Il colpo al volto, sparato con un fucile a pallini, integra il delitto di tentato omicidio

Ai sensi del combinato disposto dagli artt. 56 e 575 c.p. il delitto di tentato omicidio è integrato nel caso in cui l’agente abbia posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di una persona.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32590/18, depositata il 16 luglio. Il caso. Il GUP del Tribunale di Trapani, a seguito di giudizio abbreviato, condannava l’imputato per tentato omicidio. Dalle risultanze istruttorie era infatti emerso che, a seguito di un diverbio in ambito lavorativo, aveva, con premeditazione, compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte della persona offesa sparandole al volto un colpo di fucile a pallini da una distanza di circa 15 metri, arma peraltro detenuta illegalmente. La Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza impugnata, aveva escluso l’aggravante della premeditazione rideterminando la pena. L’imputato ricorre dunque in Cassazione dolendosi per la mancata riqualificazione della condotta in lesioni personali. Idoneità e direzione degli atti. Il Collegio non condivide la censura. Ai fini della configurabilità del delitto di tentato omicidio, la giurisprudenza interpreta il requisito dell’ idoneità degli atti” con riferimento alla capacità della condotta a realizzare il risultato tipico del reato consumato, valutata alla stregua del paradigma della c.d. prognosi postuma a base parziale. L’altro requisito della direzione non equivoca degli atti” viene ricostruito come realizzazione di atti non esecutivi in senso proprio ma anche meramente preparatori che facciano comunque fondatamente ritenere che l’agente abbia iniziato ad attuare il proprio piano criminoso con significativa probabilità di portarlo a termine, salvo eventi non prevedibili ed indipendenti dalla volontà dell’agente. In relazione al caso concreto, il ricorrente deduce l’inidoneità della condotta a cagionare la morte della persona offesa non avendo i pallini sparati con il colpo di fucile forza cinetica sufficiente a perforare le ossa del cranio e ad attingere parti vitali della persona offesa. Si tratta però di deduzioni che contraddicono alle risultanze degli esami balistici e che mirano dunque ad una rilettura dei fatti come accertati dal giudice di merito. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 1 marzo – 16 luglio 2018, n. 32590 Presidente Boni – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 14/06/2016 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trapani, emessa in esito a giudizio abbreviato, Z.A. era stato condannato, con la diminuente del rito, alla pena di dieci anni di reclusione in quanto riconosciuto colpevole dei reati di cui agli artt. 56-575, 577, comma 1 n. 3 cod. pen. capo a , 2 e 7, legge n. 895 del 1967 capo b , 2 e 7, legge n. 895 del 1967 capo c , 23, comma 1 n. 2 e comma 3 della legge n. 110 del 1975 capo d , 23, comma 1 n. 2 e comma 4 della legge n. 110 del 1975 capo e e 648 cod. pen. capo f . Con lo stesso provvedimento l’imputato era stato, altresì, condannato al risarcimento dei danni cagionati alla persona offesa, H.A. , da liquidarsi nel separato giudizio civile, con riconoscimento di una provvisionale di 30.000 Euro. Dal complesso delle emergenze istruttorie e segnatamente dalle puntuali dichiarazioni accusatorie della persona offesa, dagli esiti degli accertamenti balistici svolti dal perito e dalle stesse dichiarazioni, ancorché solo parzialmente confessorie, dell’imputato era emerso che a seguito di un diverbio maturato in ambito lavorativo, Z.A. aveva, con premeditazione, compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di H.A. , contro il quale aveva esploso un colpo di fucile, da una distanza di circa 15 metri, attingendolo al volto e cagionandogli multiple lesioni per effetto dell’impatto provocato da 75 pallini, i quali, oltre a provocargli una doppia frattura mandibolare, avevano interessato anche il bulbo oculare. Tale azione, inoltre, era stata commessa con l’uso di un fucile, illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico arma resa clandestina attraverso l’abrasione del relativo numero di matricola. 2. La sentenza di primo grado era stata appellata nell’interesse dell’imputato, sollecitandosi, in via principale, la riqualificazione del fatto in lesioni personali, nonché, in via subordinata, la riduzione del trattamento sanzionatorio, previa esclusione dell’aggravante della premeditazione e con riconoscimento delle attenuanti generiche. 2.1. Con sentenza emessa in data 8/03/2017, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, esclusa l’aggravante della premeditazione, per l’effetto rideterminando la pena in otto anni di reclusione, con conferma, nel resto, delle precedenti statuizioni penali e civili. 3. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso Z. , a mezzo del difensore di fiducia, Avv. Ernesto LEONE, deducendo, con un unico articolato motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità del delitto di tentato omicidio e alla mancata riqualificazione dei fatti in termini di lesioni personali. Il ricorrente, in particolare, censura la sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta idoneità degli atti a cagionare la morte della persona offesa. Secondo, la difesa, invero, i pallini sparati con il colpo di fucile non avrebbero avuto l’energia cinetica sufficiente a perforare le ossa del cranio e a attingere l’encefalo o altri parti vitali. A tal fine, il ricorso contesta la correttezza degli accertamenti compiuti dal perito, sul presupposto della indimostrata identità, in particolare per quanto concerne il borraggio, tra il munizionamento adoperato per le prove balistiche e quello utilizzato da Z.A. , che non sarebbe stato mai repertato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto. 2. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 56 e 575 cod. pen., il delitto di tentato omicidio, contestato al capo a , ricorre nel caso in cui l’agente abbia posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di una persona. I due requisiti della idoneità degli atti e della direzione non equivoca degli atti vengono ricostruiti, dalla giurisprudenza di legittimità, secondo ormai consolidate coordinate sistematico-interpretative. La prima nozione rinvia alla capacità della condotta posta in essere dall’agente di realizzare il risultato tipico, costituito dal reato consumato capacità che viene valutata alla stregua del paradigma della cd. prognosi postuma a base parziale. In altri termini, successivamente al mancato verificarsi della consumazione del reato voluto dall’agente, deve essere esperito un tipico giudizio controfattuale, realizzato riportando la sequenza criminosa al momento della estrinsecazione della condotta e ipotizzando se fosse probabile, in tale frangente, la verificazione del risultato tipico voluto, assumendo quale base del giudizio in questione il complesso delle circostanze conosciute o conoscibili dall’agente in quella fase dell’iter criminis Sez. 1, n. 32851 del 10/06/2013, dep. 29/07/2013, Ciancio Cateno, Rv. 256991 . Quanto, invece, alla nozione di direzione non equivoca degli atti, la soluzione ricostruttiva qui accolta richiede la realizzazione non già degli atti esecutivi veri e propri, ma anche eventualmente di quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso a meno che si verifichino eventi non prevedibili, indipendenti dalla volontà del reo, che ne impediscano la realizzazione Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, dep. 20/04/2017, Macori e altro, Rv. 269931 . 2.1. La difesa opina che la condotta ascritta all’odierno ricorrente non sarebbe stata idonea a cagionare la morte di H.A. . Ciò in quanto i pallini sparati con il colpo di fucile esploso da Z.A. non avrebbero avuto l’energia cinetica sufficiente a perforare le ossa del cranio e a attingere l’encefalo o altri parti vitali della persona offesa, come dimostrato dal fatto che gli stessi pallini si sarebbero arrestati negli strati superficiali del capo della vittima. Rileva, nondimeno, il Collegio che le osservazioni critiche svolte dalla difesa in relazione alle risultanze degli accertamenti balistici compiuti dal perito osservazioni volte a dimostrare l’inidoneità dei pallini a infrangere le parti ossee del capo e a penetrare, in profondità, nei tessuti molli, cagionando la morte della persona offesa - finiscano per attingere al materiale probatorio acquisito nel corso del processo, proponendone una lettura alternativa pacificamente non consentita nel giudizio di cassazione. Tanto più che la descritta operazione viene realizzata, dal ricorrente, attraverso la deduzione di una serie di circostanze fattuali - inerenti alle caratteristiche dell’arma e del munizionamento nonché delle lesioni corporali refertate - in nessun modo verificabili in questa sede, in quanto del tutto estranee alla piattaforma cognitiva del giudice di legittimità, con un conseguente chiaro deficit di autosufficienza della relativa prospettazione. In termini più generali, poi, deve osservarsi che attraverso le argomentazioni difensive più sopra riassunte, il ricorso ha mostrato di non confrontarsi in alcun modo con la ricostruzione fattuale accolta nella sentenza impugnata sicché anche sotto tale profilo le doglianze formulate non possono essere accolte. Secondo quanto posto in luce sia dal giudice dell’udienza preliminare, sia dalla stessa Corte territoriale, infatti, la circostanza che i pallini fossero dotati dell’energia cinetica necessaria a perforare anche le parti ossee del capo della persona offesa è stata adeguatamente dimostrata, sul piano logico, dalla avvenuta rottura, in due punti, delle mandibole profilo, questo, che è stato totalmente obliterato dalle critiche difensive. Ma soprattutto è stato evidenziato, con motivazione niente affatto illogica, che, in ogni caso, i distretti corporei attinti dalla rosata presentavano parti, non protette da strutture ossee, che, nel caso in cui fossero state raggiunte dai pallini, avrebbero comunque potuto subire lesioni tali da condurre alla morte della persona offesa, come nel caso in cui quest’ultima fosse stata attinta alla carotide, non colpita solo per una fortunata casualità. 3. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.