L’obesità della donna non rende meno plausibile la violenza sessuale

Confermata la solidità dell’impianto accusatorio nei confronti di un uomo, che resta agli arresti domiciliari. Respinta la tesi difensiva del rapporto consensuale, tesi centrata sui chili in eccesso della donna.

Irrilevante il richiamo alla condizione fisica – cioè i tanti chili in eccesso – della donna vittima di violenza sessuale. Questo elemento non può rendere meno plausibile l’ipotesi dello stupro, anche se l’abuso si è realizzato nello spazio ristretto di un’automobile, e più precisamente sul sedile anteriore destro della vettura. Resta solido quindi il castello accusatorio nei confronti del presunto violentatore. Confermata perciò la misura adottata dal Gip e condivisa dal Tribunale del riesame, cioè gli arresti domiciliari Cassazione, sentenza numero 38746, sezione terza penale, depositata oggi . Le condizioni fisiche della donna. A essere messa in discussione dall’avvocato dell’uomo accusato di violenza sessuale è proprio la misura con cui i giudici hanno applicato gli «arresti domiciliari». Su questo punto l’obiettivo del legale è dare una lettura diversa della vicenda, presentando il rapporto tra il suo cliente e la donna come «consensuale». E in questa ottica vengono richiamati gli elementi posti in evidenza dal presunto stupratore, ossia «il fatto che la donna che pesa oltre 100 chili si è calata da sola i pantaloni per consentire all’uomo la congiunzione sul sedile anteriore destro dell’automobile la consulenza sullo schienale del sedile la prossimità a un campo sportivo, che avrebbe agevolato la donna nel chiedere aiuto la comunicazione tramite messaggio a un’amica della violenza sessuale». Questa visione non convince affatto i giudici della Cassazione, che difatti confermano gli «arresti domiciliari». Per i magistrati, in sostanza, il racconto fatto dalla donna è assolutamente plausibile, mentre non regge la versione dei fatti data dall’uomo. A questo proposito, viene osservato che «nessuna rilevanza può attribuirsi alla tesi difensiva secondo cui la violenza era meccanicamente impossibile per il peso della donna».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 luglio – 21 agosto 2018, numero 38746 Presidente Sarno – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 28.3.2018, il Tribunale del riesame di Roma ha confermato l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Tivoli in data 12.3.2018 che aveva applicato la misura degli arresti domiciliari a Mo. Al., indagato del reato di cui all'articolo 609-bis cod. penumero , perché, minacciando di morte la persona offesa, dandole un morso sul mento, successivamente bloccandola con il corpo e tenendole ferme le braccia, l'aveva denudata, costringendola a subire toccamenti degli organi sessuali ed un rapporto sessuale completo, in omissis . 2. Con il primo motivo, l'indagato deduce la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. c , perché i Giudici non avevano tenuto conto delle sue tesi difensive ed in particolare che il rapporto era stato consensuale. Erano emerse discrasie difficilmente superabili, perché non erano conciliabili con la violenza a il fatto che la donna si era calata da sola i pantaloni per consentire all'uomo la congiunzione sul sedile anteriore destro dell'automobile, considerato che ella pesava oltre 100 chili, b la consulenza sullo schienale del sedile, c la prossimità al campo sportivo che avrebbe agevolato la donna nel chiedere aiuto, d la comunicazione all'amica della violenza sessuale a mezzo sms. Inoltre, il Giudice non aveva verificato se vi fossero stati elementi a suo favore. Con il secondo motivo, denuncia la violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , in relazione all'articolo 274, lett. c , cod. proc. penumero Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. L'ordinanza impugnata - dopo aver ricostruito la vicenda in modo analitico ed indicato gli elementi di riscontro al narrato della persona offesa costituiti dalle dichiarazioni della cugina e dell'amica, nonché dagli sms che si era scambiata prima dell'incontro con l'indagato e subito dopo la violenza con la cugina - ha osservato che l'indagato non aveva offerto alcuna plausibile spiegazione sul presunto intento calunnioso della persona offesa. Nessuna rilevanza poteva poi attribuirsi alla tesi difensiva secondo cui la violenza era meccanicamente impossibile per il peso della persona offesa, giacché, ciò che era emerso dagli atti era stato un atteggiamento persistente e subdolo nei confronti della donna, dettagliatamente esaminato nel provvedimento impugnato. Quanto alla misura degli arresti domiciliari, il Tribunale ha congruamente motivato la sua appropriatezza, siccome l'indagato era anche evaso dagli arresti domiciliari, mostrando quindi un atteggiamento trasgressivo e inaffidabile. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, numero 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.