Foto scattate di nascosto: sequestrabile il cellulare

Il riprendere o scattare con il cellulare poche e sporadiche foto senza il consenso del soggetto fotografato, configura un’ipotesi di molestia o disturbo alle persone ex art. 660 c.p., che consente il sequestro probatorio del cellulare stesso.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 9446/18, depositata il 1° marzo. Il caso. Il Tribunale di Palermo confermava, con ordinanza, il decreto di convalida emesso dal PM relativo al sequestro probatorio del telefono cellulare dell’indagato per il reato di molestie ex art. 660 c.p Difatti, emergeva da una denuncia-querela che l’indagato avrebbe seguito la querelante all’interno di un centro commerciale e l’avrebbe ripresa attraverso il proprio cellulare. Avverso l’ordinanza l’indagato ricorre per cassazione denunciando l’insussistenza del reato contestato, nonché, dunque, l’inapplicabilità del sequestro, in ragione dei pochi e sporadici scatti fotografici eseguiti. Il sequestro e le molestie. Il Supremo Collegio ribadisce che il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse ex artt. 324 e 325 c.p.p. è previsto solo per violazione di legge, tra le quali rientrano sia gli errori in iudicando o in procedendo che motivazionali. Ora, la Suprema Corte rileva che nel caso di specie il provvedimento impugnato non è affatto immotivato e le ragioni che lo sostengono sono oggetto di illustrazione coerente, comprensibile e giuridicamente corretta . Difatti, il reato di molestie o di disturbo alle persone ex art. 660 c.p. è teso a perseguire quei comportamenti astrattamente idonei a suscitare nella persona direttamente offesa, ma anche nella gente, reazioni violente o moti di disgusto o di ribellione, che influiscono negativamente sul bene giuridico tutelato che è l’ordine pubblico , laddove la molestia o il disturbo devono esser valutati con riferimento alla psicologia normale media, cioè in relazione al modo di sentire e di vivere comune . Pertanto, l’ordinanza impugnata, che ha ritenuto sussistente il fumus del reato, stimando il fatto, come rappresentato nella sua oggettività che nemmeno il ricorrente contesta, idoneo ad integrare l’interferenza momentanea nella tranquillità del privato, indipendentemente dalla percezione del soggetto fotografato, si sottrae alla censura circa la non configurabilità, nemmeno in astratto, della contravvenzione ipotizzata . La Corte dunque rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 24 maggio 2017 – 1 marzo 2018, n. 9446 Presidente Cortese – Relatore Saraceno Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo, investito ex art. 324 cod. proc. pen. della richiesta di riesame avanzata da T.G. , indagato del reato di cui all’art. 660 cod. pen., confermava il decreto di convalida emesso il 29 giugno 2016 dal Pubblico ministero, relativo al sequestro probatorio del telefono cellulare del ricorrente. 1.1 Rammentato in premessa che, in sede di riesame del sequestro probatorio, il Tribunale è chiamato a verificare l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutandone il fumus in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell’accusa, ma con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utili ulteriori indagini, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato, osservava a ragione della decisione - che correttamente era stato ipotizzato il reato di molestia o disturbo alle persone, emergendo dalla denuncia-querela proposta da M.D. e dall’annotazione di servizio del 28.06.2016 che il T. era stato colto nell’atto si seguire la prima all’interno del centro commerciale Ipercoop, seduto su una carrozzina per disabili e intento a riprendere la giovane donna con il suo telefono cellulare - che il Pubblico ministero procedente aveva esaurientemente dato conto nel decreto della natura di corpo di reato della res in sequestro nonché della necessità di mantenimento del vincolo reale ai fini delle indagini, in particolare per accertare la presenza di documenti fotografici della donna all’interno del telefono cellulare. 2. Ha proposto ricorso l’indagato, a mezzo del difensore avvocato Massimo Spoto, chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata. Denunzia violazione di legge in relazione agli artt. 660 cod. pen. e 355, 324 cod. proc. pen. e vizio della motivazione, sostenendo che, nel caso in esame, non ricorrevano, neppure astrattamente, i presupposti per configurare la contravvenzione ipotizzata, in quanto, per come rappresentato dalla stessa M. nella successiva denuncia di cui sono riportati ampi stralci nel ricorso, la condotta asseritamente posta in essere dall’indagato non aveva invaso la libera determinazione della persona offesa, non aveva recato molestia o disturbo alla stessa, non essendosi la donna accorta di nulla, tanto che la denuncia veniva sporta sulla base di quanto era stato visto dai vigilanti addetti alla sicurezza del supermercato. Considerato in diritto Osserva il Collegio che l’impugnazione è quantomeno infondata. 1- Il ricorrente non contesta là sussistenza di esigenze probatorie ma l’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito nella previsione dell’art. 660 cod. pen., deducendo che l’indagato aveva al più eseguito pochi e sporadici scatti fotografici, di cui la persona fisica ritratta nemmeno si era avveduta, ragione per la quale non era ipotizzabile nessuna lesione alla tranquillità personale bene giuridico tutelato dalla norma contestata . Ma il discorso giustificativo del provvedimento non presenta alcuna carenza motivazionale, avendo il Tribunale, richiamando sia il tenore della denunzia della persona offesa che l’annotazione di servizio della polizia giudiziaria, sinteticamente ma compiutamente dato atto della condotta tenuta dall’indagato, ritenuta in astratto sussumibile nel paradigma normativo della fattispecie contestata. 1.1 Giova ribadire che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse a norma dell’art. 324 cod. proc. pen. in materia di sequestro preventivo o probatorio è previsto dall’art. 325 cod. proc. pen., comma 1, solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errori in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali però da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 . Ora nel caso di specie il provvedimento impugnato non è affatto come risulta dalla esposizione in fatto immotivato e le ragioni che lo sostengono sono oggetto di illustrazione coerente, comprensibile e giuridicamente corretta. E, difatti, in materia di molestia o di disturbo alle persone, l’art. 660 cod. pen. è teso a perseguire quei comportamenti astrattamente idonei a suscitare nella persona direttamente offesa, ma anche nella gente, reazioni violente o moti di disgusto o di ribellione, che influiscono negativamente sul bene giuridico tutelato che è l’ordine pubblico. Essendo oggetto di tutela la tranquillità pubblica per l’incidenza che il suo turbamento ha sull’ordine pubblico, l’interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa, sicché la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate. Si è, pertanto, affermato che, ai fini della sussistenza del reato previsto dall’art. 660 cod. pen., la molestia o il disturbo devono essere valutati con riferimento alla psicologia normale media, in relazione cioè al modo di sentire e di vivere comune, cosicché nell’ipotesi in cui il fatto sia oggettivamente molesto o disturbatore, è del tutto irrilevante che la persona offesa non abbia risentito alcun fastidio Sez. 5 n. 7355 del 23/05/1984, De Gasperi, Rv. 165668 Sez. 1 n. 18145 del 2/04/2014, Cristodero, n.m. . 2. Alla luce dei richiamati principi di diritto, l’ordinanza impugnata, che ha ritenuto sussistente il fumus del reato, stimando il fatto, come rappresentato nella sua oggettività che nemmeno il ricorrente contesta, idoneo ad integrare l’interferenza momentanea nella tranquillità del privato, indipendentemente dalla percezione del soggetto fotografato, si sottrae alla censura circa la non configurabilità, nemmeno in astratto, della contravvenzione ipotizzata. Il ricorso va dunque respinto e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.