Rapporto sessuale imposto alla moglie: marito condannato

Pena fissata in 3 anni e 4 mesi di carcere. L’uomo è ritenuto responsabile di violenza sessuale. L’episodio, confermato anche da due familiari della donna, si colloca nel clima di sopraffazione instaurato dal coniuge tra le mura domestiche.

L’ha presa, l’ha buttata sul letto e l’ha costretta a subire un rapporto sessuale. Il racconto fatto dalla donna – e corroborato dalle parole di due familiari e di un’assistente sociale – inchiodano il marito, condannato a tre anni e quattro mesi di reclusione Cassazione, sentenza numero 19142/2018, Sezione Terza Penale, depositata oggi . Abuso. Il brutale episodio risale al luglio 2011. Nel giro di 5 anni l’uomo viene ritenuto responsabile del reato di «violenza sessuale» ai danni della moglie, sia in Tribunale che in Corte d’appello. Giudici concordi anche sulla pena 3 anni e 4 mesi di reclusione. Inequivocabile e decisiva la ricostruzione dell’abuso compiuto ai danni della donna. Nello specifico, ella ha raccontato che il marito «l’ha buttata sul letto, le ha tolto i pantaloncini e le mutande» e l’ha costretta a un «rapporto sessuale completo». A dare solidità a questa versione dei fatti ci sono però anche le parole di alcuni testimoni, ossia la madre e la sorella della vittima e un’assistente sociale. Questa valutazione è ritenuta corretta anche dai giudici della Cassazione, che confermano in via definitiva la condanna. Nessun dubbio, innanzitutto, sulla violenza subita dalla donna, che si è confidata con la madre e con la sorella. Evidente poi, grazie alle parole dell’assistente sociale, il «clima di sopraffazione» instaurato tra le mura domestiche dall’uomo. E proprio in quel clima, osservano i Giudici, si è inserita «l’aggressione sessuale» ai danni della moglie. Risibile, invece, la tesi difensiva proposta dal marito, secondo cui la denuncia della consorte era connessa al desiderio di ottenere «l’affidamento della figlia» nel contesto della loro separazione. Su questo punto però i giudici ribattono osservando che proprio sul fronte dell’«affidamento della figlia» i due genitori hanno raggiunto un accordo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 novembre 2017 – 4 maggio 2018, numero 19142 Presidente Fiale – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 19/09/2016, la Corte d'appello di Catanzaro confermò la sentenza del Tribunale di Crotone in data 8/07/2014 con la quale Ma. Gr. era stato condannato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione in quanto riconosciuto colpevole, con le attenuanti generiche, del delitto di cui all'articolo 609-bis cod. penumero per avere costretto De. D’Ag., all'epoca sua moglie, a subire atti sessuali consistiti in un rapporto completo, dopo averla buttata nel letto ed averle tolto i pantaloncini e le mutande fatti accertati in Crotone nel luglio 2011. 2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso Gr. a mezzo del difensore fiduciario, avv. Gi. Ma., deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero , il vizio di violazione di legge e di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. B ed E , cod. proc. penumero . In particolare, i giudici di merito non avrebbero correttamente valutato l'attendibilità della persona offesa, sulle cui dichiarazioni sarebbe stata fondata, in maniera pressoché esclusiva, la affermazione di responsabilità dell'imputato. Secondo la tesi difensiva, De. D’Ag. avrebbe falsamente accusato l'ex marito unicamente per ottenere l'affidamento della figlia, tanto è vero che la denuncia relativa ai fatti per cui è processo sarebbe stata presentata soltanto dopo la notifica del ricorso al Tribunale per i minorenni di Catanzaro, proposto dallo stesso Gr. per ottenere l'affidamento della figlia minore. Sotto altro profilo, l'impugnazione rappresenta che le accuse mosse dalla persona offesa sarebbero rimaste prive di riscontri, non essendo state confermate dalla dott.ssa Ma. Ra. Mi., assistente sociale del consultorio di Crotone, la quale non avrebbe mai ricevuto, da parte della persona offesa, alcun racconto in ordine a condotte di abuso sessuale subite da parte dell'imputato. Inoltre, la tendenza al mendacio della D’Ag. sarebbe emersa anche dalla deposizione della madre, la quale avrebbe riferito che la figlia fosse solita mentire anche in relazione ad episodi della vita quotidiana. Da ultimo, il ricorso sottolinea il vizio di motivazione della sentenza in relazione all'inversione dell'onere della prova nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale per avere ritenuto che, in mancanza di elementi idonei a dimostrare l'innocenza dell'imputato, ne andrebbe affermata la colpevolezza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Preliminarmente occorre definire la cornice di principio relativa ai limiti della cognizione del giudice di legittimità e ai criteri che governano l'apprezzamento della prova dichiarativa della persona offesa in materia di reati sessuali. Sotto un primo profilo, giova ricordare che, in termini generali, alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno Sez. U., numero 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260 in termini v. Sez. 2, numero 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362 . Resta, dunque, esclusa, anche alla stregua dell'attuale formulazione dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova Sez. 3, numero 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata Sez. 3, numero 40350, del 5/06/2014, P. civ. C.C. in proc. M.M., non massimata Sez. 3, numero 30908 del 3/06/2014, I.S., non massimata Sez. 3, numero 13976 del 12/02/2014, da P.G., non massimata Sez. 2, numero 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716 . E nell'ambito dell'apprezzamento sulla coerenza logica del tessuto motivazionale che sorregge la decisione di merito, il giudice di legittimità deve avere riguardo tanto alla pronuncia di secondo grado, quanto a quella di prime cure cui essa faccia rinvio, essendo le due motivazioni destinate a integrarsi reciprocamente confluendo in un risultato organico ed inscindibile Sez. 5, numero 40005 del 7/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303 Sez. 2, numero 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 236181 . Quanto, poi, ai criteri per la valutazione della prova dichiarativa occorre rilevare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, le dichiarazioni della persona offesa - cui non si applicano le regole dettate dall'articolo 192, comma terzo, cod. proc. penumero - possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone di specie quando, in particolare, la persona offesa sia anche costituita quale parte civile Sez. 2, numero 43278 del 24/09/2015, dep. 27/10/2015, Manzini, Rv. 265104 Sez. Unumero , numero 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214 Sez. 3, numero 28913 del 03/05/2011, C. ed altro, Rv. 251075 Sez. 3, numero 1818 del 03/12/2010, L.C., Rv. 249136 . Una peculiare disciplina che costituisce un riflesso del dato, tratto dalla comune esperienza giudiziaria, secondo il quale, in genere, la vittima delle condotte di abuso sessuale costituisce l'unico testimone del reato, consumandosi la violenza spesso tra le mura domestiche o, comunque, in contesti riservati e inaccessibili a terzi spettatori. 3. Tanto premesso, giova osservare che il Tribunale di Crotone, dopo avere richiamato la cornice di principio da ultimo menzionata, ha puntualmente verificato la linearità e la coerenza del racconto della persona offesa, ben strutturato nel suo nucleo essenziale ed arricchitosi via via, anche grazie alle contestazioni compiute dalle parti processuali, di dettagli relativi ad aspetti più periferici della vicenda, sottolineando altresì la genuinità della deposizione anche in rapporto alla partecipazione emotiva palesata dalla ragazza nel corso dell'audizione. Sotto altro profilo, i giudici di merito hanno attribuito particolare rilevanza al racconto dei familiari della persona offesa, in particolare della madre, St. Za. e della sorella Da Quest'ultima, nel dettaglio, ha riferito di essere stata contattata, nel luglio del 2011, dalla persona offesa, la quale le aveva riferito della violenza sessuale consumata dal marito e di avere da lei appreso, in altre circostanze, del contegno aggressivo tenuto dall'uomo, a causa del quale ella era dovuta ricorrere alle cure dei medici. La teste ha, inoltre, raccontato di avere informato dell'accaduto la propria madre, con la quale la persona offesa si era recata, poco tempo dopo, a colloquio con l'assistente sociale circostanze, queste, integralmente confermate dalla Za Inoltre, il tribunale ha sottolineato come la persona offesa abbia dichiarato di essere solita confidarsi con i più stretti congiunti, anche a causa della sua infanzia travagliata, con ciò rendendo del tutto plausibile una adeguata conoscenza delle sue vicende personali anche da parte della madre e della sorella. Quanto, poi, alla attendibilità di queste ultime, il tribunale ha posto in luce l'assenza di ragioni di contrasto tali da poterne ipotizzare il mendacio, tanto più che lo stesso Gr. ha affermato di essere in buoni rapporti con i familiari della ex moglie. E sebbene non sia stata in grado di confermare in alcun modo l'esistenza di abusi attinenti alla sfera sessuale, anche la deposizione della dott.ssa Mirabelli ha fornito ulteriori elementi di riscontro al racconto della persona offesa, in specie laddove l'assistente sociale ha riferito di avere ricevuto informazioni dalla D’Ag. sulle violenze patite dal marito e di avere visto, in occasione di un colloquio, i lividi che la donna presentava e che aveva ricondotto proprio a un litigio con il marito. 3.1. A fronte della coerente opera di ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado, Gr. ha formulato, già in sede di appello, una serie di censure attinenti a un supposto decifit motivazionale relativo al giudizio di attendibilità della persona offesa e alla illogica valorizzazione delle dichiarazioni della dott.ssa Mirabelli, la quale, in realtà, non sarebbe stata in grado di confermare le accuse relative alla violenza sessuale. Sul punto, la Corte di appello ha però fornito una compiuta risposta, sottolineando la coerenza intrinseca del narrato della persona offesa e l'assenza di elementi in grado di far ipotizzare un racconto non veritiero o inquinato dai cd. falsi ricordi ovvero la configurabilità di accuse mendaci in ragione di sentimenti di astio, rancore o vendetta sia da parte della persona offesa che dei suoi familiari, i quali hanno reso dichiarazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle di De. D’Ag Ed anche le dichiarazioni dell'assistente sociale in ordine alle violenze fisiche a lei raccontate dalla ragazza, sono state valorizzate quale complessivo elemento di riscontro di un clima di sopraffazione, nel quale si è poi inserita la condotta di abuso sessuale. Inoltre, la Corte territoriale ha rilevato gli elementi di inverosimiglianza della versione offerta da Gr., le cui affermazioni circa il movente calunnioso delle accuse, ricondotto all'interesse della persona offesa a non vedersi sottratto l'affidamento della figlia, sono state smentite dalle stesse affermazioni dell'imputato, secondo cui l'affidamento della minore era stato oggetto di un accordo tra i due genitori. Dinnanzi alla valutazione compiuta dalla Corte territoriale, sostanzialmente collimante con quella del giudice di primo grado, il ricorrente ha, dunque, riproposto, ancora una volta, la tesi secondo cui la persona offesa avrebbe formulato accuse mendaci per ragioni connesse all'affidamento della bambina e secondo cui i giudici di appello non avrebbero compiutamente valutato l'attendibilità della D’Ag. e le dichiarazioni dell'assistente sociale, la quale avrebbe escluso di avere avuto notizia di condotte di abuso sessuale da lei subite. 3.2. Osserva nondimeno il Collegio che, al di là di una sostanziale genericità delle deduzioni difensive, il ricorso ha omesso di individuare, specificamente, gli elementi di inverosimiglianza del racconto della persona offesa, che i giudici di merito dimostrano di avere, invece, puntualmente vagliato, limitandosi a ribadire la tesi dell'accusa calunniosa che è già stata esclusa dalle sentenze di primo e secondo grado. L'ipotesi del mendacio, infatti, non ha trovato alcun riscontro nel corso del giudizio di merito, tenuto conto del fatto che se, per un verso, la denuncia è stata effettivamente presentata dalla D’Ag. in prossimità della notifica del ricorso proposto dall'imputato per ottenere l'affidamento della figlia, per altro verso è emerso, dal racconto delle tre testimoni persona offesa, St. Za. e Da. D’Ag. , che ben prima della presentazione della denuncia la vittima dell'abuso ne aveva parlato con la sorella e che quest'ultima aveva, poi, riferito l'accaduto alla madre. Una circostanza, questa, che certamente esclude qualunque connessione tra la denuncia per violenza sessuale e la vicenda dell'affidamento della figlia, in relazione alla quale, come è stato rilevato, i due genitori hanno, comunque, raggiunto un pieno accordo. Né possono condividersi le osservazioni critiche articolate intorno alla deposizione della dott.ssa Mi., che i giudici di merito hanno utilizzato non già per riscontrare la consumazione della violenza sessuale, su cui ella non ha saputo riferire alcunché, quanto piuttosto per descrivere un clima conflittuale, connotato dalle condotte di violenta sopraffazione nei confronti della persona offesa, attestate dai lividi che ella aveva esibito in occasione di un colloquio con l'operatrice clima nel quale poi si è inserita, secondo la non illogica ricostruzione dei giudici di merito, l'aggressione sessuale oggetto del presente giudizio. Quanto, poi, alla prospettata inversione dell'onere della prova compiuta dal giudice di appello, è appena il caso di rilevare che alla frase contenuta nella sentenza impugnata ovvero in mancanza di elementi di segno contrario deve, pertanto, confermarsi la declaratoria di colpevolezza dell'imputato deve essere chiaramente attribuito un significato affatto diverso da quello indicato dal ricorrente, atteso che la Corte territoriale ha semplicemente inteso affermare l'inidoneità degli argomenti offerti da Ma. Gr. in sede di esame dibattimentale a confutare il complesso degli elementi probatori acquisiti dall'esame dei testi di accusa. 4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese del grado inferiore della costituita parte civile, De. D’Ag., le quali che devono essere liquidate in 3.500,00 Euro, oltre a spese generali e accessori di legge, con pagamento a favore dello Stato. Per Questi Motivi Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese del grado inferiore della costituita parte civile D’Ag. De., che liquida in Euro 3.500,00 oltre spese generali ed accessori di legge, disponendone il pagamento in favore dello Stato.