Omesso versamento dell’assegno familiare: determinante per la condanna la minore età della figlia

Lo status di minore è in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno e obbliga il genitore a contribuire al mantenimento del proprio figlio, assicurandogli i mezzi necessari di sussistenza.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 22828/18 depositata il 22 maggio. Il caso. La Corte d’appello dell’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava di non doversi procedere nei confronti dell’imputato, accusato di aver violato gli obblighi di assistenza familiare, limitatamente alla moglie, confermando tale responsabilità solo nei confronti della figlia minore. Sostenendo l’esistenza di una carenza assoluta di motivazione in ordine al reato ritenuto erroneamente integrato e la mancanza di una prova certa del pregiudizio arrecato alla figlia per via del mancato pagamento dell’assegno familiare, l’imputato, avverso la pronuncia della Corte territoriale, decide di proporre ricorso per cassazione. Condizione soggettiva dello stato di bisogno. Gli Ermellini, dichiarando inammissibile il ricorso, affermano che è costante insegnamento giurisprudenziale quello secondo cui la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, è in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno . Tale condizione obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento , assicurando i mezzi necessari alle esigenze di vita. Pertanto, si ha violazione degli obblighi di assistenza familiare ogni qual volta un genitore ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli, ed al mantenimento debba provvedere in via sussidiaria l’altro genitore. Per tutti questi motivi la Suprema Corte ritiene corretta la valutazione condotta dalla Corte territoriale e, dichiarando il ricorso inammissibile, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 7 marzo – 22 maggio 2018, n. 22828 Presidente Rotundo – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello dell’Aquila con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Chieti, sezione distaccata di Ortona, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato, G.P. in ordine al reato di cui all’art. 570, primo comma n. 2 cod. pen., limitatamente al coniuge, D.I.I. , perché estinto per remissione di querela e, confermato nel resto il giudizio di penale responsabilità, ha rideterminato la pena per la residua imputazione maturata nei confronti della figlia minore, in tre mesi e trecento Euro di multa, liquidando altresì il danno morale. 2. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza il difensore di fiducia dell’imputato con due motivi di annullamento. 2.1. Con il primo si deduce la violazione dell’art. 570, secondo comma n. 2, cod. pen. e la totale carenza di motivazione nei termini di cui all’art. 125 cod. proc. pen La Corte avrebbe omesso di motivare ed avrebbe ritenuto erroneamente integrato il reato contestato in pregiudizio della figlia minore del prevenuto in esito al mancato pagamento dell’assegno familiare, estremo insufficiente ove non risulti provata, in esito a siffatta inadempienza, ed in concreto, la mancanza dei mezzi di sussistenza, categoria la cui sussistenza avrebbe dovuto scrutinarsi in ragione di quanto strettamente necessario alle esigenze di vita. L’affermazione dello stato di bisogno dei figli minori di età integra una presunzione semplice, superabile previo scrutinio degli elementi obiettivamente diretti ad escludere la mancanza, in concreto, dei mezzi di sussistenza, per un sindacato che, pure rimesso alla Corte di appello, non sarebbe stato in alcun modo esercitato. La Corte territoriale, incorrendo in carenza assoluta di motivazione, non avrebbe poi fornito risposta alle deduzioni difensive con le quali si era fatto valere che l’imputato aveva pagato la retta scolastica della scuola privata frequentata dalla figlia minore ed il mutuo della casa coniugale, versando comunque la somma di Euro 1.500 per il sostentamento della prima. Non era stato apprezzato dai giudici di appello che il coniuge dell’imputato, fino alla rottura del rapporto, percepiva cospicui redditi da lavoro, a lei mensilmente versati dal marito, titolare della società di cui la prima era dipendente. Non sarebbero state valorizzate le testimonianze da cui sarebbe emerso che l’imputato aveva versato, seppur tardivamente, gli arretrati relativi al periodo in contestazione e che zia e nonna della piccola avevano dichiarato di aver provveduto ai bisogni della minore. 2.2. Con il secondo motivo si fa valere l’assoluta carenza di motivazione in relazione alle doglianze formulate dalla difesa dell’imputato nel grado in ordine allo stato di bisogno ed al rilievo, su detto estremo avuto, delle condotte del G. che aveva comunque versato, in ragione dell’esiguo arco temporale di riferimento, somme rilevanti, quanto alle esigenze della figlia minore. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente in ragione dei temi per gli stessi portati all’esame di questa Corte, sono inammissibili perché manifestamente infondati. 2. In materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza ne deriva che il reato di cui all’art. 570, comma secondo, cod. pen., sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, S., Rv. 261871 . 3. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione dell’indicato principio, vagliando in termini negativi - con motivazione non inficiata in alcun modo delle mancanze denunciate in ricorso -, nel carattere relativo dell’indicata presunzione, le circostanze di fatto dedotte sulle somme comunque versate dal prevenuto in favore di coniuge e figlia sull’apporto di terzi al mantenimento sul percepimento da parte del coniuge di compensi di lavoro. Il complesso delle indicate evidenze è stato invero ora correttamente ritenuto come non rilevante per il richiamato principio ed ora, invece, pure preso in valutazione conclusivamente apprezzato, con motivazione che non si presta a cesura ín questa sede, come non provato. 3. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, per i profili di colpa correlati alla irritualità dell’impugnazione, di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro duemila. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.