Clientela rumorosa: condannato il titolare del cocktail bar

Il proprietario del locale è ritenuto responsabile per non avere tenuto a bada gli avventori. Per lui ammenda di 1.000 euro. Secondo i Giudici, inadeguate e inefficaci le misure adottate per contenere gli schiamazzi dei clienti, che anche di notte disturbavano i residenti.

Clientela numerosa e rumorosa. Il proprietario del locale – un ristorante-cocktail bar di Milano – può gioire sì, ma solo a metà, perché la ressa all’esterno gli costa una condanna per disturbo della quiete pubblica”, con relativa ammenda di 1.000 euro. Inequivocabile l’accertamento compiuto dai tecnici dell’Arma, i quali hanno registrato, in occasione di verifiche serali, il superamento del limite massimo di decibel consentito dalla legge, così come lamentato da alcuni residenti. Evidente, secondo i Giudici del Palazzaccio, lo scarso controllo operato da parte del titolare del locale, che, in sostanza, è ritenuto colpevole di non avere tenuto a bada i propri clienti Cassazione, sentenza n. 19690/18, Sezione Terza Penale, depositata oggi . Decibel. Riflettori puntati – assieme ad alcuni rilevatori ad hoc – su un ristorante-cocktail bar di Milano. Tutto nasce a seguito delle proteste di alcune famiglie, disturbate, di sera e di notte, dalla rumorosa presenza di clienti a pochi passi dall’ingresso del locale. Così il proprietario si ritrova sotto accusa per disturbo della quiete pubblica . Il processo di primo grado, una volta esaminate le relazioni dei tecnici dell’Arpa – che hanno registrato il superamento del valore soglia di 40 decibel –, si conclude con una condanna. Per i Giudici del Tribunale di Milano non vi è dubbio sul fatto che il titolare dell’esercizio pubblico ha arrecato disturbo alle occupazioni e soprattutto al riposo delle persone residenti nella zona – a neanche due chilometri a piedi dal Duomo –, permettendo e comunque non impedendo il propagarsi del rumore determinato dall’attività e dal vociare della clientela . Il proprietario del cocktail bar se la cava con una multa di 1.000 euro, ma sceglie comunque di proporre ricorso in Cassazione, mirando ovviamente a vedere esclusa la propria responsabilità per la maleducazione manifestata da alcuni suoi clienti. Controllo. La scelta di arrivare a Roma, nelle aule del Palazzaccio, si rivela però assolutamente inutile. Anche per i Giudici della Cassazione, difatti, il titolare del locale è da ritenere evidentemente colpevole per disturbo alla quiete pubblica . Dando per certa l’idoneità delle emissioni sonore , prodotte dai clienti, a recare fastidio – così come certificato dai tecnici dell’Arpa –, i magistrati si soffermano soprattutto sullo scarso controllo compiuto dal proprietario del cocktail bar a fronte dei rumori creati dagli avventori del locale, che si trattenevano all’esterno . E questo aspetto è ritenuto decisivo, poiché, sempre secondo i Giudici, il potere di controllo è stato esercitato in maniera inadeguata ed inefficace , essendosi limitato , il titolare, alla predisposizione di misure interne al locale , come apposizione di cartelli, servizio di vigilanza, installazione di impianto di condizionamento all’interno del locale durante la stagione estiva e rimozione di sistemi di riscaldamento esterni durante la stagione invernale , misure che non avevano impedito il disturbo della quiete pubblica . Inevitabile, quindi, anche secondo la Cassazione, la condanna per il titolare del cocktail bar, che, a parere dei Giudici, avrebbe potuto e dovuto fare molto di più per impedire i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale, anche nelle ore notturne .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 marzo – 7 maggio 2018, numero 19690 Presidente Di Nicola – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26/04/2017, il Tribunale di Milano dichiarava Tr. Anumero responsabile del reato di cui all'art. 659, comma 1, cod.penumero perché quale legale rappresentante della società II Sogno titolare dell'esercizio pubblico denominato Lacerba sito in omissis arrecava disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone ivi residenti permettendo e comunque non impedendo il propagarsi del rumore determinato dall'attività e dal vociare della clientela e lo condannava alla pena di Euro 1000,00 di ammenda. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Tr. Anumero , a mezzo del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. penumero Il ricorrente deduce violazione dell'art. 659 cod.penumero in relazione all'art 4 del D.P.C.M. 14.11.1997 e correlato vizio di motivazione in punto di sussistenza della contravvenzione e di attribuibilità della stessa al ricorrente. Argomenta che la relazione tecnica dell'ARPA, le cui risultanze davano atto del superamento dei valori limiti previsti dall'art. 4 del D.P.C.M 14.11.1997 per superamento del valore soglia di 40 decibel, non indicava il valore della sorgente disturbante necessario per calcolare il ed valore differenziale riportato nella consulenza pertanto, difettava la prova dell'elemento oggettivo del reato contestato. Deduce, inoltre, che provenendo gli schiamazzi da avventori che si trattenevano non all'interno del locale ma sulla pubblica via, occorreva, per la sussistenza del reato, che fosse stata fornita la prova che l'imputato non avesse esercitato il potere di controllo sugli avventori, prova che, nella specie, difettava. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza. Considerato in diritto 1. La prima doglianza relativa alla valutazione operata dal giudice di merito in ordine alla effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce censura di merito non proponibile in sede di legittimità. Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali, essendo la doglianza sostanzialmente diretta a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale Sez. U, numero 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767 Sez. U, numero 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. U, numero 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . Giova, peraltro, ricordare che è stato affermato, in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, che per l'integrazione del reato previsto dall'art. 659 cod. penumero è sufficiente l'idoneità della condotta ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, non occorrendo l'effettivo disturbo alle stesse Sez. 3, numero 8351 del 24/06/2014, dep. 25/02/2015, Rv. 262510 Sez.l,numero 7748 del 24/01/2012,Rv. 252075 e che l'effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull'espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori quali le dichiarazioni testimoniali in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete Sez.3, numero 11031 del 05/02/2015, Rv.263433. . 2. Con riferimento alla seconda doglianza, va osservato che nella sentenza impugnata si dava atto che la situazione di rumore, idonea ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone, derivava dall'attività e dal vociare della clientela del locale esercizio commerciale denominato Lacerba , del quale è titolare la società di cui il ricorrente è legale rappresentante. La deduzione difensiva, in base alla quale sarebbe stata attribuita al ricorrente la penale responsabilità in relazione a fatti non imputabili allo stesso, quali i rumori creati dagli avventori del locale che si trattenevano all'esterno di esso, è manifestamente infondata. Questa Suprema Corte, con un assunto condiviso dal Collegio, ha già avuto modo di precisare che risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne e che la qualità di titolare della gestione dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall'ordinamento come l'attuazione dello ius excludendi e il ricorso all'autorità di pubblica sicurezza, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica Sez. 1, numero 48122 del 03/12/2008, dep. 24/12/2008, Rv. 242808, nonché in senso conforme Sez. F, numero 34283 del 28/07/2015, Rv.264501 . Non coglie nel segno il richiamo del ricorrente alla sentenza della Sez. 3, numero 9633 del 2015, nella quale si ribadisce proprio il suesposto principio di diritto e si precisa che laddove gli schiamazzi o i rumori avvengano all'esterno del locale, per poter configurare la responsabilità del gestore è necessario quanto meno fornire elementi atti a evidenziare che egli non abbia esercitato il potere di controllo e che a tale omissione sia riconducibile la verificazione dell'evento. Orbene, nella specie, la sentenza impugnata dava adeguatamente atto, in aderenza alle emergenze istruttorie, che il potere di controllo incombente sull'imputato era stato esercitato in maniera inadeguata ed inefficace in quanto limitato alla predisposizione di misure interne al locale apposizione di cartelli, servizio di vigilanza, installazione di impianto di condizionamento all'interno del locale durante la stagione estiva e rimozione di sistemi di riscaldamento esterni durante la stagione invernale , misure che, di fatto, non avevano impedito l'offesa al bene giuridico della pubblica quiete. La motivazione è in linea con i principi di diritto suesposti nonché congrua e non manifestamente illogica e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità. 5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. numero 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.