado di pagare il canone di locazione e di aver subito lo sfratto per morosità, come documentato in udienza. Peraltro, il perito era pervenuto ad una conclusione di tipo probabilistico dell'esclusione dell'episodio maniacale. La sentenza impugnata era illogica, perché, pur affermando di far proprie le argomentazioni del perito, aveva disatteso i suoi avvertimenti circa la necessità delle testimonianze relative alle sue condizioni nel periodo immediatamente precedente il fatto ed in quello successivo, inficiando i risultati della perizia. Solo dopo l'escussione del teste, i Giudici avrebbero potuto e dovuto motivare in ordine alla rinnovazione della perizia. Inoltre, la sentenza era illogica anche nel desumere la colpevolezza da altri elementi, quali il taglio della tasca interna dei pantaloni per praticare la masturbazione, il fatto che avesse tenuto tale comportamento nei confronti di un'altra donna, che era scesa dal mezzo, il fatto che avesse tenuto un comportamento remissivo, quando fermato dagli operanti. Ed invero, l'ultima circostanza non era vera perché si era affermato garante della sicurezza e pronto ad intervenire in caso di furto dei borseggiatori, quando non v'era alcun borseggiatore a bordo del mezzo le altre circostanze erano del tutto irrilevanti e basate su congetture. Sempre nell'atto d'appello si era lamentato del fatto che il perito ed il Giudice non avevano dato alcuna importanza all'uso degli ansiolitici, che il suo medico curante aveva testimoniato portasse sempre appresso come la coperta di Linus , di cui faceva un uso non appropriato secondo l'umore e l'ansia. Il perito aveva poi riferito che l'utilizzo di ansiolitici in modo pesante poteva condurre ad una disinibizione comportamentale, come nel caso dell'assunzione dell'alcool. Censura infine la sentenza, nella parte in cui aveva ritenuto corretta la diagnosi di disturbo bipolare, ma non aveva riconosciuto la fase di acuzie della patologia ed aveva impedito la relativa prova sul punto. Considerato in diritto 3. Incontestato il fatto ascritto, oggetto di censura sono la valutazione della perizia disposta dal Giudice per le indagini preliminari in sede di incidente probatorio sulla capacità d'intendere e di volere dell'imputato e la revoca del mezzo istruttorio, inizialmente ammesso, relativo alle sue condizioni psichiche al momento del fatto. In primo grado, i Giudici hanno sentito il medico curante dell'imputato ed esaminato documenti di natura sanitaria - accessi al pronto soccorso per crisi d'ansia ed attacchi di panico, visite mediche - e fiscale - esposizione debitoria, fatture d'acquisti per attività commerciali, operazioni speculative in borsa - per accertarne il disturbo bipolare con crisi maniacali. Il curante, sentito in dibattimento, aveva confermato di avergli diagnosticato nel 2009 un disturbo bipolare con attacchi di panico ed aveva evidenziato le oscillazioni della fase ipomaniacale, la prescrizione di farmaci stabilizzatori dell'umore e di ansiolitici, precisando al contempo l'incostanza del paziente nell'assunzione della terapia. Lo psichiatra nominato dal Giudice per le indagini preliminari aveva sostenuto - a seguito di un approfondito esame obbiettivo e della documentazione - che non v'erano sufficienti elementi per affermare l'incapacità d'intendere e di volere al momento del fatto. In particolare, aveva evidenziato che l'uomo, fermato dagli agenti, nell'immediatezza, aveva accettato di rilasciare spontanee dichiarazioni e raccontato i fatti con chiarezza ed in modo apparentemente congruo e controllato dal punto di vista delle proprie emozioni, aggiungendo considerazioni che, da un lato, facevano pensare a comportamenti ripetuti osservo le ragazze e quando vedo qualcuna che mi piace mi avvicino e cerco il contatto fisico , dall'altro, ad una consapevolezza piena di questa compulsione ho dei problemi psichici e sento questo bisogno che non riesco a frenare nonostante capisco sia sbagliato e non vorrei farlo . Lo psichiatra aveva concluso che la documentazione presentata e l'anamnesi permettevano di evidenziare una sofferenza psichica ma non di sostenere l'incapacità d'intendere e volere. Va fin d'ora osservato che le dichiarazioni rese dall'imputato all'operante non sono state utilizzate come elemento di prova contro di lui ma sono servite al perito, unitamente ad altri elementi, per ricostruire le sue condizioni fisio-psichiche. La Corte territoriale ha ritenuto corretta la revoca dell'esame del teste che avrebbe dovuto rendere dichiarazioni sulle scelte economiche rovinose compiute dall'imputato e con motivazione non illogica né contraddittoria ha osservato che il perito aveva tenuto in seria considerazione il parere del curante, spiegando il motivo per il quale gli episodi ipomaniacali non potevano essere ritenuti così clamorosi da escludere l'imputabilità e che, comunque, per le reazioni tenute era da escludere che ne fosse affetto la mattina dell'illecito, anche se successivamente il ricorrente aveva avuto a dichiarare che non si ricordava più nulla e che quel giorno si trovava in uno stato confusionale ed in preda all'ansia. Dalla motivazione delle due sentenze si evince che il teste della difesa, chiamato a riferire sulle condizioni di vita e sulle scelte economiche nell'inverno del 2012, non avrebbe potuto apportare alcun contributo decisivo alla valutazione della sussistenza della capacità d'intendere e volere dell'imputato al momento del fatto, che è stata invece desunta dallo psichiatra dal comportamento complessivamente tenuto anche con gli operanti. In particolare, è stato rilevato che aveva ricostruito con precisione i fatti e chiesto scusa, con la conseguenza che, se il descritto autocontrollo fosse derivato dall'abuso di ansiolitici, voleva dire che tali farmaci erano in grado di compensare anche il disturbo bipolare dell'umore. La Corte territoriale ha riposto con attenzione alle doglianze dell'imputato ed ha accolto le conclusioni del perito con motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria. Come spiegato da questa Corte con sentenza della Sez. 5, 7.10.2014, numero 6754, C, Rv. 262722, in tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica essa, infatti, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato. Analogamente, si veda Sez. 5, 13.2.2017, numero 18975, Cadore, Rv. 269909, secondo cui in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d'ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell'obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente conseguentemente, può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile in cassazione ai sensi dell'articolo 606, comma primo, lettera e , cod. proc. penumero , solo qualora risulti che queste ultime siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali recepite dal giudice. Il che non è nel caso di specie, in cui la Corte territoriale ha dimostrato di aver preso in considerazione tutti gli elementi, anche tecnici, a sua disposizione e di aver reso una motivazione razionale a sostegno della sua decisione. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.