I criteri per la concessione della detenzione domiciliare: tra rapporti familiari e pericolosità sociale

Nella valutazione delle richiesta della detenuta di detenzione domiciliare, il giudice deve fare una concreta valutazione degli interessi in gioco, bilanciando l’interesse dello Stato all’esecuzione in forma carceraria della sanzione penale con le esigenze familiari della richiedente.

Così la Cassazione con sentenza n. 5500/18, depositata il 6 febbraio. Il caso. La vicenda, oggetto di ricorso per cassazione, traeva origine dalla decisione del Tribunale di Sorveglianza di Salerno, il quale respingeva le richieste della detenuta di affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine di detenzione domiciliare, in qualità di madre con figli di età inferiore a 10 anni. A sostegno della sua decisione il Tribunale rilevava la pericolosità dell’istante, la quale in precedenza aveva continuato a delinquere durante l’affidamento in prova concesso come misura alternativa in passato. Contro tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la detenuta deducendo la violazione dell’art. 47- ter , comma 1, lett. a , ord. pen. Detenzione domiciliare , per non aver il Giudice di merito considerato la documentata situazione personale e familiare della medesima madre di 9 figli, alcuni con problemi di salute . Il diritto all’affettività del minore e le istanze di difesa sociale. La Cassazione ha ribadito che la detenzione domiciliare, a norma dell’art. 47- ter, comma 1, lett. a , ord. pen., è un istituto volto a tutelare interessi costituzionalmente garantiti quali la protezione della maternità, dell’infanzia e del rapporto tra figlio-genitore in una fase delicata dello sviluppo psico-fisico del minore . Dai richiami costituzionali emerge la prevalenza delle esigenze di tutela del minore e della salvaguardia dei rapporti familiari sull’interesse dello Stato all’esecuzione in forma carceraria della sanzione penale. Ciò posto, osserva la Suprema Corte, nel caso in cui vi sia un concreto pericolo di commissione di ulteriori reati il diniego del beneficio della detenzione domiciliare deve essere deciso dopo una seria valutazione del Giudice in merito in merito al bilanciamento tra il diritto all’affettività del minore e le istanze di difesa sociale . Secondo la Corte, nella fattispecie, il Tribunale ha respinto le richieste della condannata senza rispettare i suddetti principi, non prendendo in considerazione l’effettiva condizione familiare della detenuta né la sua attuale pericolosità. Infatti il Tribunale si è limitato al mero richiamo di precedenti negativi in relazione alla ricorrente, senza valutare i comportamenti positivi della condannata durante il periodo di una pregresse detenzione domiciliare. Per queste ragioni la S.C. ha ritenuto fondato il ricorso della ricorrente ed ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per un nuovo esame nel rispetto dei principi indicati.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 luglio 2017 – 6 febbraio 2018, n. 5500 Presidente Sandrini – Relatore Saraceno Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe indicata il Tribunale di sorveglianza di Salerno respingeva le richieste formulate da C.A. di affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, di detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47 ter, comma 1, lett. a , ord. pen., quale madre di prole di età inferiore ad anni dieci. Il Tribunale argomentava il rigetto dalla personalità della condannata, gravata da precedenti penali, destinataria di avviso orale, rilevando che la stessa aveva continuato a delinquere anche dopo aver fruito in passato delle misure alternative dell’affidamento in prova e della detenzione domiciliare e, che, da ultimo, in data 5.2.2015 era stata denunziata per aver partecipato ad una rissa. 2. Avverso tale ordinanza la C. ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, denunciando violazione di legge in relazione all’art. 47 ter, comma 1, lett. a , ord. pen. e difetto di motivazione. Si duole che il Tribunale abbia rigettato l’istanza sulla base di un’erronea interpretazione delle norme disciplinanti la detenzione domiciliare, limitando il proprio vaglio alla sola pericolosità dell’istante, ma di fatto ignorando la documentata condizione personale e familiare della C. , madre di nove figli, di cui gli ultimi due minori di anni dieci, uno dei quali con problemi di salute. Si evidenzia, altresì, che nella formulazione della prognosi di pericolosità non era stata considerata l’epoca dell’ultimo reato, risalente all’anno 2012, né era stata apprezzata l’assenza di condanne e carichi pendenti per il reato di evasione tali da giustificare un giudizio di inadeguatezza della misura al contenimento e alla prevenzione del rischio di recidiva. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. 1. La detenzione domiciliare di cui all’art. 47 ter, comma 1, lett. a ord. pen. è istituto teso alla tutela di interessi costituzionalmente garantiti, quali la protezione della maternità, dell’infanzia e del rapporto tra figlio-genitore in una fase delicata dello sviluppo psico-fisico del minore. Molteplici sono stati nel corso degli anni gli interventi in materia della Corte costituzionale che ha ribadito la preminenza della tutela del minore e della salvaguardia dei rapporti familiari sull’interesse dello Stato all’esecuzione in forma carceraria della sanzione penale da Corte cost. n. 215 del 1990 che ha eliminato la preclusione per il figlio di ricevere assistenza dal padre detenuto quando la madre si trovi nell’assoluta impossibilità di provvedervi, sino a Corte cost. n. 239 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis, comma 1, ord. pen. nella parte in cui esclude dal divieto di concessione dei benefici l’art. 47 ter, comma 1, lett. a , ord. pen. . Il diniego del beneficio fondato sulla pericolosità sociale è senza dubbio consentito nella misura in cui, nella tutela degli interessi cui mira tale istituto, deve comunque essere rispettata la condizione della sussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori reati va, dunque, operato un bilanciamento tra il diritto all’affettività del minore e le istanze di difesa sociale e spetta al giudice il compito di contemperare le opposte esigenze. 2. Il Tribunale ha respinto le richieste della condannata senza in alcun modo differenziare il giudizio di immeritevolezza in base ai diversi presupposti di ammissione alle varie misure e senza considerare, in particolare, che la detenzione domiciliare per madre di fanciullo infradecenne è, a differenza delle altre, misura umanitaria e assistenziale e che la stessa può essere negata, in presenza dei presupposti oggettivi per la sua applicazione, solo in situazione in cui risulti una condizione soggettiva di reale pericolo attuale e basato su fatti concreti di recidiva specifica. Ebbene, la motivazione del provvedimento risulta, sotto tale profilo, carente di un’effettiva individuazione di indici concreti di attuale pericolosità sociale della condannata, nonché di un’effettiva comparazione tra gli stessi e l’esigenza di tutela del diritto all’affettività dei minori che non può essere banalizzata con la tautologica affermazione, posta a premessa della decisione, ossia che l’ avere prole di età inferiore ai dieci anni non è ovviamente di per sé sufficiente per il conseguimento della misura alternativa alla detenzione . 2.1 Il Tribunale ha posto a base del diniego il mero richiamo ai precedenti penali della ricorrente, senza nemmeno specificarne natura e tipologia e omettendo di collocare con precisione nel tempo i fatti oggetto delle pregresse condanne ha valorizzato una denunzia del febbraio 2015 per rissa senza alcun esame specifico dell’episodio denunziato ha valorizzato in negativo la commissione di nuovi illeciti dopo la fruizione di misure alternative, ma nessun accenno ha fatto al comportamento tenuto dalla condannata durante il periodo di pregressa detenzione domiciliare, né alla sua situazione familiare e alle condizioni di salute di uno dei minori infredecenni. 3. Sicché ha ragione il difensore quando afferma che la prognosi di recidiva formulata non appare sostenuta da dati concreti ed attuali ed è immotivata quanto all’eventuale percorso di risocializzazione intrapreso, come pure immotivato è il provvedimento quanto alla idoneità della misura alternativa al contenimento del rischio di recidiva. Alla luce di tali carenze motivazionali si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio al Tribunale di sorveglianza di Salerno per nuovo esame nel rispetto dei principi sopra enunciati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Salerno.