Atti sessuali con minore: l’affidatario (anche se in via informale) agisce con abuso di autorità

Ai fini della configurabilità del rapporto autoritativo che configura l’ipotesi di atti sessuali con minorenni ex art. 609-quater, comma 1, n. 2, c.p., rileva la situazione di fatto venutasi a creare nel rapporto tra imputato e persona offesa, a prescindere dai connotati formali dello stesso.

Sul tema si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1483/18, depositata il 15 gennaio. La vicenda. La Corte d’Appello di Catania respingeva l’opposizione avverso la sentenza di prime cure che aveva condannato l’imputato per aver compiuto atti sessuali con una minore di 14 anni, sua collaboratrice nella gestione di una tabaccheria, reato aggravato dall’abuso di autorità e di relazione di ufficio in quanto aveva approfittato della veste di datore di lavoro della ragazzina a lui affidata da genitori anche per ragioni di custodia. L’imputato ricorre in Cassazione dolendosi, per quanto d’interesse, per difetto di motivazione in ordine alla ritenuta procedibilità d’ufficio del reato contestatogli. Secondo il ricorrente, essendo i fatti avvenuti anche dopo il compimento dei 14 anni da parte della persona offesa, il reato non era procedibile d’ufficio e non poteva essere ricondotto all’ipotesi di cui all’art. 609- quater , comma 1, n. 2, c.p., non sussistendo un vero e proprio affidamento in custodia della minore, condizione che invece i giudici avevano dedotto dal rapporto di lavoro di fatto instaurato con la ragazzina. La posizione autoritativa del soggetto attivo. La doglianza non trova condivisione da parte della Corte di legittimità che richiama la costante giurisprudenza secondo cui la configurabilità dell’abuso di autorità, quale modalità di consumazione del reato di atti sessuali con minorenne, è ricondotta alla sussistenza di un potere di supremazia di natura privata, di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali . In tale contesto può dunque essere soggetto attivo ogni persona rivestita di supremazia o autorità – anche privata – senza particolari ed ulteriori connotazioni, che possa esercitare una forma di influenza o suggestione sul soggetto passivo al fine di coartarne la volontà o condizionarne il comportamento. La giurisprudenza ha inoltre chiamato a sostegno di tale interpretazione l’art. 61, n. 11, c.p. che configura l’aggravante comune per chi commette un reato con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione di opera, di coabitazione o di ospitalità , tutte situazioni coinvolgenti rapporti di natura privatistica. Le diverse situazioni in cui assume rilevanza un rapporti autoritativo di tipo pubblicistico sono infatti espressamente indicati dal legislatore, come nel caso dell’art. 608 c.p. Abuso di autorità contro arrestati o detenuti . Il fatto che il rapporto di lavoro, nel caso di specie, non fosse regolarizzato e fosse inoltre privo dei connotati della subordinazione non fa venir meno la posizione autoritativa di cui il ricorrente ha approfittato. Nemmeno può dirsi incompatibile tale posizione con l’affidamento del minore per ragioni di cura o istruzione in quanto, anche in assenza di un formale rapporto di apprendistato, il minore potrebbe essere affidato al datore di lavoro affinché vigili su di lui durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, favorendone al contempo l’apprendimento della stessa. Tornando alla vicenda, correttamente la Corte di merito ha riconosciuto la sussistenza di un’autorità del ricorrente sulla minore a lui affidata dai genitori che si trovavano in difficoltà economica anche durante l’orario scolastico, situazione interpretata dai giudici come una sorta di trasferimento delle loro attribuzioni all’imputato per il tempo in cui la ragazza si trovava presso di lui . Concludendo dunque per l’infondatezza delle doglianze relative alla sussistenza di un rapporto di affidamento, all’abuso della posizione di supremazia di fatto assunta dal ricorrente nei confronti della ragazzina ed alla improcedibilità d’ufficio, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 settembre 2017 – 15 gennaio 2018, n. 1483 Presidente Fiale – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5 luglio 2016 la Corte d’appello di Catania ha respinto l’impugnazione proposta da A.N. nei confronti della sentenza del Tribunale di Catania del 8 giugno 2011, con cui lo stesso era stato condannato alla pena di anni sette di reclusione, in relazione al reato di cui agli artt. 609 bis, comma 1, 609 ter, comma 1, n. 1, 609 quater, comma 1, nn. 1 e 2, e 609 septies, comma 4, nn. 1 e 2, cod. pen. ascrittogli per avere compiuto atti sessuali con una minore di 14 anni, che collaborava con lui nella gestione di una rivendita di tabacchi , aggravato dall’abuso di autorità e di relazioni di ufficio e profittando della veste di datore di lavoro della minore, affidatagli dai genitori anche per ragioni di custodia. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, affidato a due articolati motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione. 2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione dell’art. 609 quater cod. pen. e mancanza di motivazione, riguardo alla procedibilità d’ufficio del reato contestatogli. Ha esposto che i fatti contestati, compiuti anche successivamente al compimento dei quattordici anni di età da parte della persona offesa, non erano procedibili d’ufficio, con la conseguente necessità della verifica della configurabilità di una delle ipotesi previste dall’art. 609 quater, comma 1, n. 2, cod. pen., che la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto ravvisabile nel rapporto di lavoro di fatto instaurato con la minore, che, ad avviso dei giudici di merito, avrebbe determinato una situazione di fatto riconducibile o assimilabile alla custodia ha contestato che tale rapporto di lavoro costituisse una ipotesi di affidamento in custodia della minore, non desumibile dalla sola instaurazione di un rapporto di lavoro, non versandosi in ipotesi di apprendistato, con la conseguente erroneità della affermazione della Corte d’appello della configurabilità di un affidamento della minore per ragioni di custodia. Ciò determinava l’improcedibilità per mancanza di querela dei fatti successivi al compimento dei quattordici anni da parte della persona offesa, con la conseguente necessità di annullare la sentenza impugnata, allo scopo di verificare la sussistenza di condotte di violenza sessuale anteriori al compimento dei quattordici anni e, in caso positivo, di rideterminare il trattamento sanzionatorio, tenendo conto della procedibilità solamente in relazione agli eventuali fatti commessi anteriormente al compimento dei quattordici anni di età da parte della ragazza. 2.2. Con un secondo motivo ha denunciato violazione dell’art. 609 quater, comma 4, cod. pen. e vizio della motivazione, riguardo alla esclusione della configurabilità della ipotesi di minore gravità e alla determinazione della pena, tenendo conto della non grave compromissione della libertà sessuale della minore, desumibile dalla sua condotta e, in particolare, dal fatto che la stessa aveva continuato a recarsi spontaneamente presso la rivendita di tabacchi dell’imputato, allo scopo di ottenere da lui regali e denaro, nonostante le condotte dallo stesso poste in essere nei suoi confronti ha sottolineato, in proposito, la scarsa rilevanza della ripetizione delle condotte, cui, invece, la Corte d’appello aveva attribuito importanza per escludere detta ipotesi di minore gravità. Ha lamentato, inoltre, mancanza assoluta di motivazione in ordine alla conferma da parte della Corte territoriale della misura della pena, distante dal minimo edittale, determinata senza tenere conto dell’età avanzata dell’imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi d’appello, non è fondato. 2. Le doglianze in ordine alla erroneità della affermazione della configurabilità della veste del ricorrente di affidatario della minore, che ha determinato la procedibilità d’ufficio anche in relazione ai fatti commessi successivamente al compimento del quattordicesimo anno di età da parte della persona offesa, non sono fondate. Questa Corte ha già affermato, e si tratta di orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, la configurabilità dell’abuso di autorità, quale modalità di consumazione del reato di cui all’art. 609 bis cod. pen., allorquando sussista un potere di supremazia di natura privata, di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 33049 del 17/05/2016, B., Rv. 267402 . Va, dunque, annoverata tra i soggetti attivi ogni persona, rivestita di supremazia o autorità anche privata senza particolari connotazioni, che eserciti una forma di influenza o suggestione sul soggetto passivo al fine di coartarne la volontà o condizionarne il comportamento. In tal senso sono state ritenute rilevanti la posizione di datore di lavoro nei confronti di una dipendente con mansioni di segretaria Sez. 3, n. 49990 del 30/4/2014, n. 49990, G., Rv. 261594 Sez. 3, n. 36704 del 27/3/2014, n. 36704, A., Rv. 260172 la condizione di convivenza dell’imputato con la madre del minore vittima di violenza sessuale Sez. 3, n. 2119 del 3/12/2008, M. A., Rv. 242306 la qualità di istruttore di arti marziali esercitata dall’imputato nei confronti dei suoi allievi minorenni Sez. 3, n. 37135 del 10/4/2013, Rv. 256849 il ruolo di marito che esercitava un potere di soggezione sulla cognata minore destinataria degli atti sessuali Sez. 3, n. 19419 del 19/4/2012, I., Rv. 252768 . A sostegno di tale opzione interpretativa è stato richiamato il contenuto dell’art. 61, n. 11, cod. pen., che configura, come elemento di aggravamento comune, la condotta di chi commette un reato con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione di opera, di coabitazione o di ospitalità , ossia strumentalizzando situazioni coinvolgenti rapporti di diritto privato. D’altra parte, allorquando il legislatore ha inteso riferirsi ad una situazione autoritativa di tipo pubblicistico l’ha indicata espressamente, come nel caso dell’art. 608 cod. pen., avente ad oggetto l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti, il che rinvia, quanto ai possibili soggetti attivi del reato, alla figura del pubblico ufficiale. Tale posizione autoritativa può, poi, derivare anche dalla esistenza di un rapporto di lavoro non regolarizzato e privo di alcuno dei connotati tipici della subordinazione, da cui, però, discenda, per la disparità di posizioni tra lavoratore e datore di lavoro, un potere di supremazia di quest’ultimo sul primo, che può derivare da una pluralità di fattori, tra cui l’età o l’immaturità del lavoratore e la sua condizione di bisogno economico, idonei a influenzare o suggestionare il soggetto passivo o a condizionarne il comportamento. Una siffatta posizione non è, poi, incompatibile, con l’affidamento di un minore per ragioni di cura o istruzione, posto che, anche quando non vi sia un vero e proprio rapporto di apprendistato, il minore può essere affidato al datore di lavoro affinché vigili su di lui nel corso dello svolgimento della attività lavorativa in considerazione dell’età del minore e del suo grado di maturità e, al tempo stesso, ne favorisca l’apprendimento dei rudimenti della attività lavorativa in concreto svolta, sicché possono concorrere sia l’affidamento di un minore per ragioni di cura e istruzione, sia l’esistenza di una posizione di supremazia derivante dal concreto atteggiarsi del rapporto tra datore di lavoro e dipendente, posizione di cui il primo abusi allo scopo di coartare la volontà del secondo al fine del compimento o della tolleranza di atti sessuali. Del tutto correttamente, dunque, la Corte d’appello di Messina ha ritenuto che i fatti contestati all’imputato siano procedibili d’ufficio ai sensi dell’art. 609 quater, comma 4, n. 2, cod. pen., in quanto commessi da soggetto al quale la minore era stata affidata dai genitori per ragioni di custodia e di istruzione nel senso anzidetto, posto che la condizione di affidamento in custodia del minore non richiede un atto di formale affidamento da parte del genitore, in quanto costituisce un dato fattuale che prescinde da rapporti formali tra l’affidatario e il soggetto avente la potestà sul minore, potendo avere anche carattere temporaneo e occasionale cfr. Sez. 3, n. 2835 del 13/10/2011, B., Rv. 251890 Sez. 3, n. 16461 del 26/01/2010, R., Rv. 246755 . Al riguardo la Corte territoriale ha sottolineato sia le disagiate condizioni economiche della famiglia della minore, che avevano determinato i genitori a consentire allo svolgimento di attività lavorativa da parte della stessa presso l’esercizio commerciale dell’imputato anche in orario scolastico, sottraendola così al relativo obbligo sia il fatto che la ragazza trascorreva parecchie ore della giornata presso la tabaccheria dell’imputato, al quale, quindi, era stata di fatto affidata per parti consistenti della giornata, tanto che l’imputato si presentava assieme alla ragazza anche in pubblico al punto che tra i commercianti della zona erano sorte perplessità e critiche a proposito del rapporto tra l’imputato e la minore, anche perché l’imputato si mostrava pubblicamente possessivo nei confronti della ragazza . In modo pienamente logico, dunque, la Corte d’appello ha concluso per l’esistenza di un rapporto di affidamento per ragioni di custodia e istruzione, desunto dal disinteresse dei genitori per il modo in cui la figlia trascorreva il proprio tempo, anche in orario scolastico, implicante una sorta di trasferimento delle loro attribuzioni all’imputato per il tempo in cui la ragazza si trovava presso di lui dalla regolarità della presenza della ragazza nella tabaccheria dell’imputato per parti non brevi della giornata dal rapporto instauratosi tra l’imputato e la minore, con la quale il primo si presentava anche in pubblico mostrandosi geloso e possessivo. Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza delle doglianze relative alla insussistenza di un rapporto di affidamento della minore all’imputato e anche di un abuso della posizione di supremazia dallo stesso in concreto assunta nei confronti della ragazza. 3. Le doglianze in ordine alla esclusione della ipotesi di minore gravità di cui al quarto comma dell’art. 609 quater cod. pen. e alla misura della pena sono anch’esse infondate. La Corte territoriale ha, infatti, sottolineato la grave invasione della sfera sessuale della vittima, mediante condotte ripetute in modo sempre più invasivo e nell’arco di molti mesi, con una reiterazione che ha accentuato detta compromissione, giustificando dunque in modo adeguato l’esclusione della minore gravità delle condotte, giacché questa, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, è configurabile solamente allorquando non vi sia stata una intensa lesione del bene protetto, e cioè una significativa compromissione della libertà sessuale, tenendo conto del grado di coartazione esercitato sulla vittima, delle sue condizioni fisiche e mentali, delle caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516 Sez. 3, n. 39445, del 1/7/2014, S., Rv. 260501 , mentre nel caso di specie è stata evidenziata la commissione di atti sessuali di non lieve invasività e ripetuti nel tempo, posti in essere profittando dello stato di soggezione in cui si trovava la vittima e della sua età, escludendo pertanto correttamente la minore gravità dei fatti. La misura della pena è stata, poi, confermata in considerazione della gravità delle condotte e della personalità negativa dell’imputato, gravato da una precedente condanna per atti di libidine violenti nei confronti di minorenne, e anche tale motivazione è adeguata, avendo la Corte d’appello dato conto degli elementi, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., ritenuti prevalenti nel giudizio di commisurazione della sanzione. 4. Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto, stante l’infondatezza di entrambe le censure cui è stato affidato. Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.