Acqua, carta e cicche lanciate sul balcone: condannato

Sanzionati i comportamenti di un uomo che ha preso di mira la famiglia che vive al piano di sotto. Per i Giudici è legittimo parlare di «getto pericoloso di cose».

«L’ho fatto per dispetto». Così ai carabinieri ha spiegato i suoi comportamenti, consistiti nel lanciare acqua, carta e mozziconi di sigaretta sul balcone dell’appartamento del piano di sotto. E quelle parole ora lo inchiodano inevitabile la condanna per «getto pericoloso di cose» Cassazione, sentenza numero 9474/2018, Sezione Terza Penale, depositata oggi . Lanci. Contesto della vicenda è un palazzo in un piccolo paese in provincia di Pescara. A finire sotto accusa è un uomo di neanche 20 anni, che prende di mira la famiglia che vive nell’appartamento posto al piano di sotto. Egli si diverte a «lanciare secchi d’acqua, carta straccia e mozziconi di sigaretta» sul balcone sottostante. Quelle condotte, ripetute più volte, gli valgono prima una denuncia e poi una condanna. Su questo punto concordano sia il Tribunale che la Corte di Cassazione, ritenendo evidente che i comportamenti incivili tenuti dall’uomo siano catalogabili come «molestie» in piena regola. I Giudici del ‘Palazzaccio’ precisano che sì «la contravvenzione di “getto pericoloso di cose” non è configurabile quando l’offesa, l’imbrattamento o la molestia abbiano ad oggetto esclusivamente cose e non persone» ma «ai fini della configurabilità del reato di “getto pericoloso di cose” non si richiede che la condotta contestata abbia cagionato un effettivo nocumento, essendo sufficiente che essa sia idonea ad offendere, imbrattare o molestare le persone». E in questa vicenda è certo che «il getto ha interessato il balcone», cioè «un luogo abitualmente frequentato dalle persone che abitavano l’appartamento». Per chiudere definitivamente il contenzioso, però, sarà necessario un nuovo passaggio in Tribunale, poiché, osservano i giudici della Cassazione, «la pena pecuniaria» decisa nei confronti dell’uomo, cioè «400 euro», è illegale, poiché «la contravvenzione» in ballo «è punita con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a 206 euro».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 dicembre 2017 – 2 marzo 2018, numero 9474 Presidente Savani – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. Fe. De Anumero ricorre per cassazione impugnando la sentenza con la quale il tribunale di Pescara lo ha condannato, previa riqualificazione del fatto contestato negli articoli 674 e 659 del codice penale, alla pena di Euro 400 di ammenda in relazione al solo reato di cui all'articolo 674 del codice penale, assolvendolo per il resto, perché, mediante il getto di secchi d'acqua, carta straccia e mozziconi di sigaretta sul balcone dell'appartamento sottostante, procurando anche rumori molesti in varie ore della giornata, per petulanza ed altro biasimevole motivo, recava molestia e disturbo a Pa. Ca. ed al suo nucleo familiare abitante dell'appartamento sottostante al suo. In Bussi sul Tirino del 16 luglio 2012. 2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza il ricorrente a mezzo del difensore articola due motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'erronea interpretazione della legge penale in relazione all'articolo 674 del codice penale e vizio di motivazione su punti decisivi per il giudizio articolo 606, comma 1, lettera e , del codice di procedura penale , sul rilievo che l'imputato doveva essere assolto dal reato di cui all'articolo 674 del codice penale per insussistenza del fatto dovendosi escludere che il getto d'acqua proveniente dall'alto sia sussumibile nell'ambito di una delle ipotesi criminose descritte dall'articolo 674 del codice penale, avendo il getto attinto cose e non persone, senza neppure che sia stata accertata la consistenza del versamento, e, in ogni caso, il ricorrente andava prosciolto per non aver commesso il fatto, quantomeno a livello dubitativo ex articolo 530 cpv. del codice di procedura penale, essendo stato accertato che egli non era l'unico ad abitare l'appartamento dal quale il getto d'acqua sarebbe scaturito né, a tal fine, potevano essere utilizzate le dichiarazioni attribuite all'imputato sul luogo del fatto da parte della polizia giudiziaria, stante il divieto di inutilizzabilità di cui all'articolo 62 del codice di procedura penale. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l'eccessività della pena inflitta, per violazione di legge, essendo stato violato il principio di legalità per avere il Tribunale comminato la sanzione pecuniaria dell'ammenda quantificata in Euro 400,00 ovverosia per un importo quasi raddoppiato rispetto al limite edittale massimo previsto dall'articolo 674 del codice penale. Considerato in diritto 1. Si dà atto che la motivazione della sentenza è redatta in forma semplificata. Il ricorso è fondato per quanto di ragione sulla base del secondo motivo. 2. Il primo motivo è inammissibile. Dal testo della sentenza impugnata, neppure contrastata in parte qua dal ricorrente, risulta che il teste, Fe. Ci., ha deposto affermando di aver notato i panni stesi e l'ombrellone bagnato nonché una pattuglia dei Carabinieri che parlava con sua moglie, Pa. Ca., la quale riferì che la mattina del 16 luglio 2012, avendo sentito dei rumori provenire dall'appartamento sovrastante, usci sul balcone e anch'ella vide l'ombrellone ed i panni stesi pieni d'acqua. Non vide però chi avesse fatto ciò, ma richiese l'intervento dei Carabinieri che, giunti sul posto, avevano scattato alcune foto. La teste Ca. ha dichiarato che, in presenza del maresciallo Sc., l'imputato si era assunto la responsabilità del fatto, dicendo che l'aveva fatto per dispetto. Sulla base di questa testimonianza, il Tribunale, ha ritenuto provata la commissione del reato e quindi ha accertato che il getto d'acqua fosse riconducibile all'imputato cosicché ha riqualificato il fatto ai sensi dell'articolo 674 cod. penumero , condannando l'imputato alla pena di Euro 400,00 di ammenda. 3. Il ricorrente lamenta che il Tribunale gli ha attribuito il fatto contestato sulla base di una dichiarazione che, proveniente dall'imputato stesso, era e doveva ritenersi inutilizzabile. Nel caso di specie, l'imputato aveva reso la dichiarazione autoaccusatoria in presenza dei Carabinieri e, al tempo stesso, della persona offesa che l'aveva chiaramente percepita. Stando così le cose, deve ritenersi che il divieto di testimonianza ex articolo 62 cod. proc. penumero , opera solo in relazione alle dichiarazioni rese nel corso del procedimento all'autorità giudiziaria, alla polizia giudiziaria e al difensore nell'ambito dell'attività investigativa e, pertanto, restano escluse da tale divieto le dichiarazioni, anche se a contenuto confessorio, rese dall'imputato o dall'indagato ad un soggetto non rivestente alcuna di tali qualifiche Sez. 5, numero 30895 del 09/03/2016 D'Elia, Rv. 267699 Sez. 3, numero 12236 del 12/02/2014, F., Rv. 259297 , a nulla rilevando se il soggetto terzo sia risultato destinatario della dichiarazione da solo o unitamente ad un soggetto qualificato per il quale invece il divieto è, a condizioni esatte, operativo e fermo restando che il fatto da provare resta governato dalle regole probatorie che ordinariamente presiedono l'accertamento penale, il quale è fondato sulla presunzione di non colpevolezza e richiede il superamento, per l'affermazione della responsabilità, del dubbio ragionevole. La ragione di ciò deve ricercarsi nel fatto che, in tali situazioni ossia nel caso in cui la dichiarazione autoaccusatoria sia percepita da un terzo, viene meno il collegamento funzionale con il procedimento penale, che è alla base del divieto stesso. Perciò, la doglianza del ricorrente non ha fondamento e correttamente il Tribunale sulla base delle evidenze disponibili l'assunzione del fatto da parte dell'imputato e la circostanza che egli occupasse l'immobile sovrastante dal quale il getto proveniva ha ritenuto di radicare l'accertamento di responsabilità. Pur essendo condivisibile l'affermazione secondo la quale la contravvenzione di getto pericoloso di cose non è configurabile quando l'offesa, l'imbrattamento o la molestia abbiano ad oggetto esclusivamente cose e non persone Sez. 3, numero 22032 del 13/04/2010, Chelli, Rv. 247612 , deve ritenersi che, ai fini della configurabilità del reato di getto pericoloso di cose, non si richiede che la condotta contestata abbia cagionato un effettivo nocumento, essendo sufficiente che essa sia idonea ad offendere, imbrattare o molestare le persone Sez. 3, numero 971 del 11/12/2014, dep. 2015, Ventura, Rv. 261794 . La qual cosa deve ritenersi del tutto sussistente nel caso di specie in considerazione del fatto che il getto ha interessato un luogo abitualmente frequentato dalle persone che abitavano l'appartamento. 4. Il secondo motivo è invece fondato perché la contravvenzione ritenuta in sentenza è punita con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a 206,00 Euro, cosicché la pena pecuniaria di 400,00 Euro è, all'evidenza, illegale e la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame sulla determinazione della sanzione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena con rinvio per nuovo esame al tribunale di Pescara. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.