Chirurgo abbandonato in sala operatoria, legittima la sospensione dell’intervento

Cade definitivamente l’accusa di omissione d’atti d’ufficio” nei confronti del medico responsabile dell’operazione. Corretta la sua scelta, poiché finalizzata a tutelare la salute della paziente, che richiedeva la presenza del secondo chirurgo.

Operazione chirurgica avviata e poi subito sospesa. Nessuna sanzione però per il medico, che ha atteso invano per 20 minuti l’arrivo del collega, la cui presenza era considerata indispensabile per la sicurezza della persona - ipertesa, obesa e cardiopatica - finita sotto i ferri. Cancellata perciò la condanna pronunciata in Appello e centrata sul reato di rifiuto di atti d’ufficio” Cassazione, sentenza n. 24952/2018, Sezione Sesta Penale, depositata il 4 giugno 2018 . Ospedale. Riflettori puntati su un dirigente medico della Divisione di Chirurgia di un ospedale pugliese. Il professionista finisce sotto accusa per avere rifiutato indebitamente di portare a termine l’intervento chirurgico di safenectomia destra su una donna, dopo averla già sottoposta alla prescritta procedura anestesiologica ed averle già praticato l’incisione cutanea e sottocutanea propedeutica all’asportazione della vena grande safena . E per i giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, è evidente la colpevolezza del medico, che ha tenuto una condotta assolutamente illegittima. Abbandonato. Il legale del dirigente medico contesta però la pronuncia emessa in Appello, evidenziando col ricorso in Cassazione che il suo cliente ha deciso di non proseguire nell’intervento in quanto si poteva essere l limite della copertura anestetica ed un dolore così intenso, quale è quello che si prova intervenendo su una vena, può provocare in soggetto cardiopatico anche il decesso , e aggiungendo che non vanno trascurate le possibili complicanze di una operazione su una persona ipertesa, obesa e cardiopatica . Le obiezioni difensive spingono i giudici del ‘Palazzaccio’ a rivalutare la condotta del medico, arrivando addirittura ad escluderne la condanna. Decisivo è il riferimento agli indefettibili requisiti richiesti dalla norma, ossia la natura indebita del rifiuto e l’indifferibilità dell’atto rifiutato . Ebbene, su questo fronte i magistrati osservano che il medico si è sì rifiutato di proseguire l’intervento ma alla luce dell’ assenza del secondo chirurgo , presenza necessaria proprio in considerazione delle condizioni fisiche della paziente a rischio per l’obesità . In sostanza, la necessità di operare in condizioni di sicurezza ha correttamente spinto il medico a sospendere l’intervento, una volta preso atto dell’assenza del secondo chirurgo che avrebbe dovuto subito assicurare la sua presenza e che invece venti minuti dopo l’inizio, non si era ancora presentato a prestare la sua dovuta collaborazione , nonostante l’urgenza di evitare alla paziente una possibile emorragia . Legittimo, quindi, l’operato del medico che era stato ‘abbandonato’ in sala operatoria . Impossibile perciò parlare di omissione di atti d’ufficio .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 aprile – 4 giugno 2018, n. 24952 Presidente Di Stefano – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce - sez. distaccata di Taranto, a seguito di gravame interposto dall'imputato Gi. DO. avverso la sentenza emessa il 26.11.2015 dal locale Tribunale, in riforma della decisione - riconosciute le attenuanti generiche - ha rideterminato la pena inflitta al predetto riconosciuto responsabile del reato di cui all'art. 328 cod. pen. poiché, quale dirigente medico presso la Divisione di Chirurgia generale dell'Ospedale Civile M. Giannuzzi di Manduria, rifiutava indebitamente di portare a termine l'intervento chirurgico di safenectomia destra sulla paziente Storino Giovanna, dopo aver già sottoposto la stessa alla prescritta procedura anestesiologica ed averle già praticato l'incisione cutanea e sottocutanea propedeutica all'asportazione della vena grande safena. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato che con atto del difensore deduce 2.1. Violazione dell'art. 522 cod. pen. essendo stato il ricorrente condannato - a fronte della sola contestazione di non aver concluso l'operazione - per la doppia contestazione di aver iniziato l'operazione e per non averla conclusa nelle medesime condizioni. 2.2. Erronea applicazione dell'art. 328 cod. pen. in quanto nella imputazione non si contestava che l'atto di ufficio rifiutato doveva essere compiuto senza ritardo. In ordine a tale indefettibile requisito non risulta essersi effettuato alcun accertamento, peraltro, rispetto ad un intervento programmato e di natura elettiva. 2.3. Mancanza della motivazione in relazione alla deduzione difensiva in ordine alla mancata esecuzione di alcun atto operativo relativo all'intervento vero e proprio ed alle dichiarazioni dell'imputato secondo le quali egli decideva di non proseguire nell'intervento in quanto si poteva essere al limite della copertura anestetica ed un dolore così intenso quale è quello che si prova intervenendo su una vena, può provocare in soggetto cardiopatico anche il decesso. Non è stato verificato dai Giudici di merito se si potesse, considerando le possibili complicanze di una operazione su persona ipertesa, obesa e cardiopatica, ritenere a priori sufficiente una copertura anestesiologica di circa 2/3 ore. Inoltre, la sentenza ha omesso di motivare in ordine alla consapevole volontà dell'imputato di violare i doveri impostigli rispetto ad un intervento non urgente e sicuramente differibile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione sulla base del secondo e terzo motivo. 2. Il primo motivo è infondato in quanto le condizioni relative all'inizio dell'operazione sono considerate dai Giudici di merito solo ai fini della ricostruzione del fatto. 3. Il secondo e terzo motivo sono fondati in relazione agli indefettibili requisiti richiesti dalla fattispecie incriminatrice circa la natura indebita del rifiuto e l'indifferibilità dell'atto rifiutato. 4. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito il ricorrente si è rifiutato di proseguire l'intervento - da lui iniziato in assenza del secondo chirurgo - che pacificamente richiedeva, vieppiù in considerazione delle concrete indiscusse condizioni fisiche della paziente paziente a rischio per obesità , tale partecipazione, non intervenuta tempestivamente neanche dopo l'inizio dell'intervento. La sentenza, a riguardo del primo requisito, addebita al ricorrente l'impazienza nell'attesa del secondo operatore, affermando che egli ha dato illecita prevalenza alle sue doglianze rispetto alle ragioni di salute della paziente da operare, esposta - invece - ai disagi di un successivo intervento. 5. Ritiene questo Collegio che l'argomentare dei Giudici di merito appena ricordato si pone irragionevolmente al di fuori dell'alveo di legittimità. Quanto alla natura indebita del rifiuto, i Giudici di merito - nel dare rilievo alle ragioni di salute della paziente - omettono del tutto di considerare che tra queste ragioni vi è quella primaria e assolutamente cogente di essere operata in condizioni di sicurezza. Ed arbitrario è l'addebito formulato a riguardo dai Giudici di merito al ricorrente di aver violato il dovere di attendere ancora l'intervento in sala operatoria del collega che, invece, secondo il protocollo operativo, doveva assicurare la sua presenza sin dall'inizio dell'intervento e che - da quanto risulta dalla stessa sentenza - dopo ancora venti minuti dal suo inizio, non si era presentato a prestare la sua dovuta collaborazione, essendo necessario evitare alla paziente una possibile emorragia. Inoltre, gli stessi Giudici affermano la comprensibilità delle doglianze del ricorrente e la non immotivatezza del suo comportamento, a loro stesso dire, per essere stato abbandonato in sala operatoria dai colleghi, ma relegano inopinatamente siffatto accertamento sinteticamente ribadito indicando il quadro poco edificante del reparto - all'eccentrico tema delle circostanze generiche, laddove - invece - si tratta della causa che ha determinato la condotta del ricorrente, rilevante ai fini della valutazione circa la sua natura indebita. Nessuna considerazione, poi, si rinviene nella sentenza in ordine all'indifferibilità dell'atto rifiutato, della quale non v'è traccia alcuna persino nella stessa contestazione e rispetto alla incontestata natura elettiva dell'intervento chirurgico in ordine al quale nessuna urgenza è stata neanche prospettata e che, certamente, non si giustifica con il disagio della paziente per il successivo intervento. 6. L'assenza di giustificazione in ordine ad entrambi gli elementi la cui sussistenza è necessaria alla integrazione dell'elemento oggettivo del reato in contestazione - non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di merito né versandosi in un emendabile vizio della motivazione - impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.