Dalla Cina con furore: denuncia la scomparsa della carta d'identitá... a chi gliel'ha ritirata

Il reato di cui all'art. 483 c.p., si configura nelle ipotesi di falsa denuncia di smarrimento della carta d'identità. Quello di presentare denuncia costituisce un obbligo, poiché la stessa costituisce il presupposto dell'attivazione del procedimento amministrativo. Il delitto non implica il dolo specifico.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33848/18, depositata il 19 luglio. Il caso. La Corte d'Appello, confermando la statuizione di prime cure, condannava un'imputata per il reato di cui all'art. 483 c.p. falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico . In particolare, alla donna veniva rimproverato di aver denunciato la scomparsa del proprio documento d'identità, nonostante le fosse stato ritirato dalla Polizia di Stato. La stessa ricorreva per cassazione, lamentando violazione di legge e vizi motivazionali. L'impugnante eccepiva il mancato esame delle doglianze proposte in sede d'Appello, in relazione alla difficoltà di comprensione dell'avvenuto ritiro del documento da parte della Polizia di Stato la ricorrente, di nazionalità cinese, sosteneva di non aver avuto contezza della situazione. Si contestava, inoltre, l'omessa motivazione con riferimento all'intento fraudolento perseguito dalla condannata. Niente dolo specifico solo consapevolezza di dichiarare il falso. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso. Il Collegio ha preliminarmente ricordato come la giurisprudenza riconosca la configurabilità del reato di cui all'art. 483 c.p , nelle ipotesi di falsa denuncia di smarrimento della carta d'identità. Sussiste, infatti, un obbligo di presentare denuncia, dal momento che la stessa costituisce il presupposto dell'attivazione del procedimento amministrativo. Gli Ermellini hanno ricordato che in sede di Appello, i Giudici avevano accertato che il ritiro del documento era avvenuto personalmente l'imputata non poteva, quindi, essere all'oscuro del fatto tesi con cui la difesa aveva prospettato l'assenza dell'elemento soggettivo di cui all'art. 483 c.p. . Peraltro, nel delitto di falsità ideologica, il dolo si reputa integrato ove sussistano la volontà e la consapevolezza di dichiarare il falso. Non essendo richiesto un dolo specifico, non gravava sui Giudicanti l'onere di dimostrare e motivare la finalità perseguita in concreto dalla condannata. A chiosa della sentenza, il Collegio ricordava che la valutazione sulla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto art. 131- bis c.p. deve coinvolgere tutte le caratteristiche e le modalità della fattispecie concreta. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 aprile – 19 luglio 2018, n. 33848 Presidente Fumo – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12 gennaio 2017 la Corte di Appello di Milano ha confermato la pronunzia del Tribunale di Varese, con la quale Z.X. era stata condannata per il reato di cui all’art. 483 cod. pen., per aver attestato falsamente ad un pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità in particolare, l’imputata aveva dichiarato in apposita denuncia orale di aver smarrito la propria carta d’identità. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, detto documento era invece stato ritirato alla Z. dalla Polizia di Stato, contestualmente alla notifica del decreto di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’imputata, con atto sottoscritto dal proprio difensore, articolandolo in due motivi. 2.1. Con il primo, si deducono violazione di legge e correlati vizi motivazionali in relazione all’art. 483 cod. pen. Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare le specifiche doglianze formulate con l’atto di appello, con particolare riferimento alla circostanza, prospettata dalla difesa, che l’imputata non avesse avuto piena consapevolezza del fatto che la carta di identità le fosse stata ritirata dalle Forze dell’Ordine in occasione della notifica del provvedimento di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno. Secondo la tesi della difesa, tale mancata consapevolezza sarebbe stata determinata dalle difficoltà riscontrate dall’imputata, di nazionalità cinese, nel comprendere la lingua italiana la Corte non avrebbe dato il giusto rilievo a detta circostanza, ritenendo invece che la condotta della ricorrente denotasse un intento fraudolento, consistente nella finalità di ottenere un duplicato del proprio documento. La Corte territoriale avrebbe peraltro omesso di motivare compiutamente in ordine alla sussistenza di elementi comprovanti l’intento fraudolento perseguito dall’imputata la difesa della ricorrente evidenzia in proposito che l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 483 cod. pen. non può essere insito nella condotta del reo, ma necessita di essere adeguatamente dimostrato. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamentano violazione di legge e correlati vizi motivazionali in relazione all’art. 131 bis cod. pen. La Corte territoriale avrebbe dovuto applicare l’invocata causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, considerata la sussistenza dei necessari presupposti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. È anzitutto opportuno ricordare come questa Corte abbia già in passato affermato la configurabilità del reato di cui all’art. 483 cod. pen. nel caso di falsa denuncia di smarrimento della carta d’identità, considerato che essa costituisce presupposto necessario per attivare il procedimento amministrativo di rilascio del duplicato e che l’ordinamento prevede a carico di colui che smarrisce un documento di identità l’obbligo di presentare denunzia Sez. 5, n. 7995 del 15/11/2012, Facchinetti, Rv. 255216 Sez. 5, 16/05/2000, n. 8891, Callegari nonché, nello stesso senso, Sez. 5, 14/10/2001, n. 45208, Orrù . Stando alle prospettazioni difensive l’imputata, in ragione di evidenti difficoltà linguistiche, non avrebbe compreso che il documento di identità le era stato ritirato dalle Forze dell’Ordine in occasione della notifica del provvedimento di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno per tale motivo difetterebbe, nell’ipotesi in esame, l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 483 cod. pen. Tale censura, formulata già con i motivi di appello, è stata presa in esame dalla Corte territoriale, la quale ha osservato che la carta d’identità era stata personalmente ritirata alla Z. dagli operanti della Polizia di Stato con motivazione assolutamente logica e coerente, il giudice di secondo grado ha affermato che l’imputata non poteva dunque non essere a conoscenza di tale circostanza nel momento in cui in data 9/12/11 dichiarava lo smarrimento, in data e luogo sconosciuti, di detto documento . Alla luce di ciò, la Corte ha correttamente ritenuto che l’imputata avesse la piena consapevolezza e volontà della falsità delle proprie dichiarazioni. 2. D’altronde il dolo integratore del delitto di falsità ideologica di cui all’art. 483 cod. pen. è costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero Sez. 2, n. 47867 del 28/10/2003, Ammatura, Rv. 227078 Sez. 5, n. 315 del 25/03/1968, Buo, Rv. 10827001 non è dunque richiesto il dolo specifico, sicché i giudici di merito non erano tenuti a dimostrare positivamente quale fosse la finalità perseguita in concreto dall’imputata ravvisata dalla Corte territoriale nell’ottenimento di un duplicato del documento di identità . Non è revocabile in dubbio che l’imputata, alla quale il documento di identità era stato ritirato personalmente, fosse consapevole di dichiarare il falso nel momento in cui denunciava lo smarrimento del proprio documento asserendo che esso fosse avvenuto in data e luogo sconosciuti . In conclusione, il primo motivo di ricorso si presenta inammissibile in quanto reiterativo di censure già formulate in appello e compiutamente esaminate dalla Corte territoriale, la quale, con valutazione assolutamente conforme rispetto a quella resa dal Giudice di primo grado, ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, del reato contestato. 3. Parimenti inammissibile si presenta il secondo motivo di ricorso l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito in sede di valutazione dei presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. risulta congruamente argomentato, essendosi basato sulla valutazione delle peculiarità della fattispecie concreta, ed in particolare sull’apprezzamento della complessiva gravità - sia pure contenuta e, come tale, non ostativa ai benefici di legge in primo grado già concessi - del fatto di reato in contestazione. Il giudice di appello, nella specie, ha infatti evidenziato che il fatto in contestazione non può certo dirsi di particolare tenuità, avendo ad oggetto una dichiarazione falsa relativa ad un documento di identità, finalizzata peraltro, come si è detto, all’ottenimento di un duplicato del documento, che l’imputata non aveva più titolo per detenere . Va in proposito ricordato che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 . Si richiede, in breve, una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto. 3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse di Z.X. segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla sua volontà - al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 2.000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende.