Prende di petto il controllore: condannato

Vicenda singolare in una stazione lo scontro ha visto coinvolti un agente della Polizia ferroviaria e un addetto alla verifica dei biglietti. Decisiva per la condanna la valutazione del comportamento tenuto dall’agente, che, sfruttando la propria stazza, ha spinto col fisico il controllore, facendolo finire a terra.

Prendere di petto il controllore vale una condanna per resistenza a pubblico ufficiale”. A metterlo per iscritto sono i giudici del ‘Palazzaccio’, che hanno chiuso così il contenzioso tra un agente della Polizia ferroviaria e un addetto al ‘controllo biglietti’ di Trenitalia, contenzioso nato da un ‘tete-a-tete’ chiuso da una caduta Cassazione, sentenza n. 35445/18, sez. II Penale, depositata oggi . Controllo. Scenario della vicenda una stazione ferroviaria, ovviamente. Lì, un uomo – lo chiameremo Luca – supera i varchi di controllo, non mostrando però il previsto titolo di viaggio, e questo comportamento causa l’intervento del controllore – lo chiameremo Davide –, che lo ferma, pretendendo l’esibizione del biglietto. A rendere ancora più teso lo scontro, poi, il fatto che l’uomo fermato sia un agente della Polizia ferroviaria. Questo dettaglio però è irrilevante per Davide, che continua a chiedere lumi a Luca, che, a sua volta, reagisce in malo modo, di fisico, spintonando il controllore. Lo scontro diventa fisico e la differenza di stazza – a favore di Luca – provoca il capitombolo di Davide, che finisce a terra, riportando qualche escoriazione e una ferita all’orgoglio. Passaggi successivi sono la denuncia presentata dal controllore e il processo a carico dell’agente di Polizia ferroviaria, che ora, dopo una lunga battaglia legale, cominciata oltre cinque anni fa, si ritrova condannato a quattro mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale . Forza. Dai Giudici della Cassazione, difatti, arriva una conferma della visione adottata prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, visione che aveva ritenuto evidente la colpa del poliziotto ferroviario. In premessa viene ricordato che Davide è da considerare almeno un incaricato di pubblico servizio, addetto in concreto al disbrigo ai varchi delle funzioni di controlleria, nel quadro del servizio di protezione aziendale, che è direttamente funzionale alla sicurezza dell’infrastruttura, oltre che della regolarità del servizio ferroviario . Di conseguenza, è logica la lettura che va data all’atteggiamento tenuto da Luca, che si è opposto fisicamente all’attività di controllo svolta da Davide a questo proposito, i giudici evidenziano che, sebbene il poliziotto non abbia utilizzato le mani per spingere il controllore, ma lo abbia spinto con il proprio corpo andandogli contro , non si può parlare di mera resistenza passiva , trovandosi di fronte al dispiego di una forza diretta a neutralizzare intenzionalmente l’azione del controllore . Inevitabile perciò la condanna di Luca per il reato di resistenza a pubblico ufficiale .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 26 giugno – 25 luglio 2018, n. 35445 Presidente Prestipino – Relatore Di Pisa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 20/2/2015 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma di quella pronunciata dal Tribunale di Napoli in data 9/12/2013 nei confronti di PO. Le., riteneva assorbito il reato di cui al capo B , riqualificato ai sensi dell'art. 581 cod. pen., nel delitto di resistenza sub A e concesse le circostanze attenuanti generiche rideterminava la pena. 1.1. A seguito di ricorso dell'imputato la Corte di Cassazione con sentenza n. 35669/2017 del 06/06/2017 annullava con rinvio la sentenza impugnata. Premesso che i giudici di appello avevano sottolineato che, secondo la ricostruzione consentita dalle testimonianze acquisite, era da ritenersi accertato che il Po. aveva oltrepassato il varco, rifiutandosi di esibire al C. il titolo di viaggio e di giustificare il proprio comportamento, dopo di che il C. lo aveva inseguito e si era posto dinanzi a lui, che, continuando a procedere, lo aveva fatto cadere a terra, ha precisato che dalla testimonianza di Iu. Er. era emerso che il Po. non aveva spinto con le braccia ma aveva urtato col proprio corpo quello del C., che era di corporatura meno robusta e che nel caso di specie era stata ravvisata l'ipotesi della resistenza non in ragione di una semplice condotta di rifiuto o di resistenza passiva, bensì in ragione di uno spintonamento. Ha, quindi, evidenziato che risultava in tale ottica evidente la carenza di motivazione sul punto giacché era mancata una puntuale analisi della condotta di spintonamento e del suo concreto significato nello specifico contesto dell'azione, sia sotto il profilo oggettivo dell'esplicazione di una forza preponderante di tipo oppositivo, diversa dal semplice insistere in un'azione passiva di rifiuto, sia sotto quello soggettivo della specifica finalizzazione di quella condotta ad impedire il legittimo compimento dell'atto inerente al servizio, in luogo di una non volontaria interferenza di direzione, associata alla diversa conformazione fisica e al conseguente impatto sul controllore . 1.2. La Corte di Appello, pronunziando in sede di rinvio, in parziale riforma di quella pronunciata dal Tribunale di Napoli in data 9/12/2013 nei confronti di PO. Le., riteneva assorbito il reato di cui al capo B , riqualificato ai sensi dell'art. 581 cod. pen., nel delitto di resistenza sub A e concesse le attenuanti generiche rideterminava la pena. Le rilevare che sia il C. che i colleghi Monopoli e Iu. avevano riferito in dibattimento che il Po. spingeva con il corpo il controllore C., facendolo cadere a terra non senza precisare che il Po. aveva una stazza fisica imponente rispetto a quella della p.o. ha precisato che la condotta in questione integrava gli estremi del reato di resistenza a pubblico ufficiale sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo in quanto il contesto complessivo dell' azione consentiva di desumere che l’ urto del corpo del C. da parte del PO. non era stato accidentale né frutto della repentinità dell' azione del C. nel pararsi dinanzi al PO. né ancora conseguenza di una mera azione passiva di rifiuto ma una azione intenzionalmente diretta mediante esplicazione di energia fisica ad impedire lo svolgimento del controllo da parte dell' incaricato di pubblico servizio. 2. Contro detta pronunzia propone ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato formulando tre motivi a. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 192, 530, 546, 627 cod. proc. pen. nonché 337 cod. pen. Lamenta che la corte territoriale aveva disatteso il dictum del Supremo Collegio ed, in particolare, aveva omesso di valutare adeguatamente il contenuto della deposizione del teste Iu. attribuendo alla stessa un valore probatorio diverso da quello posseduto. Assume che la corte territoriale non aveva considerato che dall' effettivo contenuto della deposizione del teste Iu. era univocamente emerso che il C. era caduto per terra solo ed esclusivamente in ragione della differenza di stazza corporea, sicché era stata disattesa la pronunzia della Cassazione la quale aveva evidenziato che dalla ricostruzione probatoria era emerso l’ assenza di spintonamento/impiego di forza attiva. Osserva che era evidente il deficit di motivazione in punto di verifica della sussistenza del dolo specifico di cui all' art. 337 cod. pen. b. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 516,521,522 cod. proc. pen. nonché 337 cod. pen. Deduce che dal corpo della motivazione risultava evidente come non poteva ritenersi dimostrata la realizzazione della condotta cristallizzata nel capo di imputazione dove di parlava di una colluttazione con il controllore ferroviario c. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 192,530,546, 627 cod. proc. pen. nonché 337 cod. pen. Osserva che, come dedotto nei motivi di appello, non poteva ritenersi integrata la condotta di cui all' art. 337 cod. pen. in quanto l’ imputato si era limitato a non fermarsi e la caduta del C. era stata provocata unicamente dalla differenza di stazza con il PO. il quale a fronte della condotta della p.o., che si era parata dinanzi a lui, si era limitato a proseguire il suo cammino, non potendosi parlare né di corsa né di fuga. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile stante la manifesta infondatezza delle censure formulate. Occorre premettere che il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Né, la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214 . In tema di sindacato del vizio di motivazione non è certo compito del giudice di legittimità quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito nè quello di rileggere gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito quando, come nella specie, l'obbligo di motivazione è stato esaustivamente soddisfatto dal giudice di merito, con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall'istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti dai quali è stato tratto il proprio convincimento, la decisione non è censurabile in sede di legittimità. 3.1. Va, ancora, rilevato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema. Si è in particolare osservato che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 - dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201 . Deve, inoltre, essere ricordato che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni dei suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià ed altri, Rv. 254107 . 4. Nella specie la sentenza in questione ha evidenziato che andava confermata la ricostruzione dei giudici di primo grado in quanto erano emersi elementi univoci, sulla scorta di quanto riferito dal C. nonché dai testi escussi, idonei a confermare che il PO. aveva posto in essere una condotta intenzionalmente diretta, mediante esplicazione di energia fisica, ad impedire lo svolgimento del controllo da parte dell' incaricato del pubblico servizio. La corte territoriale con motivazione logica, adeguata e saldamente ancorata alle risultanze istruttorie ha, in particolare, evidenziato che la volontà dell'imputato di opporsi all' attività di controllo legittimamente svolta dall' incaricato di pubblico servizio, emerge con evidenza dalla condotta tenuta dal Po. sin dalla prima fase della vicenda allorquando l’ imputato ha superato il varco di controllo senza fermarsi per poi ribadire al controllore che lo seguiva che non poteva impedirgli di passare perché stava camminando sul suolo pubblico. Tutto ciò consente serenamente di affermare che sebbene il Po. non abbia utilizzato le mani per spingere il C. ma lo abbia spinto con il proprio corpo andandogli contro in tale condotta sia ravvisabile non una mera resistenza passiva ma il dispiego di forza diretta a neutralizzare intenzionalmente l’ azione del controllore, come tale rientrante nel paradigma normativo di cui all' art. 337 c.p. Si tratta, dunque, di motivazione congrua e corretta, del tutto coerente con gli evidenziati elementi fattuali e rispettosa del dictum della Cassazione, sicché le censure formulate con tutti e tre motivi di impugnazione sopra indicati, di mero fatto, devono essere ritenute inammissibili in quanto surrettiziamente tese ad ottenere una nuova rivalutazione del merito. 5. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila. Il ricorrente va, pure, condannato al pagamento delle spese del grado liquidate in favore della parte civile El. Ru., quale erede della persona offesa Ed. Ca., in Euro 3.510,00 oltre spese forfetarie nella misura del 15%, CPA ed IVA. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende. Condanna, altresì, il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo grado da El. Ru. quale erede di Ed. Ca. che liquida in Euro 3.510,00 oltre spese forfetarie nella misura del 15%, CPA ed IVA.