Il disturbo antisociale della personalità non è un vizio di mente: violazione dei domiciliari ingiustificabile

Ingiustificabile l’imputato che si allontana per 45 minuti dall’abitazione dove era agli arresti domiciliari. I Giudici di merito, condannando l’imputato per evasione, avevano ritenuto che il disturbo antisociale della personalità non giustificasse il suo comportamento. Decisione confermata dalla Cassazione, la quale ha approfittato della controversia per ribadire i presupposti per la sussistenza di un vizio di mente.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 30733/18, depositata il 6 luglio. Il caso. L’odierno ricorrente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza con la quale la Corte d’Appello di Ancona confermava la decisione di primo grado che lo aveva condannato, ex art. 385 c.p. Evasione , per essersi allontanato per quasi un ora dalla abitazione nella quale stava agli arresti domiciliari. Secondo il ricorrente la decisione di merito deve essere annullata per aver il Giudice trascurato il vizio di mente dell’imputato, affetto da disturbo antisociale della personalità. Disturbi della personalità e vizio di mente. Il Supreme Collegio ha ritenuto infondato il motivo di ricorso, in quanto, secondo consolidata giurisprudenza dei Giudici di legittimità, per il riconoscimento del vizio di mente totale o parziale rilevano solo i disturbi della personalità che siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o riducendola grandemente . Ciò vale, continua la Cassazione, solo a condizione che vi sia un nesso eziologico con la condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale . Da ciò deriva che le anomalie caratteriali e le disarmonie della personalità non rilevano se non presentano i caratteri indicati e se non si inseriscano in un quadro più ampio di infermità. Nella fattispecie in esame, secondo la Suprema Corte, la Corte d’Appello correttamente ha rilevato che le relazioni mediche dimostravano un disturbo della personalità che non integrava una incapacità di intendere e di volere e che non sussisteva nessuna correlazione causale tra il disturbo e la condotta dell’imputato. In conclusione la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 aprile – 6 luglio 2018, n. 30733 Presidente Petruzzellis – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 364/2015, la Corte di appello di Ancona ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Pesaro a G.A. ex art. 385 cod. pen. per essersi allontanato per oltre 45 minuti dalla abitazione nella quale stava agli arresti domiciliari. 2. Nel ricorso di G. si chiede l’annullamento della sentenza deducendo a illogicità della motivazione per avere trascurato il vizio di mente dell’imputato - affetto da disturbo antisociale della personalità - al momento della commissione del fatto b mancanza di motivazione dell’esclusione dello stato di necessità, essendosi il ricorrente allontanato dall’abitazione a causa di una crisi di panico che lo indusse a uscire per respirare all’aria aperta. A conclusione del ricorso, si assume che ricorrono i presupposti per applicare l’art. 131-bis cod. pen Considerato in diritto 1. Il ricorso nel quale non si precisa se i motivi dedotti concernono violazioni di legge o vizi della motivazione è manifestamente infondato. 1. Quanto al primo motivo, la Corte di appello ha rilevato che dalle relazioni mediche emerge che al momento del fatto G. era affetto da un disturbo antisociale di personalità e da un disturbo correlato all’uso di sostanze e, valutati anche gli altri dati comportamento dell’imputato e sue dichiarazioni ha correttamente escluso una situazione riconducibile a una incapacità di intendere e di volere. Infatti, secondo ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, per il riconoscimento del vizio di mente totale o parziale rilevano solo i disturbi della personalità che siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o riducendola grandemente, a condizione - inoltre - che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne deriva che non rilevano anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché gli stati emotivi e passionali, tranne che non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità ex multis Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Rv. 230317 Sez. 1, n. 52951 del 25/06/2014, Rv. 261339 Sez. 3, n. 1161 del 20/11/2013, dep. 2014, Rv. 257923 . Né, oltretutto, nel ricorso si argomenta circa la, pur necessaria, correlazione causale fra il disturbo e la condotta tenuta dall’imputato. 1.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, le deduzioni sviluppate risultano aspecifiche perché non si confrontano con le argomentazioni espresse nella sentenza impugnata, nella quale si osserva che l’eventuale attacco di panico e la necessità di calmarsi dopo una lite con la madre e la figlia non giustificavano la condotta di G. perché egli avrebbe potuto chiamare un medico, spostarsi in altra zona della casa o, comunque, allontanarsi per un tempo più breve di quello 45 minuti durante il quale restò fuori dalla abitazione. 1.3. Quanto alla chiesta applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., va rilevato che la sentenza impugnata è stata emessa prima della vigenza della norma. Poiché ha natura sostanziale, l’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 28/2015, compresi quelli pendenti davanti alla Corte di cassazione, che può valutare di ufficio ex art. 609, comma 2, cod. proc. pen., l’applicabilità della norma, ma limitandosi - per la natura del giudizio di legittimità - a vagliare la non incompatibilità della fattispecie concreta, risultante dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali, con i requisiti e i criteri indicati dal predetto art. 131-bis Sez. 2, n. 41742 del 30/09/2015, Rv. 264596 Sez. 3, n. 15449 del 8/04/2015 2015 Rv. 263308 Sez. 4, n. 1474 del 22/04/2015 Rv. 263693 . Tuttavia, nel caso in esame il ricorrente presenta reiterati precedenti penali per reati ex art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, 337, 582 e 585 cod. pen., oltre che per guide in stato di ebbrezza e questo osta - in base all’ultima porzione dell’art. 131-bis, comma 1, cod. pen. - al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, perché denota una devianza non occasionale Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016, dep. 2017, Rv. 268970 Sez. 3, n. 43816 del 01/07/2015, Rv. 265084 Sez. 3, n. 29897 del 28/05/2015, Rv. 264034 . 2. Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso deriva, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma che risulta congruo determinare in Euro 2000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.