La mancata eliminazione del reato di minaccia è incostituzionale?

Il giudice a quo deve rendere espliciti i motivi della ritenuta non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, non potendo limitarsi ad un mero richiamo di quelli evidenziati dalle parti nel corso del processo principale ovvero anche in altre ordinanze di rimessione emanate nello stesso o in altri giudizi.

Lo ha ribadito la Corte Costituzionale, con l’ordinanza numero 64/18, depositata il 27 marzo. Il caso. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, lett. c , d.lgs. numero 7/2016 Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili , nella parte in cui non prevede che i procedimenti penali aventi ad oggetto la contestazione del reato di minaccia non possano essere estinti mediante il pagamento anche rateizzato di un importo pari alla metà della pena pecuniaria prevista dall’articolo 612 c.p., nonché della medesima disposizione nella parte in cui non prevede l’abrogazione dell’articolo 612 c.p Le censure del giudice a quo. Il rimettente ricorda che la legge delega numero 67/2014 prevedeva l’obbligo per il Governo di prevedere, per i casi in cui venga irrogata la sola sanzione pecuniaria, la possibilità di estinguere il procedimento mediante il pagamento, anche rateizzato, di un importo pari alla metà della sanzione stessa articolo 2, lett. g . Sennonché, il d.lgs. numero 7/2016, nel dare attuazione alla delega, non avrebbe previsto in alcun modo – secondo il giudice a quo – per i casi in cui venga irrogata la sola sanzione pecuniaria tra cui il reato di minaccia , la possibilità per l’imputato di poter estinguere il procedimento tramite il pagamento dell’importo dimezzato della pena stessa pari, nel caso in questione, ad euro 516 . Eccesso di delega e violazione della riserva di legge in materia penale. Secondo il rimettente, tale disciplina sarebbe contraria al dettato costituzionale di cui agli articolo 25 e 70 Cost., concretizzando un eccesso di delega del Governo. Sul punto, viene ricordato che solo il legislatore e, quindi, il Parlamento può individuare, nel rispetto dei principi della Costituzione, i beni da tutelare mediante la sanzione penale cfr. Corte Cost., numero 447/1998 . Inoltre, la legge approvata dal Parlamento non può rimettere ad altre autorità il potere di determinare in via normativa, a propria scelta, se sanzionare o no penalmente certe infrazioni e se sanzionarle in una misura e con certe modalità piuttosto che diversamente cfr. Corte Cost., numero 282/1990 . Sempre a detta del rimettente, la legge delega numero 67/2014 sarebbe chiara nell’imporre al Governo la possibilità di estinguere il procedimento penale pendente mediante il pagamento anche rateizzato di un importo pari alla metà della sanzione pecuniaria prevista per tutti quei reati, come l’articolo 612 c.p., che prevedano la sola sanzione pecuniaria. Disparità di trattamento. Sempre secondo il giudice a quo, la disciplina censurata determinerebbe, altresì, una immotivata disparità di trattamento con relativa violazione dell’articolo 3 Cost., laddove viene abrogato in toto l’articolo 594 c.p. – che prevede, per il reato di ingiuria, pene ben più alte dell’articolo 612 c.p. – e non viene abrogato l’articolo 612 c.p., che prevede, per il reato di minaccia, la sola pena pecuniaria. Pertanto, vi sarebbe un’evidente disparità di trattamento tra colui al quale viene contestato il reato di ingiuria, che si vedrebbe mandato assolto perché il fatto non e più previsto dalla legge come reato e colui al quale viene contestato il reato di minaccia, che dovrebbe comunque affrontare il processo penale per un reato che prevede una pena di gran lunga inferiore rispetto a quella prevista dall’articolo 594 c.p Questione inammissibile la decisione della Consulta è rinviata. La pronuncia in commento non entra nel merito delle questioni sollevate dal rimettente, dal momento che l’ordinanza di rimessione ha omesso di descrivere la fattispecie oggetto del giudizio a quo, limitandosi ad un mero rinvio alle argomentazioni contenute nell’istanza proposta dal difensore di alcuni degli imputati tale lacuna, per consolidata giurisprudenza della Consulta, determina l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale. In particolare, la Corte ricorda che, nei giudizi incidentali di costituzionalità delle leggi, non è ammessa la cosiddetta motivazione per relationem. Infatti, il principio di autonomia di ciascun giudizio di costituzionalità in via incidentale, quanto ai requisiti necessari per la sua valida instaurazione ed il conseguente carattere autosufficiente della relativa ordinanza di rimessione, impongono al giudice a quo di rendere espliciti, facendoli propri, i motivi della ritenuta non manifesta infondatezza, non potendo limitarsi ad un mero richiamo di quelli evidenziati dalle parti nel corso del processo principale cfr. Corte Cost., ex plurimis numero 49/2015, numero 22/2015 e numero 10/2015 , ovvero anche in altre ordinanze di rimessione emanate nello stesso o in altri giudizi così Corte Cost., numero 19/2018, numero 42/2017 e numero 170/2015 .

Corte Costituzionale, ordinanza 21 febbraio – 27 marzo 2018, numero 64 Presidente Lattanzi – Redattore Amoroso Fatto e diritto Ritenuto che, con ordinanza del 30 marzo 2016, il Giudice di pace di Firenze ha sollevato, in riferimento agli articolo 3, 25 e 70 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, lettera c , del decreto legislativo del 15 gennaio 2016, numero 7 Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, numero 67 , «nella parte in cui non prevede che i procedimenti penali aventi ad oggetto la contestazione del reato di cui all’articolo 612 c.p. non possano essere estinti mediante il pagamento anche rateizzato di un importo pari alla metà della pena pecuniaria prevista dall’articolo 612 c.p.», nonché della medesima disposizione «nella parte in cui non prevede l’abrogazione dell’articolo 612 c.p.» che il rimettente riferisce di procedere nei confronti di quattro soggetti imputati dei reati di cui agli articolo 594 e 612 del codice penale e di ritenere la rilevanza e la non manifesta infondatezza «della questione proposta dall’Avv. Pamela Bonaiuti con l’istanza depositata da intendersi interamente qui ritrascritta e che si allega» che, con atto depositato il 6 settembre 2016, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili atteso che l’ordinanza di rimessione è affetta da totale assenza di descrizione della fattispecie concreta, nonché da un assoluto difetto di motivazione in punto di rilevanza che comunque – osserva l’Avvocatura – nel merito le questioni sarebbero infondate in relazione a tutti i parametri indicati dal rimettente che l’Avvocatura pone in rilievo, in particolare, come debba essere disatteso l’assunto della mancata attuazione della previsione contenuta nella legge delega del 28 aprile 2014, numero 67 Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili , relativa alla possibilità, nei casi in cui venga irrogata la sola sanzione pecuniaria, di estinzione del procedimento mediante il pagamento, anche rateizzato, di un importo pari alla metà della stessa pena, in considerazione del rinvio, nei limiti della compatibilità, alla legge 24 novembre 1981, numero 689 Modifiche al sistema penale ed in particolare all’articolo 26 di detta legge che consente il pagamento rateale che, quanto all’asserita disparità di trattamento con il reato di cui all’articolo 594 cod. penumero , oggetto di abrogazione a differenza di quello di cui all’articolo 612 cod. penumero , nonostante quest’ultimo preveda una pena inferiore, rileva l’Avvocatura come il legislatore delegato si sia ispirato ai criteri di delega nel depenalizzare alcune ipotesi delittuose a tutela della fede pubblica, dell’onore e del patrimonio, accomunate dal fatto di incidere prevalentemente su interessi di natura privata e di essere procedibili a querela che comunque ampia è, in questa materia, la discrezionalità del legislatore che con successiva memoria l’Avvocatura ha ribadito le considerazioni già svolte. Considerato che il rimettente ha motivato l’ordinanza di rimessione mediante mero ed integrale rinvio alle argomentazioni contenute nell’istanza proposta dal difensore di alcuni degli imputati, limitandosi ad affermare che essa è «da intendersi interamente qui ritrascritta e che si allega» che l’ordinanza di rimessione è del tutto priva della descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo che tale lacuna, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, determina l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale ex plurimis, ordinanze numero 7 del 2018 e numero 46 del 2017 che, inoltre, le questioni sono manifestamente inammissibili anche alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, nei giudizi incidentali di costituzionalità delle leggi, non è «ammessa la cosiddetta motivazione per relationem. Infatti, il principio di autonomia di ciascun giudizio di costituzionalità in via incidentale, quanto ai requisiti necessari per la sua valida instaurazione, e il conseguente carattere autosufficiente della relativa ordinanza di rimessione, impongono al giudice a quo di rendere espliciti, facendoli propri, i motivi della ritenuta non manifesta infondatezza, non potendo limitarsi ad un mero richiamo di quelli evidenziati dalle parti nel corso del processo principale ex plurimis, sentenze numero 49, numero 22 e numero 10 del 2015 ordinanza numero 33 del 2014 , ovvero anche in altre ordinanze di rimessione emanate nello stesso o in altri giudizi sentenza numero 103 del 2007 ordinanze numero 156 del 2012 e numero 33 del 2006 » sentenza numero 170 del 2015 orientamento, di recente, ribadito nella sentenza numero 42 del 2017 e nell’ordinanza numero 19 del 2018. Visti gli articolo 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, numero 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, lettera c , del decreto legislativo 15 gennaio 2016, numero 7 Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, numero 67 , sollevate, in riferimento agli articolo 3, 25 e 70 della Costituzione, dal Giudice di pace di Firenze con l’ordinanza indicata in epigrafe.