Per i professionisti ai fini del calcolo del reddito d’imposta, rilevano le sole operazioni di versamento effettuate su conto corrente bancario

In caso di dichiarazione infedele del reddito di imposta, fini dell’integrazione della fattispecie di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 10 marzo 2000 n. 274, vi è differenziazione tra la posizione del professionista, rispetto a quella dell’imprenditore?

In applicazione del recente orientamento della Suprema Corte di Cassazione, gli esercenti le libere professioni, ai fini dell’esclusione dal computo per la determinazione del reddito di imposta, devono dimostrare, con riferimento alle sole operazioni di versamento in conto corrente, che le stesse non rientrano tra i compensi riferibili alla loro attività, potendo diversamente costituire proventi utili ai fini dell’eventuale integrazione della fattispecie di dichiarazione infedele. La fattispecie. Le norme tributarie contenute negli artt. 32 d.p.r. numero 600/1973, e 51, comma 2, numero 2, d.p.r. numero 633/1972, sulle quali veniva emesso il provvedimento di sequestro preventivo del GIP, erano state oggetto di interventi strutturali ad opera della novella contenuta nel d.l. numero 193/2016. In tale testo normativo era stata operata la soppressione della locuzione compensi”, dai redditi sui quali fondare la presunzione di calcolo del reddito di imposta. Tale modifica strutturale, riteneva il Tribunale, era di tale portata da dover considerare abolita la relativa presunzione a carico dei professionisti, rimanendo la norma operativa quanto ai ricavi” in relazione ai soli titolari di reddito di impresa, facendo conseguentemente venir meno il fumus commissi delicti , in relazione all’applicazione della misura cautelare reale, per il reato contestato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d.lgs. numero 74/2000, dal che l’annullamento della misura cautelare reale disposta dal Giudice per le Indagini preliminari. Norma penale e precetto integrativo extrapenale. La vicenda, traeva origine dall’interpretazione della legge extrapenale, nella quale si indicavano i ricavi” o compensi”, con riferimento sia al reddito di impresa, che a quello derivante dalle attività libero professionali o comunque autonome, equiparando quindi le posizioni degli esercenti una libera professione, con quella degli imprenditori. Il decreto legislativo prima accennato ha operato l’abrogazione della locuzione compensi”, atto dal quale il tribunale di primo grado traeva come conseguenza, l’inapplicabilità della norma agli esercenti attività libero professionali. Le locuzioni ricavi” o compensi” riportate nella norma di cui all’art. 32 d.p.r. numero 600/1973, hanno natura economico-tributaria, servendo esse a designare entità economicamente rilevanti quali componenti del reddito, sul quale formare poi il calcolo della base imponibile. Tali concetti, estranei di per se al diritto penale, ne sono però strumentali al fine di integrare i precetti penali contenuti nelle disposizioni di cui agli artt. 2 e 4 d.lgs. numero 74/2000, sulle quali si basava il provvedimento cautelare reale. Tali parametri strumentali alla determinazione di grandezze economiche quali le entrate” dei contribuenti, erano, come evidenziato dal Supremo Collegio, unite dalla locuzione o”, con la quale il legislatore aveva inteso creare un ipotesi di loro alternativa applicazione, non essendo quindi le stesse da ritenere l’una, i compensi” come riferibile al reddito dei professionisti, l’altra i ricavi” come invece riferita al reddito di impresa. Essendo stata poi abrogata la locuzione compensi”, la nozione di ricavi doveva essere intesa come applicabile a tutti i contribuenti, e non invece solo ad alcune categorie degli stessi, come peraltro confermato dal successivo art. 38 d.p.r. numero 600/1973 che estende alla generalità dei contribuenti le regole sull’accertamento complessivo del reddito delle persone fisiche. Da tale interpretazione derivava la censura alla pronuncia del Tribunale, che riteneva, in mancanza dell’abrogato riferimento ai compensi”, il venir meno dell’applicabilità della norma ai professionisti. Sentenza Corte Costituzionale numero 228/2014. Al fine di delineare un quadro di insieme della vicenda, è necessario sottolineare la pronuncia del Giudice delle Leggi, la quale forniva un interpretazione della presunzione legale sulla quale si basava l’accertamento tributario le operazioni bancarie di prelevamento, hanno valore presuntivo del reddito solo con riferimento alla categoria degli imprenditori, rientrando nel computo del reddito di tutti i contribuenti le operazioni di versamento. Ne consegue che in caso di accertamento tributario, i professionisti devono provare l’estraneità ai fini del computo del reddito, delle sole operazioni di versamento, essendo venuta meno per tale categoria l’equiparazione delle operazioni di versamento a quelle di prelievo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 maggio – 8 giugno 2018, numero 26274 Presidente Savani – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1.- Il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Locri ricorre per l’annullamento dell’ordinanza, emessa in data 21/11/2017, ex articolo 324 cod.proc.penumero , con cui il Tribunale di Reggio Calabria ha annullato, in parte qua, il provvedimento di sequestro preventivo, ex articolo 321 cod.proc.penumero , disposto dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Locri nei confronti di M.M.L. , di somme di denaro e/o beni sino alla concorrenza della somma di Euro 1.777.722,67, nell’ambito di indagini svolte per i reati di cui agli artt. 2 d.lgs 10 marzo 2000, numero 74 capo 1 e articolo 4 d.lgs 10 marzo 2000, numero 74 capi 2-3-4-5- e 6 relativi agli anni di imposta 2011-2012-2013- 2014 e 2015. 1.1. Il Tribunale di Reggio Calabria, con l’ordinanza impugnata, ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo di somme di denaro e/o beni fino alla concorrenza di Euro 30.650,00, con riferimento al reato di cui all’articolo 2 d.lgs 10 marzo 2000, numero 74 capo 1 , ed ha annullato il relativo provvedimento di sequestro per il reato di dichiarazione infedele articolo 4 d.lgs 10 marzo 2000, numero 74 perché in qualità di socio dello Studio legale associato degli avv. M. e S. , esercente l’attività legale, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava nella dichiarazione annuale modello Unico società di persone 2012, 2013, 2014, 2015 e 2016 relative ai redditi 2011,2012, 2013, 2014 e 2015 , elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, come indicato nei capi di imputazione 2-3-4-5 e 6. In esecuzione del decreto di sequestro preventivo erano state sottoposte a sequestro le somma presenti sui conti correnti dell’indagato e dello studio legale, nonché di terreni e fabbricati. 1.2. Il Tribunale cautelare, per quanto qui di rilievo in connessione con il motivo di impugnazione del Procuratore della Repubblica, ha annullato in parte il decreto di sequestro preventivo per assenza di fumus commissi delicti per le contestazione di cui all’articolo 4 d.lgs numero 74 del 2000, non potendosi fondare, il menzionato requisito, in forza della mera presunzione legale di cui agli artt. 32 comma 1 numero 2 del d.P.R. numero 600 del 1973 e 51 comma 2 numero 2 del d.P.R. 633 del 1972, in virtù della quale andrebbero considerati quali compensi tutti gli accrediti percepiti dal professionista nell’anno di imposta che non sia in grado di giustificarne la provenienza. Il Tribunale cautelare, all’esito dell’esegesi della giurisprudenza di legittimità sull’ambito di applicazione della citata norma ai lavoratori autonomi e professionisti e dell’evoluzione normativa della stessa da ultimo il d.l. numero 193 del 2016, conv. con mod. con legge numero 225/2016, articolo 7 quater , ha ritenuto che, avendo il legislatore eliminato il riferimento ai compensi dal citato articolo 32 prevedendo, altresì, l’applicazione della presunzione legale relativa ai prelevamenti dell’imprese ai soli importi superiori a Euro 1000,00 giornalieri e a Euro 5.000,00 mensili e in assenza di ulteriore specificazione in merito alla permanenza della presunzione rispetto ai versamenti dei professionisti, si dovesse ritenere che l’intentio legis era quella di abolire del tutto l’operatività della presunzione ex articolo 32 cit. rispetto agli accertamenti bancari sui conti correnti dei professionisti e lavoratori autonomi, limitandosene l’applicazione al solo reddito di impresa. 2. - Per l’annullamento della ordinanza il Procuratore della Repubblica ha dedotto con un unico e articolato motivo di ricorso, la violazione di legge in relazione all’erronea applicazione della norma extrapenale di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale, articolo 32 comma 1 numero 2 del d.P.R. numero 600 del 1973 e 51 comma 2 numero 2 del d.P.R. 633 del 1972. In sintesi, secondo il ricorrente la modifica normativa effettuata con il D.L. numero 193 del 2016, che ha disposto l’eliminazione dei soli compensi dall’articolo 32 comma 1 numero 2 del d.P.R. 600 del 1973, non avrebbe inteso abolire, come ha ritenuto il Tribunale del riesame, la presunzione con riferimento ai professionisti e lavoratori autonomi, cosi da considerare vigente la norma solo per il reddito di impresa, e ciò in quanto i ricavi e i compensi , di cui fa riferimento l’articolo 32 ante modifica, non sono concetti diversi applicabili a diverse tipologie di contribuenti in quanto i ricavi non sono altro che i compensi incassati dal professionista quale corrispettivo per il servizio reso al cliente articolo 54 T.U.I.R. e il dato letterale dell’articolo 32 cit., che prevedeva la disgiuntiva o , avvalorerebbe tale interpretazione, posto che il ricavo altro non è che il compenso del lavoratore autonomo/professionista, cossiché nessuna novità sarebbe stata apportata dalla novella legislativa in tema di presunzione ex articolo 32 cit. sui prelevamenti effettuati dal professionista, tanto meno la portata attribuita dal Tribunale di escludere in toto la presunzione legale rispetto agli accertamenti bancari sui conti correnti dei professionisti e lavoratori autonomi. Infine, alcuna modifica sarebbe stata apportata con riguardo ai versamenti effettuati sui conti correnti dai professionisti e in relazione ai quali deve ritenersi operante la presunzione di cui all’articolo 32 cit. tenuto conto che l’intervento della Corte costituzionale, con la sentenza numero 228 del 2014, era circoscritto ai prelevamenti dai conti correnti. Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata. In data 4 maggio 2018 il difensore di M. ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero in quanto fondato su un’errata interpretazione della presunzione relativa di cui all’articolo 32 comma 1 numero 2 del d.P.R. numero 600 del 1973 e 51 comma 2 numero 2 del d.P.R. numero 633 del 1972, alla luce della sentenza della Corte costituzionale numero 228 del 2014 e della sentenza numero 16440 del 2016 della Sezione tributaria della Corte di cassazione, secondo cui la presunzione legale sarebbe inapplicabile sia ai prelevamenti che ai versamenti come affermato dal provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria. In udienza, il difensore dell’indagato ha depositato documenti e consulenza tecnica. 3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato. Il provvedimento impugnato è affetto dalla denunciata violazione di legge extrapenale di cui all’articolo 32 comma 1 numero 2 del d.P.R. numero 600 del 1973 e 51 comma 2 numero 2 del d.P.R. 633 del 1972. Deve rilevarsi, in primis, che le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati previsti dal D.lgs numero 74 del 2000, hanno valore indiziario sufficiente ad integrare il fumus commissi delicti in assenza di elementi contrari e giustificare l’applicazione della misura cautelare reale Sez. 3, numero 2006 del 02/10/2014, Scatena, Rv. 261928 . In materia di misure cautelari reali è noto, infatti, che, ai fini della applicazione della misura, non occorre un compendio indiziario che si configuri come grave ex articolo 273 cod.proc.penumero S.U. numero 7 del 23/02/2000, Mariano, Rv. 215840 , essendo sufficiente l’esistenza del fumus del reato secondo la prospettazione della pubblica accusa sulla base della indicazione di dati fattuali operando un controllo non meramente cartolare sulla base fattuale nel singolo caso concreto Sez. 6, numero 16153 del 06/02/2014, Di Salvo, Rv. 259337 Sez 2, numero 18331 del 22/04/2016, Iommi, Rv. 266896 . Nel caso in esame, il fumus commissi delicti in ordine alle ipotizzate violazioni di cui all’articolo 4 d.lgs 10 marzo 2000, numero 74, è stato escluso dal Tribunale ritenendo non operante la presunzione di cui all’articolo 32 comma 1 numero 2 del d.P.R. numero 600 del 1973 ai professionisti. In questa materia, la giurisprudenza della sezione tributaria di questa Corte di cassazione ha chiarito che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione legale relativa della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari, giusta la disposizione di cui all’articolo 32, comma 1, numero 2, del d.P.R. numero 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa, estendendosi ai professionisti e ai lavoratori autonomi nonché alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo articolo 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso articolo 32, comma 1, numero 2 tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale numero 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti. Ne consegue che i professionisti sono onerati di provare in modo analitico l’estraneità dei versamenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale numero 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti Sez. 5, numero 7951 del 30/03/2018, Rv. 647721 - 01 Sez. 5, numero 1519 del 20/01/2017, Rv. 642454 - 01 Sez. 5, numero 16697 del 09/08/2016, Rv. 640983 - 01 . Trattasi di indirizzo giurisprudenziale che può definirsi ormai consolidato e che ha, pertanto, superato quello diverso richiamato dal ricorrente nel ricorso sentenza numero 16440 del 2016 . La presunzione legale in oggetto, ha chiarito la giurisprudenza tributaria della Corte di cassazione, si articola secondo due diverse modalità, distintamente previste nella prima e nella seconda parte, secondo periodo, comma primo del citato articolo 32 a i dati ed elementi attinenti ai rapporti bancari possono essere utilizzati nei confronti di tutti i contribuenti destinatari di accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 d.P.R. 29 settembre 1973 numero 600 persone fisiche, titolari di reddito determinato in base alle scritture contabili, redditi di soggetti diversi dalle persone fisiche, redditi accertati d’ufficio b la presunzione legale secondo cui i versamenti ed i prelevamenti sono considerati ricavi o compensi può essere utilizzata nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili con la correzione apportata dalla Corte Cost. con la sentenza numero 228 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità della presunzione di maggiori compensi desumibile dai prelevamenti effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo . Dunque, mentre l’operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia adempiendo l’onere di dimostrare che ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine . Tale indirizzo ermeneutico muove dalla considerazione che l’estensione della suddetta presunzione legale relativa anche altri compensi dei lavoratori autonomi fu dovuta dapprima all’intervento della giurisprudenza di legittimità e successivamente alla legge finanziaria per il 2005 Legge numero 311 del 2004, articolo 1 comma 402-406 , che su tale quadro normativo si era innestata la pronuncia della Corte costituzionale numero 228 del 2014, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 32 comma 1 numero 2 d.P.R. 600 del 1973, nella parte in cui estendeva ai lavoratori autonomi la citata presunzione relativa, seppur limitatamente ai prelevamenti, restando dunque ferma l’equiparazione tra imprese e professionisti con riguarda i versamenti. Dunque, in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’articolo 32 del d.P.R. numero 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale numero 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti. 5. Il Tribunale cautelare non ha fatto corretta applicazione della norma di cui deve tener conto nell’applicazione della legge penale ed ha, così, escluso il fumus commissi delicti erroneamente applicando la presunzione di cui all’articolo 32 comma 1 numero 2 e la connessa articolo 51 per l’Iva nella sua esatta portata come sopra ricostruita, rilevando, per inciso, che ratione temporis, non rileva per il caso in scrutinio la norma intervenuta successivamente nel 2016. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per un nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.