Condannato anni prima: minacce e stalking alla moglie separata riqualificati come maltrattamenti

Legittima la rideterminazione della sanzione e la revoca della sospensione condizionale della pena. Corretta, secondo i Giudici, la lettura dei comportamenti tenuti dall’uomo egli ha proseguito, in sostanza, nelle condotte violente nei confronti della donna, condotte che gli erano valse già una condanna irrevocabile.

Finito sotto processo per minacce e stalking ai danni della moglie separata, i suoi comportamenti vengono riletti come maltrattamenti in famiglia. Decisiva anche la presa d’atto di una precedente definitiva sentenza a suo carico, sempre per i comportamenti violenti da lui tenuti nei confronti della donna Cassazione, sentenza numero 37592, sezione sesta penale, depositata oggi . Il dolo. L’ultimo passaggio giudiziario è in Corte d’Appello, dove, a dicembre del 2017, l’uomo viene condannato per maltrattamenti in famiglia , alla luce delle condotte nei confronti della moglie separata e ritenendo logica la continuazione con i delitti certificati da una precedente sentenza irrevocabile di condanna – datata novembre 2015 – per i maltrattamenti realizzati sulla donna. Consequenziale è la rideterminazione della punizione, con annessa revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena. Nessun dubbio, in sostanza, sul fatto che l’uomo, spesso sotto l’effetto della droga, abbia proseguito da dicembre 2015 nell’assumere abitualmente comportamenti di denigrazione, aggressione, ingiuria, persecuzione, molestia e minacce nei confronti della moglie separata, anche alla presenza dei figli minori, esponendola abitualmente ad una serie di atti lesivi della sua integrità fisica e morale, tanto da provocare in lei un grave stato di ansia e di paura, anche per l’incolumità dei figli . Ebbene, per i Giudici d’appello e ora per i magistrati di Cassazione, è legittimo parlare di unicità del disegno criminoso e di continui nel tempo maltrattamenti in famiglia , essendo irrilevante il fatto che la convivenza tra i coniugi sia venuta meno dopo la sentenza del novembre del 2015 , poiché l’uomo ha mantenuto con la donna una stabile relazione dipendente dai doveri connessi alla filiazione . Legittima, quindi, la diversa qualificazione giuridica dei fatti , originariamente inquadrati come minacce e stalking . Ciò perché, secondo i giudici, è evidente il dolo nei comportamenti dell’uomo, certificato dalla consapevolezza di persistere in un’attività delittuosa già posta in essere in precedenza .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 26 giugno – 2 agosto 2018, n. 37592 Presidente Petitti – Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Salerno riformava parzialmente la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva condannato Fi. Ca. per i reati di cui agli artt. 612-bis e 612 cod. pen. capo A , 81 e 614 cod. pen. capo B , 81 e 582, 585, 576 cod. pen. capo C , ed in particolare riqualificava i fatti di cui al capo A nel reato di cui all'art. 572 cod. pen. e, ritenuta la continuazione con i delitti di cui alla sentenza irrevocabile del 16 novembre 2015, riterminava la pena, revocando il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso con la predetta sentenza irrevocabile. Al capo A era stato contestato all'imputato di aver, già condannato nell'ambito del procedimento 13849/2014-21, con sentenza irrevocabile del 16 novembre 2015, per il reato di maltrattamenti in famiglia e lesioni aggravate commesse ai danni della moglie separata Ma. Ro. La., proseguito nell'assumere abitualmente comportamenti di denigrazione, aggressione, ingiuria, persecuzione, molestia e minacce nei confronti della persona offesa, meglio descritti nel capo di imputazione, anche alla presenza dei figli minori affidati alla suddetta, esponendola abitualmente ad una serie di atti lesivi della sua integrità fisica e morale, tanto da provocare nella vittima un grave stato di ansia e di paura, anche per la sua incolumità e dei figli dal novembre 2015 ad oggi con condotta perdurante . Secondo il primo giudice, la condotta dell'imputato, consistita in episodi seriali, aveva indotto la persona offesa a vivere in un perenne stato di ansia e a mutare le proprie abitudini di vita pur di sottrarsi all'assillo persecutorio e al timore di essere vittima di azioni irrimediabilmente lesive ad opera del predetto, che spesso in stato di alterazione per uso di sostanze stupefacenti e nonostante la sentenza di condanna e l'applicazione di misure detentive, non riusciva a frenare la propria indole violenta in ambito familiare e in particolare nei confronti della ex moglie. In sede di appello, l'imputato aveva invocato l'applicazione della continuazione con il delitto per il quale era stato condannato con sentenza del 16 novembre 2015, sul rilievo dell'omogeneità dei delitti, oggetto dei due provvedimenti di condanna. Secondo l'appellante, la quasi totale sovrapponibilità dei capi di imputazione contestati in entrambe le vicende giudiziarie evidenziava da un lato la commissione di delitti della stessa indole comprovato dal carattere perdurante delle condotte criminose già sanzionate, in quanto venivano nuovamente posti in essere dall'imputato comportamenti analoghi e dall'altro la previsione di un programma criminoso unitario nelle intenzioni dell'agente l'ostinazione e la perseveranza con la quale aveva agito l'imputato costituivano chiara espressione di un'unica previsione criminosa delineata nei suoi tratti ab origine e finalizzata a conseguire un fine determinato . Aveva altresì al riguardo rilevato di aver ripreso già nel 2015 ad attuare i propri propositi criminosi nei confronti della ex moglie e che risultava provata l'originaria ideazione criminosa e la determinazione volitiva dell'imputato. La Corte di appello ravvisava, come richiesto dall'imputato, la unicità del disegno criminoso, dopo aver inquadrato i fatti di cui al capo A nel reato di cui all'art. 572 cod. pen., ritenendo elemento non richiesto da quest'ultima norma quello della convivenza tra coniugi venuta meno tra i coniugi dopo la precedente sentenza del 2015 , qualora l'agente come nella specie avesse mantenuto con la vittima una stabile relazione dipendente dai doveri connessi alla filiazione. 2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Vizio di motivazione e violazione di legge artt. 572 cod. pen. e 597 cod. proc. pen. . La sentenza sarebbe inficiata dalla violazione del divieto della reformatio in peius, dalla errata applicazione dell'art. 572 cod. pen. e dalla mancanza di motivazione. La Corte di appello, con atto a sorpresa e con pregiudizio per la difesa, avrebbe diversamente qualificato il fatto contestato nel capo A nel delitto di cui all'art. 572 cod. pen. rispetto alla più lieve fattispecie penale degli atti persecutori per la quale era intervenuta condanna in primo grado e sulla quale si era concentrata la difesa del ricorrente. La diversa qualificazione avrebbe compromesso la garanzia del contraddittorio e avrebbe precluso ogni tipo di scelta difensiva sia in relazione alle forme di definizione del procedimento sia al diritto di ammissione delle prove. La sentenza mancherebbe inoltre del tutto della motivazione in ordine all'elemento soggettivo tipico del reato di maltrattamenti in famiglia - per il quale è necessario che i plurimi atti siano collegati tra loro da un nesso di abitualità e siano avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa. La Corte di appello si sarebbe invero limitata a richiamare un arresto giurisprudenziale senza però specificare perché nel caso concreto fosse ravvisabile il diverso delitto di cui all'art. 572 cod. pen. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate. 2. E' stato più volte ribadito che non sussiste la violazione del divieto di reformatio in peius qualora, ancorché sia proposta impugnazione da parte del solo imputato, il giudice di appello, senza aggravare la pena inflitta, attribuisca al fatto una diversa e più grave qualificazione giuridica tra tante, Sez. 2, n. 27460 del 13/06/2014, Manzo, Rv. 259567 . La previsione dell'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. consente invero al giudice di appello di dare al fatto una definizione giuridica più grave, sia pure entro i limiti fissati dal citato art. 597, comma 1, cod. proc. pen. Tali limiti discendono dal principio devolutivo, in base al quale l'appello attribuisce al giudice la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti. Questa Corte ha quindi chiarito che la disposizione di cui all'art. 597, comma 1, cod. proc. pen. attribuisce al giudice di appello gli stessi poteri del primo giudice, con la conseguenza che questi - fermo il limite rappresentato dal divieto di reformatio in peius - ben può accogliere o rigettare il gravame anche in base ad argomentazioni proprie o diverse da quelle dell'appellante Sez. 6, n. 40625 del 08/10/2009, B, Rv. 245288 Sez. 4, n. 15461 del 14/1/2003, Williams, Rv. 227783 . 3. Neppure possono dirsi violati il contraddittorio e le garanzie di difesa, posto che, come più volte affermato da questa Corte regolatrice, qualora il fatto venga diversamente qualificato dal giudice di appello senza che l'imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio - prevista dall'art. 111 Cost. e dall'art. 6 CEDU, così come interpretato dalla Corte EDU - resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa definizione normativa mediante il ricorso per cassazione, a seguito del quale la Corte di legittimità può pronunciarsi in via definitiva sulla questione, salvo che risulti necessario assumere e valutare nuove prove vertenti su fatti in grado di rendere priva di fondamento la diversa qualificazione giuridica, nel qual caso è tenuta ad annullare la sentenza con rinvio al giudice di merito per un nuovo giudizio sul punto tra tante, Sez. 2, n. 46401 del 09/10/2014, Destri, Rv. 261047 . Si è ancora affermato che non v'è lesione del diritto di difesa ne' della regola del contraddittorio, qualora la nuova qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile ex multis, Sez. 6, n. 11956 del 15/02/2017, B., Rv. 269655 Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013, dep. 2014, Cavallari, Rv. 258941 . Alla stregua dei principi sopra richiamati, la censura in esame risulta palesemente infondata, perché la nuova definizione giuridica dei fatti contestati costituiva un epilogo del giudizio assolutamente prevedibile dalle parti, tanto è vero che nell'appello l'imputato aveva, come in sintesi esposto in premessa, argomentato l'unicità del disegno criminoso, valorizzando la sovrapponibilità delle condotte oggetto dei separati giudizi. Quanto all'adeguatezza della possibilità di esercitare la difesa nel giudizio di cassazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, va osservato che la questione in concreto posta dal ricorrente non tocca l'essenza contenutistica della imputazione e la ricostruzione dei fatti, fissata nei precedenti gradi di giudizio. Né, d'altra parte, il ricorrente si è lamentato di non aver potuto chiedere l'ammissione di nuovi elementi di prova funzionali ad una diversa qualificazione giuridica, per esso più favorevole il che avrebbe potuto determinare la necessità di restituire le parti dinanzi ai giudici di merito . 4. E' infondata in modo manifesto anche l'ultima censura relativa alla mancanza di motivazione sull'elemento soggettivo. Nell'appello, l'imputato aveva ampiamente evidenziato come risultasse provata la previsione di un programma criminoso unitario nelle intenzioni dell'agente l'ostinazione e la perseveranza con la quale aveva agito l'imputato costituivano, secondo l'appellante, chiara espressione di un'unica previsione criminosa delineata nei suoi tratti ab origine e finalizzata a conseguire un fine determinato . Ed è proprio su questa ricostruzione sollecitata dallo stesso imputato che la Corte di appello ha ravvisato l'unicità del disegno criminoso, che presuppone che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, così escludendo che i successivi reati risultino frutto di determinazione estemporanea Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074 . In tal modo, la Corte di appello aveva fornito una più ampia dimostrazione del dolo richiesto dall'art. 572 cod. pen., che - a differenza che nel reato continuato - non richiede la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, sia finalizzata, essendo invece sufficiente la consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice Sez. 6, n. 15146 del 19/03/2014, D'A, Rv. 259677 . 5. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della cassa delle ammende della somma a titolo di sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 2.000. Consegue, ancora, la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado a favore della parte civile costituita, liquidate come indicato nel dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile La. Ma. Ro., che liquida in complessivi Euro 2.550, oltre IVA, spese generali nella misura del 15% e CPA.