Particolare tenuità del fatto e finto studio dentistico: è applicabile la causa di non punibilità?

Non è applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto al direttore sanitario di uno studio dentistico che, in concorso con un odontotecnico, fornisca nel proprio studio prestazioni odontoiatriche in assenza di abilitazione, posto che la ripetitività della condotta e la pluralità degli atti tipici sono di per sé ostativi al riconoscimento della stessa.

La normativa di riferimento. L’art. 348 c.p. punisce, con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da euro 10mila a euro 50mila, Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato . L’abusività dell’attività professionale presuppone che la stessa venga esercitata in assenza dei requisiti richiesti dalla legge, rappresentati, ad esempio, dal mancato conseguimento di un certo titolo di studio o dal mancato superamento dell’esame di Stato abilitativo che è elemento necessario per la iscrizione presso il corrispondente albo. Il caso. Nel caso di specie, il direttore sanitario di uno studio dentistico veniva condannato in concorso con l’amministratore della società, odontotecnico, in quanto nonostante fosse privo delle necessarie abilitazioni, si era qualificato come odontoiatra nella dichiarazione indirizzata alla ASL, portando avanti l’attività abusiva per un periodo piuttosto lungo, dal 2008 al 2011. Le censure operate dal ricorrente, tuttavia, vertevano sulla mancanza di prova circa il contributo dello stesso alla realizzazione del reato, non essendo stato dimostrato che questi fosse a conoscenza che nello studio venissero eseguiti dal coimputato interventi per cui necessitava una speciale abilitazione. La Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, ha ritenuto assolutamente incensurabile il ragionamento operato dai giudici di primo e secondo grado. Sull’elemento soggettivo delitto di esercizio abusivo della professione. Invero, non è concepibile, che l’imputato, che si era, tra l’altro, falsamente qualificato come odontoiatra, dando così legittimazione formale ad uno studio dentistico in cui di fatto operava solo un odontotecnico, non fosse a conoscenza del fatto che, invece, ivi si svolgesse anche attività odontoiatrica. È evidente, dunque, la sussistenza del dolo generico richiesto dalla norma, relativo alla consapevolezza e volontà di compiere uno o più atti relativi ad una professione, senza essere in possesso dei requisiti formali richiesti. Ma ove ciò non bastasse, la prova del contrario era proprio rappresentata dal fatto che era all’evidenza anche all’imputato che lo studio era attrezzato non come semplice laboratorio per la realizzazione o la sistemazione di protesi, ma come vero e proprio studio odontoiatrico, dotato di tutta la strumentazione necessaria per somministrare cure dirette ai pazienti. Sul 131-bis c.p.p In ordine all’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p.p., richiesta dall’imputato appellante tuttavia non concessa, la Corte afferma che la stessa non può essere applicata con riferimento al delitto in esame stante che lo stesso presuppone una condotta che, in quanto connotata da ripetitività, continuità o, comunque, dalla pluralità di atti tipici , è di per sé ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto. I giudici hanno negato la concessione di tale causa di non punibilità, peraltro, per le ragioni suddette, a prescindere dalla circostanza che dall’azione delittuosa non vi siano state conseguenze dannose nei confronti dei pazienti.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 – 29 marzo 2018, n. 14501 Presidente Paoloni – Relatore Vigna Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Pavia in data 10 maggio 2016 che condannava T.C. alla pena di mesi uno di reclusione per il reato di cui agli articoli 110, 348 cod. pen. commesso dal omissis . Si contesta l’imputato di essersi prestato a ricoprire la carica di direttore sanitario dello studio Eurodental s.a.s. pur essendo privo delle necessarie abilitazioni, nonché di essersi qualificato quale odontoiatra nella dichiarazione indirizzata alla ASL. Ciò in concorso con un odontotecnico, S.P., il quale rivestiva la carica di amministratore della Eurodental s.a.s. ed eseguiva materialmente prestazioni odontoiatriche che, in realtà, non poteva eseguire. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso il difensore deducendo i seguenti motivi 2.1. Nullità della sentenza per inosservanza delle norme processuali con riferimento agli articoli 178, comma 1, lett. c , 179, comma 1, 415-bis comma 3 e 370, comma 1 e 3 cod. proc. pen L’interrogatorio dell’imputato era stato delegato dal Pubblico ministero di Pavia al NAS di Cremona, violando il diritto dell’imputato ad essere interrogato nella circoscrizione del Tribunale ove era radicata la competenza per il reato contestato. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’onere della prova e ai ritenuti presupposti giuridici della responsabilità dell’imputato. È pacifico che l’imputato non abbia mai svolto l’attività di odontoiatra e che quindi sia stato imputato per concorso nel reato commesso da S Di tale concorso però non vi è la prova non essendo dimostrato alcun contributo personale del concorrente alla realizzazione del reato. Per poter ipotizzare il concorso del titolare di uno studio odontoiatrico è necessario dimostrare che questi conoscesse che nello studio venivano eseguiti interventi per cui necessitava una speciale abilitazione e che consentisse tali interventi. La Corte d’appello ha fondato la sentenza di condanna sulla ritenuta mancanza di prova contraria alla tesi accusatoria, con ciò violando il principio per il quale non è l’imputato che deve dimostrare la sua innocenza, bensì l’accusa che deve dimostrare la sua responsabilità. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione della particolare tenuità del fatto ai sensi dell’articolo 131-bis cod. pen Le persone che negli anni hanno ricevuto cure odontoiatriche da S. si riducono a solo sei e nessuna di loro ha lamentato alcun danno. L’imputato avrebbe diritto alla esimente prevista dall’articolo 131-bis cod. pen. in relazione alle modalità della condotta e alla gravità del danno. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile in quanto orientato a riprodurre, con generiche formulazioni, un quadro di argomentazioni già esposte nel giudizio d’appello - ed ancor prima dinanzi al Giudice di primo grado - che tuttavia risultano ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale. 2. Il primo motivo è inammissibile perché ripropone acriticamente stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dai giudici del gravame, dovendosi lo stesso considerare non specifico, ed anzi, meramente apparente, in quanto non assolve la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso. Va, comunque, detto che la Corte di appello evidenzia puntualmente che la delega al NAS di Cremona in relazione all’espletamento dell’interrogatorio dell’imputato era giustificata dal fatto che si trattava della stessa polizia giudiziaria che aveva effettuato gli accertamenti nello studio del quale il T. era il direttore sanitario. È corretto sostenere, così come ha fatto la Corte distrettuale, che nessuna nullità è configurabile in base alle norme vigenti, non essendovi limite territoriale alla possibilità di delega da parte del PM. 3. Il secondo motivo è inammissibile perché omette di confrontarsi criticamente con le puntuali ragioni giustificative della correlata affermazione di responsabilità, né è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili in questa Sede, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento dei correlativi temi d’accusa, traendone le logiche conseguenze del caso. 3.1. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del Giudice di primo grado, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha esaminato e puntualmente disatteso le diverse impostazioni ricostruttive prospettate dal ricorrente cfr. pagg. 4-5 della sentenza di secondo grado , non solo ponendone in rilievo, attraverso il richiamo ai passaggi argomentativi, l’assoluta genericità e la totale assenza di riscontri, ma altresì osservando, con dirimenti argomentazioni che 3.1.1. l’essersi falsamente qualificato come odontoiatra era azione certamente utile per dare legittimità formale ad uno studio dentistico dove, in realtà, operava solo un odontotecnico 3.1.2. non può ritenersi che l’imputato abbia assunto e mantenuto la direzione sanitaria dello studio senza essere a conoscenza del fatto che ivi si svolgesse l’attività odontoiatrica da parte di un semplice odontotecnico. All’imputato non poteva sfuggire, nei pur saltuari accessi effettuati, che lo studio non era attrezzato come semplice laboratorio per la creazione e la sistemazione delle protesi, ma come luogo ove si ricevevano i pazienti e si somministravano loro cure dirette, essendo munito di un classico riunito alla studio dentistico e dotato dei farmaci necessari per l’esercizio della professione odontoiatrica. Erano, inoltre, facilmente rinvenibili le annotazione degli appuntamenti che il concorrente prendeva con gli ignari pazienti. Né infine gli poteva sfuggire che nessun professionista esterno aveva in quel periodo preso in locazione lo studio. 4. È inammissibile anche il terzo motivo di ricorso in quanto reiterativo di medesima censura formulata in sede di appello, alla quale la Corte ha fornito ampia risposta con la quale il ricorrente non si confronta. Correttamente i giudici di appello hanno evidenziato che, nonostante la mite sanzione applicata dal giudice e nonostante l’assenza di prova di conseguenze dannose pazienti, il fatto non appare di modesta gravità in ragione del lungo periodo nel quale l’imputato ha offerto al coimputato l’illecita copertura e del fatto che l’odontotecnico non si limitava a svolgere compiti di supporto all’attività di un professionista, ma svolgeva in autonomia sui diversi pazienti le cure riservate alla competenza dell’odontoiatra. A ciò deve aggiungersi che l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’articolo 131-bis cod.pen. non può essere dichiarata con riferimento al reato di abusivo esercizio di una professione, in quanto tale delitto presuppone una condotta che, in quanto connotata da ripetitività, continuità o, comunque, dalla pluralità degli atti tipici, è di per sé ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità Sez. 6, n. 6664 del 25/01/2017 Rv. 269543 Sez. 7, ord. n. 13379 del 12/01/2017, Rv. 269406 . 5. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.