Minore in comunità minaccia di darsi fuoco per evitare il trasferimento: è resistenza a pubblico ufficiale

Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, secondo la consolidata giurisprudenza, può essere integrato anche da una condotta autolesionistica dell’agente laddove questa sia diretta a impedire o contrastare il compimento dell’atto del pubblico ufficiale.

Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19780/18, depositata il 7 maggio. Il caso. La Corte d’Appello di Napoli assolveva l’imputato dal reato di resistenza a pubblico ufficiale art. 337 c.p. e confermava la condanna per la residua imputazione relativa alla violazione di obblighi inerenti alla sorveglianza speciale art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 . Dalla ricostruzione dei fatti era emerso che l’imputato, collocato in una comunità minorile, si era cosparso con della benzina gettandola anche sugli arredi della stanza del direttore minacciando di darsi fuoco per cercare di evitare il suo spostamento ad altro istituto da parte dei carabinieri intervenuti sul posto. Avverso la sentenza ricorre in Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello. Autolesionismo. Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, secondo la consolidata giurisprudenza, può essere integrato anche da una condotta autolesionistica dell’agente laddove questa sia diretta a impedire o contrastare il compimento dell’atto del pubblico ufficiale. Dagli elementi probatori risulta dunque integrato il reato di resistenza a pubblico ufficiale, proprio perché l’imputato con il suo comportamento autolesionista mirava ad impedire il suo trasferimento da parte dei carabinieri. In conclusione, la Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di resistenza a pubblico ufficiale e rinvia la causa alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio sul punto e sul trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 marzo – 7 maggio 2018, n. 19780 Presidente Di Tomassi – Relatore Bonito Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 16 giugno 2016, in riforma di quella resa dal Tribunale di Torre Annunziata, all’esito di giudizio abbreviato, il 3 novembre 2014, assolveva C.D. dal reato di resistenza a pubblico ufficiale, art. 337 c.p., e ne confermava la condanna per il reato di cui all’art. 75 co. 2 d.lgs. 159/2011, reati entrambi commessi, secondo quanto contestato, in omissis . A sostegno della decisione la corte distrettuale valorizzava gli atti di indagine raccolti dalla polizia giudiziaria, in particolare quelli formulati in seguito al controllo dell’imputato, sottoposto a misura di prevenzione personale con obbligo di soggiorno. 2. Avverso la sentenza di secondo grado ricorre per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello Napoli, contestandone la legittimità in forza di tre motivi di impugnazione. 2.1 Col primo di essi denuncia il procuratore ricorrente inosservanza degli artt. 566 co. 8, 452 co. 2 e 442 co. 1-bis c.p.p., in particolare osservando che il giudice di appello avrebbe giudicato sulla base di una smunta relazione ex art. 558 co. 3 c.p.p. del maresciallo a tanto incaricato e dell’interrogatorio dell’imputato, del tutto ignorando, ancorché svoltosi il giudizio nelle forme del giudizio abbreviato, il verbale di arresto del giorno 11 ottobre 2014, pienamente utili77abile attese le forme assunte dal processo e compiutamente descrittivo dei fatti di causa. 2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia ancora il procuratore ricorrente inosservanza dell’art. 192 co. 1 c.p.p. e vizio della motivazione sul punto, là dove valorizzate, ai fini assolutori, le dichiarazioni dell’imputato ed ignorate, in assenza di motivazione, quelle accusatorie, e del tutto diverse, del personale di P.G. impegnato nell’accertamento dei reati contestati all’imputato. 2.3 Col terzo ed ultimo motivo di impugnazione denuncia, infine, il procuratore ricorrente violazione dell’art. 337 c.p., là dove ritenuti atti di resistenza passiva ovvero mere condotte non collaborative e non già condotta rilevante ai fini dell’applicazione della norma incriminatrice quella di sbattere la porta in faccia al m.11o procedente, porta tenuta aperta soltanto a fatica e con l’uso di forza contraria a quella esercitata dal prevenuto ovvero quella espressa dalle parole ora posso anche picchiarti e quando sono ubriaco mi dovete lasciare perché divento nervoso , proferite alla presenza di tutti i carabinieri intenzionati ad accompagnare in caserma l’imputato. Evidenziava altresì il procuratore ricorrente che le frasi dette venivano articolate minacciando nel contempo atti di autolesionismo per impedire l’accompagnamento in caserma, condotta quest’ultima ritenuta idonea a realizzare atteggiamenti di resistenza a pubblico ufficiale se finalizzate a contrastare un atto di ufficio. 3. Il Procuratore generale in sede concludeva per l’accoglimento della impugnazione. 4. Il ricorso è fondato. L’insegnamento di legittimità, consolidato ed immune di contrasti interpretativi, si vedano Sez. 6, Sentenza n. 10878 del 18/11/2009, Rv. 246675 N. 9396 del 1994 N. 95 del 1998, Rv. 211122 N. 4929 del 2004, Rv. 229511 è nel senso che il delitto di resistenza a pubblico ufficiale può essere integrato anche da una condotta autolesionistica dell’agente, quando la stessa sia finalizzata ad impedire o contrastare il compimento di un atto dell’ufficio ad opera del pubblico ufficiale. Fattispecie nella quale l’imputato, collocato in una comunità minorile, cospargeva di benzina sé stesso e gli arredi della stanza del direttore, minacciando di darsi fuoco per indurre il pubblico ufficiale ad autorizzare il suo spostamento presso altro istituto . Nel caso all’esame della corte risulta provato, sia perché in tali sensi si esprime la motivazione del giudice distrettuale, sia perché refertate a carico dell’imputato lesioni da taglio giudicate guaribile in giorni quattro, che al fine di opporsi alle legittime iniziative del personale dei CC. che, avendo accertato a suo carico la condotta delittuosa i cui al capo 1 lo invitava a seguire i militi presso la caserma, dapprima minacciava eppoi commetteva gli atti autolesionistici precisati in rubrica. Il quadro probatorio pertanto acquisito al processo evidenzia la ricorrenza nella fattispecie concreta dei profili oggettivi e soggettivi richiesti dalla norma incriminatrice, erroneamente riferiti dal giudice territoriale a mere espressioni di resistenza passiva. 5. La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli affinché provveda a nuovo giudizio sui fatti di causa, alla luce del principio di diritto innanzi affermato, ed a nuova regolamentazione del trattamento sanzionatorio. I primi due motivi di impugnazione devono ritenersi assorbiti dall’accoglimento del terzo motivo. P.T.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di resistenza e rinvia per nuovo giudizio sul capo e sul trattamento sanzionatorio per tale reato ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Visto l’art. 624 c.p.p., dichiara irrevocabile la sentenza impugnata in relazione all’affermazione di responsabilità e alla condanna di mesi 9 e giorni 3 di reclusione per il reato di cui all’art. 75, comma 2, d. lgs. 159 del 2011.