Confermata la condanna per la madre che ostacola gli incontri del minore con il padre

Le dichiarazioni rese dalla persona offesa, costituitasi parte civile, possono essere poste a fondamento della dichiarazione di colpevolezza anche in assenza di ulteriori riscontri estrinseci, previa verifica della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità del suo racconto. Viene dunque confermata la condanna di un'imputata, pronunciata dal giudice di merito sulla base del racconto di un padre che per circa un anno e mezzo non aveva potuto vedere il figlio a causa dei comportamenti ostruzionistici della donna.

Sul caso si è pronunciata la Suprema Corte con la sentenza n. 30608/18, depositata il 14 agosto. La vicenda. La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la condanna alla pena pecuniaria di euro 450,00 inflitta ad un’imputata per il reato di cui all’art. 388, comma 2, c.p. avendo ella eluso ripetutamente e per un periodo di circa un anno e mezzo il provvedimento con cui il giudice civile aveva regolato i diritti di visita e di incontro tra la persona offesa ed il figlio minore della coppia, affidato alla madre. La donna tenta inutilmente la strada del ricorso per cassazione che risulta però generico e manifestamente infondato. Comportamento ostativo della madre affidataria. La ricorrente ha dedotto violazione di legge in relazione alla dedotta improcedibilità dell’azione penale per mancata identificazione del querelante. Sul punto la giurisprudenza ha però pacificamente statuito che la mancata identificazione del soggetto che presentò querela non determina l’invalidità dell’atto laddove risulti con sicurezza la sua provenienza. L’autentica della sottoscrizione, precisa la Corte, è infatti necessaria solo nel caso di querela recapitata da un terzo incaricato o spedita per posta. Risulta ugualmente generica ed infondata la censura relativa al vizio di motivazione in relazione al giudizio di colpevolezza. Il giudice di merito ha infatti correttamente valorizzato le risultanze probatorie emerse sia dalle dichiarazioni della parte civile che del di lui fratello. Le dichiarazioni rese dalla persona offesa, costituitasi parte civile, possono infatti essere poste a fondamento della dichiarazione di colpevolezza anche da sole, in assenza di ulteriori riscontri estrinseci, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità del suo racconto. Accertamenti che la Corte territoriale ha adeguatamente posto in essere, riscontrando la corrispondenza delle dichiarazioni a quanto affermato dall’assistente sociale nel giudizio civile promosso dal padre per chiedere il rispetto delle proprie prerogative genitoriali, iniziativa a cui era stato costretto a fronte del comportamento ostruzionistico dell’odierna ricorrente. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 aprile – 14 agosto 2018, n. 38608 Presidente Rotundo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Catanzaro, ha confermato la condanna alla pena di Euro 450,00 di multa inflitta a S.D. con sentenza del 24 maggio 2013 del giudice monocratico del Tribunale di Cosenza, per il reato di cui all’art. 388, comma 2, cod. pen., dal maggio 2009 all’ottobre 2010. Ha confermato, altresì, le statuizioni civili in favore di V.M. , con danno da liquidarsi in separato giudizio. Dalla sentenza impugnata si evince che, alla stregua delle dichiarazioni rese da V.M. , dal fratello di questi, Giovanni e delle relazioni redatte dagli assistenti sociali - acquisite in atti con il consenso delle parti - era pienamente comprovata la persistente elusione, da parte della ricorrente, del provvedimento con il quale il giudice civile aveva regolato i diritti di visita e di incontro tra V.M. ed il figlio minore, affidato alla madre. 2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la ricorrente denuncia 2.1 violazione di legge, con riferimento agli artt. 125 e 337, n. 4 cod. proc. pen., per l’erroneo rigetto della eccezione di nullità proposta dall’imputata con riferimento alla querela in atti, con conseguente improcedibilità dell’azione penale per mancata identificazione del soggetto querelante 2.2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di colpevolezza perché fondato esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalla parte civile e dal fratello, smentite dai testi a discarico dalla documentazione in atti che comprova come il diritto di visita andasse esercitato presso gli uffici degli assistenti sociali e non presso il domicilio dell’imputata che, nel frattempo, dimorava in altra località e neppure nel domicilio dei genitori ove la parte civile si sarebbe recato per incontrare il figlio dal comportamento immaturo del V. , nei cui confronti è intervenuto anche un provvedimento giudiziario per il delitto di calunnia e per il reato di cui all’art. 570, cod. pen dalle certificazioni che giustificano il mancato esercizio di visita per malattia, della S. e/o del figlio. 3. In data 16 marzo 2018 la parte civile ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi generici e manifestamente infondati. 2. Fin dal giudizio di primo grado la ricorrente ha sollevato eccezione di nullità della querela sul rilievo che quella in atti non reca in allegato il verbale di ratifica, limitandosi a riportare il mero timbro di ricezione della Questura, senza la indicazione ed individuazione del soggetto che aveva provveduto al relativo deposito e in mancanza di qualsiasi autentica della sottoscrizione del querelante. Ha richiamato, al riguardo, sentenze di questa Corte, contraddittorie sul punto ed ha chiesto di rimettere la questione alle Sezioni Unite. L’eccezione e la coeva richiesta di rimessione sono manifestamente infondate in presenza di pacifica affermazione di questa Corte, richiamata anche dalla sentenza impugnata, nella quale si afferma che la mancata identificazione del soggetto che presenta la querela non determina l’invalidità dell’atto allorché ne risulti accertata la sicura provenienza Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, Cavalli, Rv. 255584 e che nel caso non è mai stata contestata, il ché vizia anche di genericità, come accennato, il predicato motivo di impugnazione. L’autentica della sottoscrizione è, in vero, richiesta solo nel caso in cui la querela sia recapitata da un incaricato o spedita per posta. 3. Il secondo motivo di ricorso è aspecifico e non si confronta con la motivazione della sentenza che ha puntualmente ricostruito la condotta della ricorrente sulla scorta delle relazioni delle assistenti sociali - in particolare quella della dottoressa Sp. -, elementi con i quali il ricorso non si confronta limitandosi a richiamare le dichiarazioni della parte civile e dal fratello, apoditticamente da ritenersi non attendibili per la loro provenienza da persona interessata o immatura. 4. Per pacifica giurisprudenza di questa Corte, le dichiarazioni rese dalla persona offesa, costituita parte civile, possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep.2015, Pirajno e altro, Rv. 261730 . 5. Rileva il Collegio che, nel caso in esame, non solo la Corte di merito ha compiuto un’attenta disamina delle dichiarazioni rese dalla parte civile, evidenziando come sia stata costretta ad agire in giudizio, in sede civile, per chiedere il rispetto delle proprie prerogative genitoriali, ma ne ha indicato un preciso riscontro - non sospettabile di genuinità e attendibilità - nelle dichiarazioni rese dall’assistente sociale. Costei ha descritto un comportamento della ricorrente, ripetutamente e ingiustificatamente assente agli incontri e autrice di altri comportamenti, tra i quali quello di volere essere presente agli incontri o di arbitrarie interruzioni, che hanno costituito oggetto di specifica disamina dei giudici territoriali, del tutto genericamente contrastati in ricorso, e pacificamente sussumibili nella condotta elusiva, di cui all’art. 388 cod. pen. che si concretizza in qualunque comportamento, anche omissivo, da cui derivi la frustrazione delle legittime pretese altrui Sez. 6, n. 43292 del 09/10/2013, Guastafierro, Rv. 25745001 e, nel caso aggravata, con evidente finalità ostruzionistica, dalla reiterazione e protrazione nel tempo delle oppositive condotte tenute dall’imputata, anche rispetto alle indicazioni rivenienti dai mediatori preposti ad assicurare il diritto di incontro del genitore con il figlio minore. 6. Consegue alla inammissibilità del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, come indicata in dispositivo, in ragione della ravvisabilità di colpa nella proposizione dell’impugnazione. Segue, in ragione della soccombenza processuale, la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, liquidate in Euro tremilacinquecento, oltre accessori avuto riguardo all’attività processuale svolta e dei parametri di cui al decreto ministeriale n. 55 del 2014. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende nonché al pagamento delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile V.M. , liquidate in Euro 3.500,00, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.