Bancarotta fraudolenta distrattiva o preferenziale? Qualificazione della condotta dell’amministratore unico della società fallita

Risponde di bancarotta fraudolenta distrattiva o di bancarotta preferenziale, l’amministratore unico dell’impresa poi dichiarata fallita, che prima della dichiarazione di fallimento dispone il pagamento delle proprie prestazioni professionali?

Non risponde né di bancarotta fraudolenta distrattiva né di bancarotta preferenziale, il consigliere delegato - poi amministratore unico di s.r.l. - il quale, in presenza di creditori, dispone a proprio favore i pagamenti relativi alle proprie prestazioni professionali, se i diritti di credito non risultano documentati nel procedimento penale. In applicazione della disciplina contenuta nel codice di procedura penale relativa all’onere della prova, e di quella del codice civile relativa alle cause legittime di prelazione, da rispettare nel soddisfacimento dei creditori sociali in caso di procedura di liquidazione conseguente alla dichiarazione di fallimento, la Quinta Sezione della Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza n. 3797/18 depositata in cancelleria il 26 gennaio, ha pronunciato il principio sopra enunciato. La fattispecie. Il fatto storico, che ha dato origine alla vicenda processuale oggetto della decisione in commento, è costituito dai pagamenti dei propri crediti professionali, che il consigliere delegato, poi amministratore unico di un impresa dichiarata fallita, nei tre anni antecedenti al fallimento, e già in presenza di uno stato di insolvenza, aveva disposto a suo favore per l’opera prestata nelle predette cariche sociali. La Corte territoriale, alla quale l’imputato appellava la sentenza di condanna pronunciata a seguito di giudizio abbreviato, confermava la sentenza di primo grado, che aveva configurato il fatto, come integrante il delitto di bancarotta preferenziale, anziché quello di bancarotta fraudolenta originariamente oggetto di contestazione. Avverso tale decisione l’imputato ricorreva al Supremo Collegio, lamentando in primo luogo che, relativamente alla modificata imputazione, non aveva formalmente fatto ingresso nel processo penale la prova dell’esistenza di creditori privilegiati, di tal che non si poteva affermare integrato il reato di bancarotta preferenziale, in quanto nel disporre i pagamenti relativamente alle sue spettanze, non era stata posta in essere alcuna lesione della par conditio creditorum in rapporto al privilegio posseduto, ovvero alla presenza di diritti reali di garanzia su cosa altrui, secondo la regolamentazione contenuta nel codice civile. Bancarotta preferenziale e valutazione della prova nel processo penale. I Giudici del Supremo Collegio, rilevavano come i motivi del ricorso fossero in parte fondati, in quanto la lamentata considerazione della presenza di creditori muniti di privilegio di grado superiore a quello del ricorrente non era stata correttamente vagliata. Tale travisazione del fatto, era derivata dalla circostanza che i Giudici di merito avevano considerato la presenza di creditori assistiti da crediti con grado superiore a quello dell’imputato, senza la presenza di un reale riscontro documentale non risultava infatti che nessuno si fosse insinuato nel fallimento per rivendicare i suoi crediti, né che gli eventuali debiti sociali non fossero stati pagati. Tale assunto difensivo, basava la sua ragion d’essere sulla circostanza che in primo grado l’imputato aveva scelto di procedere con il rito del giudizio abbreviato, proprio perché alla scelta di tale rito deflattivo del dibattimento, sarebbe derivata come conseguenza la definizione del processo allo stato degli atti presenti nel fascicolo del Pubblico Ministero, dal quale non emergeva inequivocabilmente la presenza di altri creditori del fallimento. Come evidenziato dai Giudici di legittimità, il credito vantato dall’amministratore unico di società, non risulterebbe, data la sua tipologia, tra quelli assistiti da alcun diritto di prelazione, in quanto le prestazioni professionali fornite da quest’ultimo, non sono annoverabili ne in quelle dei lavoratori subordinati, e nemmeno in quelle delle prestazioni occasionali di natura libero professionale. L’amministratore unico sarebbe infatti legato alla società da un rapporto funzionale di immedesimazione organica simile a quello che lega l’imprenditore alla sua attività, di tal che la retribuzione delle sue prestazioni, non sarebbe valutabile come causa di prelazione, e quindi non equiparabile né alla posizione del lavoratore dipendente, né a quella del prestatore occasionale d‘opera intellettuale, le prestazioni dei quali sono invece garantite da privilegio. È stato anche osservato che l’attività dell’amministratore unico, proprio per l’essenza delle prestazioni nelle quali si caratterizza, può essere in alcuni casi determinante del dissesto funzionale alla dichiarazione di fallimento, ragion per cui a tali prestazioni non può essere riconosciuta alcuna causa di prelazione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 – 26 gennaio 2018 numero 3797 Presidente Palla – Relatore Scotti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16/9/2016 la Corte di appello di Trento ha confermato la sentenza del 19/2/2015 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Rovereto, appellata dall’imputato H.W.R. , che lo aveva ritenuto responsabile del reato di bancarotta preferenziale di cui all’articolo 216, comma 3, l. fall., così riqualificata l’originaria imputazione relativa al reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di cui agli articolo 223 e 216, comma 1, numero 1, legge fall. e, concesse le attenuanti generiche e la riduzione per il rito, lo aveva perciò condannato alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Fallimento s.r.l. , liquidati in Euro 70.000,00, oltre interessi e spese legali. La Corte di appello ha condannato l’imputato H. alla rifusione delle ulteriori spese del grado e gli ha concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, subordinata al risarcimento dei danni in favore della parte civile entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. H.W.R. era stato imputato, in qualità prima di consigliere delegato e poi di amministratore unico di s.r.l., dichiarata fallita in data 8/3/2013, per aver distratto, tra il 2010 e il 2012, dalle casse sociali la complessiva somma di Euro 124.869 destinata al pagamento degli emolumenti di amministratore e relativi contributi previdenziali, in difetto di delibera dell’organo amministrativo che prevedesse un compenso e la sua entità, nonostante la società fosse in perdita dal 2010. 2. Ha proposto ricorso in data 30/12/2016 il difensore di fiducia dell’imputato, avv. Massimilano Versini, svolgendo sei motivi. 2.1. Con il primo motivo proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b e lett. e , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 216, comma 3, l. fall. e dell’articolo 192 cod.proc.penumero , violazione del principio dell’onere probatorio, mancanza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, illogicità della motivazione quanto all’elemento oggettivo del reato. La bancarotta preferenziale si realizza solo se viene alterato l’ordine, stabilito dalla legge, di pagamento dei creditori nella fattispecie mancava appunto la prova della violazione della par condicio creditorum . Il Tribunale aveva ravvisato tale violazione sulla base del fatto che sino al 2012 vi era un dipendente della società H. aveva appellato rappresentando che il dipendente era stato integralmente pagato e nessun dipendente si era insinuato nel fallimento. La Corte territoriale aveva disatteso il motivo, attribuendo rilievo alla presenza di creditori privilegiati come Equitalia e reputando irrilevante che l’altra dipendente fosse la moglie dell’imputato, senza considerare che sarebbe spettato all’accusa sia di dimostrare l’esistenza di crediti di Equitalia, sia il fatto che la dipendente non fosse stata pagata. La Corte di appello aveva poi dato rilievo alla mancata contestazione delle affermazioni della parte civile circa l’insinuazione nel fallimento di creditori privilegiati e chirografari, e ciò erroneamente, sia perché nel processo penale non vale il principio della non contestazione, sia perché lo stato passivo del fallimento non era stato acquisito in seguito all’opposizione della difesa che aveva rilevato di aver accettato il rito abbreviato proprio sulla base del materiale probatorio raccolto dal Pubblico Ministero. Inoltre l’imputato era creditore privilegiato, sicché occorreva la prova del concorso con altri crediti di grado prevalente o equivalente perché si potesse configurare la bancarotta preferenziale. La Corte di appello aveva negato all’H. la qualità di lavoratore dipendente sulla base della deposizione del teste M. ignorando gli elementi probatori da cui emergeva che la UTS era assoggettata al controllo pieno da parte di Eurotrama. Sino al maggio 2011 H. aveva deleghe solo per l’ordinaria amministrazione la contabilità era tenuta da Eurotrama M. aveva qualificato H. come dipendente e come l’unico soggetto sempre presente in ufficio era Ma.Ti. che aveva fissato il compenso per H. . Il rapporto, caratterizzato dalla reiterazione di rapporti di collaborazione continuata e coordinativa in assenza di un progetto, doveva essere configurato giuridicamente in termini di lavoro subordinato, il che escludeva l’esistenza di creditori di grado prevalente. La decisione non era sorretta da adeguata motivazione anche in punto dolo, attribuito a titolo eventuale, senza considerare che H. si considerava un dipendente e che aveva semplicemente prelevato quel compenso, da altri fissato, che remunerava il suo lavoro sin dal 2000, come in precedenza era stato liquidato da altri amministratori. 2.2. Con il secondo motivo proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b e lett. e , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 216, comma 3, l.fall. e laddove la sentenza impugnata aveva affermato che il compenso percepito eccedeva il minimo necessario a garantire le esigenze di vita. Il Tribunale aveva ritenuto il compenso liquidato congruo rispetto all’attività esercitata ma eccedente il livello minimo necessario a garantire le esigenze di vita 1.200-1.300 Euro al mese . Alle obiezioni mosse dall’appellante, che aveva fatto presente che la somma mensile di Euro 2.700,00= era lorda e non netta, non prevedeva TFR e tredicesima, e copriva anche il rimborso delle spese di viaggio e trasferta sostenute dall’imputato, la Corte aveva risposto escludendo che il reddito in questione fosse di pura sussistenza e dissentendo anche dalla valutazione espressa dal Giudice di primo grado, giudicata eccessiva. La voce di spese per trasferte si aggirava sugli Euro 800-1000 mensili, come risultava dalle buste paga, sicché, al netto di imposte e contributi, l’importo effettivo era di 600-700 Euro mensili. 2.3. Con il terzo motivo proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’articolo 216, comma 3, e 67 L. fall., norme parimenti destinate a tutelare lo stesso bene giuridico, ossia la par condicio creditorum . Tale norma nel testo attuale non prevede più la revocabilità dei corrispettivi pagati a titolo di remunerazione delle prestazioni effettuate da qualsiasi collaboratore, anche non subordinato, non fa alcun riferimento ai pagamenti volti a salvaguardare le esigenze di vita e non poteva non rifluire sulla valutazione circa la mancata violazione della par condicio. 2.4. Con il quarto motivo proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione agli articolo 132 e 133 cod.penumero e difetto di motivazione. I Giudici del merito erano partiti da una pena base di anni 3 di reclusione in riferimento all’elevato importo delle somme pagate, senza tener conto del brevissimo periodo di sua amministrazione maggio 2011-maggio 2012 , visto che nel periodo precedente H. aveva solo poteri di ordinaria amministrazione e la società era controllata da Eurotrama e amministrata dalla sig.ra T. . Il compenso risaliva al 2000 e comprendeva un terzo di rimborsi spese il compenso era stato ritenuto congruo dal Tribunale dopo la prima rilevante perdita era stata cessata l’attività H. aveva addirittura licenziato sua moglie dal maggio 2012 non era stata più corrisposta alcuna retribuzione nel marzo del 2013 era stato lo stesso H. a chiedere il fallimento. Vi erano inoltre i presupposti per il riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 219, ultimo comma, l. fall., visto che alla società era stato cagionato un danno di speciale tenuità. Anche la subordinazione della sospensione condizionale all’integrale pagamento del risarcimento era illegittima, tenuto conto della prognosi favorevole che era lecito formulare sul conto dell’imputato, gravato da un precedente del 1996 per fatto di non particolare allarme sociale, per cui era stata chiesta la riabilitazione. 2.5. Con il quinto motivo proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia il contrasto con i principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 27 Cost., in tema di principio di eguaglianza e funzione rieducatrice della pena, l’entità determinata in misura fissa di dieci anni delle pene accessorie in forza di una interpretazione letterale dell’ultimo comma dell’articolo 216 l. fall 2.6. Con il sesto motivo proposto ex articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod.proc.penumero il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione all’articolo 538 cod.proc.penumero e difetto di motivazione in ordine alla congruità del risarcimento del danno liquidato, poiché a tutto concedere l’operazione matematica eseguita dal Tribunale ed avallata dalla Corte di appello doveva essere circoscritta ai soli mesi, maggio 2011 - maggio 2012, in cui H. era stato amministratore unico e aveva potuto in autonomia auto - liquidarsi il compenso. Inoltre occorreva tener conto dei rimborsi delle spese di trasferta e delle imposte sicché il pregiudizio si sarebbe circoscritto a soli Euro 6.000-7.200. 3. Con memoria ex articolo 611 cod.proc.penumero depositata il 28/12/2017 il ricorrente ha ricapitolato i fatti nella loro dimensione temporale, ribadendo che l’imputato era stato amministratore unico di XXX s.r.l. solo per un anno dal maggio 2011 al maggio 2012, percependo lo stipendio solo sino a che aveva effettivamente lavorato prima di verificare l’impossibilità di proseguire l’attività e proporre istanza di fallimento a marzo 2013 in proprio. 3.1. Il ricorrente ha quindi evidenziato i molteplici elementi che dimostravano la sua buona fede ha sottolineato, ai fini della ritenuta eccessività della pena e del riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 219 legge fall. quarto motivo di ricorso , che un terzo di quanto percepito da H. in busta paga 2.600-2.800 Euro era costituito da rimborsi spese per trasferta e che il resto era comunque lordo. 3.2. Il ricorrente ha fatto presente di aver proposto istanza di riabilitazione per il reato di cui al precedente penale del 1996, reputando pertanto illegittima la subordinazione della sospensione condizionale al risarcimento della parte civile. 3.3. Nella prospettiva del sesto motivo di ricorso il ricorrente ha osservato che il danno avrebbe dovuto essere tuttalpiù circoscritto al periodo in cui l’imputato poteva in autonomia determinare il proprio compenso ossia un anno , avrebbe dovuto poi essere defalcato dei rimborsi spese per trasferta e ulteriormente diminuito del minimo vitale indicato dai Giudici in Euro 1.000 mensili, con il risultato che la somma percepita in eccesso sarebbe stata tuttalpiù di Euro 9.600,00. 3.4. Il ricorrente ha ripetuto che mancava la prova della lesione della par condicio primo motivo e che H. doveva essere considerato lavoratore subordinato o, tuttalpiù, collaboratore continuato e coordinato, e comunque quindi creditore privilegiato. Non sussisteva il dolo, poiché H. percepiva il trattamento sin dal 2001. 3.5. Il ricorrente ha richiamato infine il terzo motivo e il disposto dell’articolo 67 legge fall., osservando che, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, la norma in questione non conteneva alcun riferimento ai pagamenti volti a salvaguardare le mere esigenze di vita. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 216, comma 3, l. fall. e dell’articolo 192 cod.proc.penumero , violazione del principio dell’onere probatorio, mancanza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, nonché illogicità della motivazione. 1.1. Il ricorrente, dopo aver puntualizzato che la bancarotta preferenziale si realizza solo se viene alterato l’ordine, stabilito dalla legge, di pagamento dei creditori, sostiene che nella fattispecie mancava la prova della violazione della par condicio creditorum . Il Tribunale aveva ravvisato tale violazione sulla base del fatto che sino al 2012 vi era un dipendente della società che era la moglie dell’imputato H. aveva appellato tale decisione, rappresentando che il dipendente era stato integralmente pagato e che nessun dipendente si era insinuato nel fallimento. La Corte territoriale aveva disatteso il motivo, attribuendo rilievo alla presenza di creditori privilegiati come Equitalia e reputando irrilevante che l’altra dipendente fosse la moglie dell’imputato, senza considerare che sarebbe spettato all’accusa di dimostrare sia l’esistenza di crediti di Equitalia, sia il fatto che la dipendente non fosse stata pagata. 1.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale è necessaria, quanto all’elemento oggettivo, la violazione della par condicio creditorum nella procedura fallimentare espressione del principio inteso ad evitare disparità di trattamento non giustificate dalle cause legittime di prelazione fatte salve dall’articolo 2741 c.c. e, quanto all’elemento soggettivo, il dolo specifico costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri elemento soggettivo . Di conseguenza, la condotta illecita e la conseguente offesa non consistono nell’indebito depauperamento del patrimonio del debitore ma nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori l’evento giuridico della bancarotta preferenziale è costituito dalla minore percentuale riservata ai creditori a causa degli avvenuti pagamenti oppure dal fatto che il creditore favorito dal titolo di prelazione simulato lo abbia fatto valere in sede di riparto dell’attivo fallimentare. Pertanto, nel caso in cui il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, la configurabilità del reato di bancarotta preferenziale presuppone il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti de quibus e non già di qualsiasi altro credito Sez. 5, numero 15712 del 12/03/2014, Consol e altri, Rv. 260221 Sez. 5, numero 7230 del 28/05/1991, Martelli, Rv. 187698 . 1.3. La giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte afferma che risponde di bancarotta preferenziale e non di bancarotta fraudolenta per distrazione l’amministratore che ottenga in pagamento di suoi crediti verso la società in dissesto, relativi a compensi e rimborsi spese, una somma congrua rispetto al lavoro prestato Sez. 5, numero 48017 del 10/07/2015, Fenili, Rv. 266311 Sez. 5, numero 21570 del 16/04/2010, Di Carlo, Rv. 247964 Sez. 5, numero 43869 del 05/10/2007, Mazzoleni, Rv. 237975 Sez. 5, numero 46301 del 17/10/2007, Petilli, Rv. 238291 realizza invece il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione l’amministratore che, in assenza di delibera assembleare che stabilisca la misura dei suoi compensi, prelevi somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto, la cui congruità non sia fondata su dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata e oggettiva valutazione, come, ad esempio, gli emolumenti riconosciuti ai precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, gli impegni orari osservati, i risultati garantiti Sez. 5, numero 17792 del 23/02/2017, Rossi, Rv. 269639 . 1.4. Nella fattispecie la Corte trentina, come già il primo Giudice, hanno ritenuto che H. abbia incassato dalla società poi fallita somme congrue rispetto alla propria attività di amministratore, seppur maggiori di quelle corrispondenti al minimo vitale, ledendo la par condicio creditorum in relazione all’esistenza di creditori muniti di privilegio poziore rispetto al suo, individuati nell’unica dipendente e nel fisco. 1.5. La motivazione addotta dalla Corte trentina incorre nei vizi logici denunciati dal ricorrente. Per quanto riguarda l’unica dipendente della società fallita, creditrice sicuramente munita di privilegio poziore ex articolo 2751 bis numero 1 cod.civ. rispetto all’amministratore, secondo la valutazione dei Giudici del merito e quindi in disparte, per il momento, il tema della natura subordinata o parasubordinata del rapporto di lavoro su cui insiste il ricorrente , la Corte assume in modo del tutto apodittico che ci fossero altri creditori privilegiati, deducendo, apparentemente, tale circostanza dal mero fatto che per un certo periodo ci fosse stata una lavoratrice dipendente e proclamando la totale irrilevanza del rapporto di coniugio intrattenuto con costei da parte dell’imputato. Così ragionando, la Corte ha omesso di confrontarsi con il dato invece essenziale e cioè l’esistenza di crediti insoddisfatti della lavoratrice, dato questo recisamente contestato dal ricorrente, al pari della loro insinuazione nel passivo. Vi è da aggiungere, che almeno sul piano soggettivo, il rapporto di coniugio fra l’amministratore e la dipendente non era poi così irrilevante, come ritenuto dalla Corte territoriale, almeno nella prospettiva della ragionevole consapevolezza in capo all’H. dell’esistenza di crediti insoddisfatti vantati dalla moglie. 1.6. I Giudici trentini, pur escludendo la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra H. e XXXXXX non si sono espressi in modo inequivocabile circa la natura del rapporto e conseguentemente sulla qualificazione del credito per compensi da lui vantato, con particolare riguardo a carattere e grado del privilegio spettante. Infatti, a pagina 9 la sentenza impugnata esclude che l’H. fosse lavoratore subordinato e anche parasubordinato, mentre a pagina 10, a due riprese, la Corte trentina esclude la lesione della par condicio per la presenza di altri creditori privilegiati, sembrando così voler riconoscere anche al credito dell’imputato natura privilegiata e non chirografaria. La questione era tutt’altro che irrilevante poiché l’articolo 2751 bis numero 2 cod.civ. riconosce privilegio generale sui mobili ai crediti per retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d’opera intellettuale per gli ultimi due anni di prestazione, sia pur di grado recessivo rispetto a quello dei lavoratori subordinati, sicché occorreva la prova del concorso con altri crediti di grado prevalente o equivalente perché si potesse configurare la bancarotta preferenziale, esclusa in radice per le ragioni sopra ricordate dal mero concorso di creditori chirografari. 1.7. Tuttavia la giurisprudenza della prima Sezione civile di questa Corte esclude il credito costituito dal compenso in favore dell’amministratore per l’attività lavorativa prestata nella società da quelli individuati all’articolo 2751 bis del codice civile come assistiti da un privilegio generale sui beni propri, affermando che il rapporto che lega l’amministratore, cui è affidata la gestione sociale, alla società è un rapporto di immedesimazione organica, che non può essere qualificato né di lavoro subordinato, né di collaborazione continuata e coordinata. Il credito costituito dal compenso in favore dell’amministratore di società, anche se di nomina giudiziaria, non è assistito dal privilegio generale di cui all’articolo 2751 bis, numero 2, cod. civ., atteso che egli non fornisce una prestazione d’opera intellettuale, né il contratto tipico che lo lega alla società è assimilabile al contratto d’opera, di cui agli articolo 2222 e ss. cod. civ. non presentando gli elementi del perseguimento di un risultato, con la conseguente sopportazione del rischio, mentre l’ opus e cioè l’amministrazione che egli si impegna a fornire non è, a differenza di quello del prestatore d’opera, determinato dai contraenti preventivamente, né è determinabile aprioristicamente, identificandosi con la stessa attività d’impresa Sez. 1, 27/02/2014, numero 4769 Sez. 1, 23/07/2004, numero 13805 Sez. 1, 11/04/1983, numero 2542 in senso conforme, con riferimento al liquidatore, Sez. 1 26/2/2002 numero 2769 è stato anche osservato che la funzione di amministratore porta ad escludere il privilegio anche per una ragione di equità chi ha concorso a provocare la crisi d’impresa non può essere privilegiato rispetto agli altri creditori. Non giova al ricorrente neppure l’invocazione al rapporto intercorso con la società sino al 2011 e etichettato come collaborazione coordinata e continuativa , dell’applicazione dell’articolo 69 del d.lgs. 276 del 2003, cosiddetta Legge Biagi , in base al quale tali rapporti instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto. Detta disposizione, tuttavia, non trova alcuna applicazione nel caso di specie, posto che è lo stesso articolo 61, al comma 3, ad escludere dall’applicazione del capo I, titolo VII del decreto i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni, nonché coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia . 1.8. Il ricorrente lamenta anche che la Corte di appello abbia dato rilievo alla mancata contestazione delle affermazioni della parte civile circa l’insinuazione nel fallimento di creditori privilegiati e chirografari, e ciò erroneamente sia perché nel processo penale non vale il principio della non contestazione, sia perché lo stato passivo del fallimento non era stato acquisito in seguito all’opposizione della difesa che aveva rilevato di aver accettato il rito abbreviato proprio sulla base del materiale probatorio raccolto dal Pubblico Ministero. La Corte si è sottratta al dovere motivazionale, soddisfatto solo in modo meramente apparente, anche quanto all’esistenza di crediti privilegiati del fisco, affermando che nel fallimento si erano insinuati creditori per 150.000,00 Euro, sia privilegiati, sia chirografari, solamente sulla base della mancata contestazione da parte dell’appellante H. di quanto dedotto dalla parte civile nella sua memoria illustrativa, applicando indebitamente nel processo penale il principio civilistico di non contestazione ex articolo 115 cod.proc.civ., strettamente correlato alla struttura dialettica di un processo scritto, imperniato su scansioni tipizzate, fra parti rappresentate da un difensore tecnico, che non ha alcun diritto di cittadinanza nel processo penale ex articolo 193 cod.proc.penumero nel quale non hanno ingresso le regole limitative nella valutazione della prova. La rivendicata diversità dei ruoli svolti dalla legge penale e da quella civile non poteva esonerare dalla debita analisi dell’esistenza di altri crediti di rango poziore o equi-ordinato rispetto a quello dell’H. , secondo le regole civilistiche dell’ordine dei privilegi articolo 2777 cod.civ. poiché queste costituiscono il presupposto dell’offensività della condotta penalmente rilevante della bancarotta preferenziale, che, come sopra ricordato, si risolve nell’alterazione dei pagamenti rispetto alla graduatoria fissata dalla legge civile e solo per questa via nella lesione della par condicio creditorum. 1.9. Lo stato passivo del fallimento non è stato acquisito, ancorché la parte civile con la propria memoria ex articolo 121 cod.proc.penumero , depositata il 15/9/2016, avesse offerto, in linea subordinata, la sua produzione ai sensi dell’articolo 603 cod.proc.penumero , giustificando la precedente inerzia con il fatto che essa non era stata ritenuta necessaria in primo grado a fronte della diversa configurazione del reato in termini di bancarotta distrattiva. Per vero, dalla lettura del verbale, non risulta l’espressa opposizione dispiegata dalla difesa dell’imputato menzionata nel ricorso che comunque ricorda di aver accettato il rito abbreviato proprio sulla base del materiale probatorio raccolto dal Pubblico Ministero. Resta il fatto, comunque, che la Corte trentina non ha disposto l’acquisizione del documento e non si è basata su di esso, ma solo sulle affermazioni della parte civile ritenute valide e probanti solo in quanto non contestate dall’imputato appellante. 2. L’accoglimento del primo motivo per le ragioni sopra esposte determina l’assorbimento del secondo motivo con il quale il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 216, comma 3, l. fall. laddove la sentenza impugnata aveva affermato che il compenso percepito eccedeva il minimo necessario a garantire le esigenze di vita, non tenendo conto del carattere lordo e non netto del compenso mensile, della mancata previsione di TFR e tredicesima, e dell’inclusione nell’importo del rimborso delle spese di viaggio e trasferta sostenute dall’imputato. 3. Con il terzo motivo proposto il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione all’articolo 216, comma 3, e 67 l. fall., norme parimenti destinate a tutelare lo stesso bene giuridico, ossia la par condicio creditorum . Tale norma nel testo attuale non prevede più la revocabilità dei corrispettivi pagati a titolo di remunerazione delle prestazioni effettuate da qualsiasi collaboratore, anche non subordinato, non fa alcun riferimento ai pagamenti volti a salvaguardare le esigenze di vita e non poteva non rifluire sulla valutazione circa la mancata violazione della par condicio. Il motivo non coglie il segno, perché l’esclusione della revocabilità ex articolo 67 L. fall. del pagamento, che agisce solo sul piano dei rimedi processualmente consentiti dalla legge civile, non significa affatto che con esso non sia stato violato l’ordine preferenziale dei pagamenti previsto dalla legge. 4. Resta assorbito il quarto motivo con cui il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione agli articolo 132 e 133 cod.penumero e difetto di motivazione, lamenta il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 219, ultimo comma, L. fall., del danno di speciale tenuità e infine contesta la subordinazione della sospensione condizionale all’integrale pagamento del risarcimento. 5. Resta assorbito il quinto motivo proposto in relazione all’entità determinata in misura fissa di dieci anni delle pene accessorie in forza di una interpretazione letterale dell’ultimo comma dell’articolo 216 L. fall. in contrasto i principi costituzionali di cui agli articolo 3 e 27 Cost., in tema di principio di eguaglianza e funzione rieducatrice della pena. 6. Resta assorbito anche il sesto motivo proposto in ordine alla congruità del risarcimento del danno liquidato. 7. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Bolzano per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Bolzano.