Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche: condotta realizzata nell’interesse o a vantaggio esclusivo dell’autore o anche dell’ente?

La nozione di interesse esclusivo dell’agente va individuata nei fatti illeciti posti in essere nel proprio ed esclusivo interesse, ovvero per un fine personalissimo o di terzi, con condotte estranee alla politica di impresa al contrario, le condotte dell’agente poste in essere nell’interesse dell’ente sono quelle che rientrano nella politica societaria, ovvero tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria. Per ciò che concerne, invece, la definizione del vantaggio, esso va inteso come la potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto, valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 295/18, depositata il 9 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello di Lecce confermava la sentenza con cui il locale Tribunale aveva affermato la penale responsabilità di T.F. per il reato di cui all’art. 640- bis c.p. in particolare, l’imputato, legale rappresentante della C. S.p.A., dopo aver presentato domanda per l’ottenimento di agevolazioni finanziarie per le attività produttive, aveva indotto in errore la banca concessionaria mediante artifici e raggiri al precipuo fine di indebitamente ottenere l’erogazione dei contributi oltre alla statuizione di colpevolezza nei confronti di T.F., la Corte di merito aveva confermato anche la condanna nei confronti della società, ritenuta responsabile dell’illecito di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a , 6 e 24 del d.lgs. n. 231/2001. Avverso la sentenza de qua ricorrevano per Cassazione sia l’imputato che la società. L’interesse o il vantaggio dell’ente nella commissione del reato contestato all’amministratore. Secondo la Società ricorrente, l’affermazione di responsabilità sarebbe viziata dalla totale assenza di alcun tipo di accertamento afferente l’effettivo e concreto interesse dell’ente – ovvero il vantaggio ricevuto – rispetto alla commissione del reato da parte del suo legale rappresentante. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha preliminarmente chiarito come i due criteri di imputazione dell’interesse e del vantaggio si pongono in rapporto di alternatività il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante , al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo in relazione all’elemento psicologico della specifica persona fisica autore dell’illecito il criterio del vantaggio ha, invece, una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post , sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito ed indipendentemente dalla finalizzazione originaria del reato. La responsabilità dell’ente. Ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente, è sufficiente che venga provato che lo stesso abbia ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non è stato possibile determinare l’effettivo interesse vantato ex ante alla consumazione dell’illecito e purché non sia contestualmente stato accertato che quest’ultimo sia stato commesso nell’esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi. In effetti, la legge non richiede necessariamente che l’autore del reato abbia voluto perseguire l’interesse dell’ente perché sia configurabile la responsabilità di quest’ultimo, né è richiesto che lo stesso sia stato anche solo consapevole di realizzare tale interesse attraverso la condotta. In altri termini, l’interesse dell’autore del reato può coincidere con quello dell’ente – o, meglio, la volontà dell’agente può essere quella di conseguire l’interesse dell’ente – ma la responsabilità dello stesso sussiste anche quando, perseguendo il proprio autonomo interesse, l’agente obiettivamente realizzi anche quello dell’ente anzi, perché possa ascriversi all’ente la responsabilità per il reato, è sufficiente che la condotta dell’autore di quest’ultimo tenda oggettivamente e concretamente a realizzare, nella prospettiva del soggetto collettivo, anche l’interesse del medesimo, essendo irrilevante che lo stesso venga effettivamente conseguito. Il discrimine tra l’interesse ed il vantaggio esclusivo dell’agente od anche dell’ente. La nozione di interesse esclusivo dell’agente va individuata nei fatti illeciti posti in essere nel proprio ed esclusivo interesse, ovvero per un fine personalissimo o di terzi, con condotte estranee alla politica di impresa al contrario, ed in positivo, le condotte dell’agente poste in essere nell’interesse dell’ente sono quelle che rientrano nella politica societaria, ovvero tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria. Per ciò che concerne, invece, la definizione del vantaggio, esso va inteso come la potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto, valutabile ex post , sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 ottobre 2017 – 9 gennaio 2018, n. 295 Presidente Diotallevi – Relatore Pacilli Ritenuto in fatto Con sentenza dell’11 maggio 2016 la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città in data 5.6.2012 con riferimento al reato di truffa consumata. Con la pronuncia di primo grado T.F. è stato condannato perché nella sua qualità di rappresentante legale della COOPAS s.p.a., società che il 30 luglio 2002 aveva presentato domanda per l’ottenimento delle agevolazioni finanziarie per le attività produttive previste dal PIA INNOVAZIONE, induceva in errore la banca concessionaria mediante artifici e raggiri indicati nell’imputazione, così procurando alla COOPAS s.p.a. un ingiusto profitto, consistito nell’erogazione di Euro 323.554 a titolo di anticipazione del contributo in conto impianti, erogati il 31.12.2003, di Euro 372.347,50 a titolo di anticipazione della quota di finanziamenti e della quota di contributo in conto capitale erogati il 28.5.2004, di Euro 744.695,00 a titolo di primo stato avanzamento, erogati il primo aprile 2005, con conseguente danno per lo Stato e per la Comunità Europea. La società MOLINO del SALENTO s.p.a., già COOPAS s.p.a., è stata ritenuta responsabile dell’illecito di cui agli artt. 5, comma 1 lettera A, 6 e 24 del D.Lgs n. 231 del 2001. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorsi per cassazione il difensore di T.F. e della MOLINO del SALENTO s.p.a., deducendo, nell’interesse del T. , i seguenti motivi 1 violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b ed e , c.p.p. in relazione all’art. 640 bis c.p. secondo il ricorrente, la procedura di finanziamento si articolerebbe in diversi momenti, sicché la condotta del T. non potrebbe ritenersi sussumibile in un’unica fattispecie di reato a consumazione prolungata, a cui sarebbero collegati i distinti ratei corrisposti nel tempo, ma configurerebbe una pluralità di condotte delittuose, avvinte nel vincolo della continuazione. In altri termini, le erogazioni, effettuate in favore della società, non sarebbero dipese dall’originaria autorizzazione del finanziamento ma dall’esito positivo delle verifiche sull’attuazione del progetto finanziato, le quali, a loro volta, sarebbero state ottenute attraverso ulteriori ed autonomi comportamenti fraudolenti. La sentenza impugnata andrebbe annullata, quindi, anche ai fini del calcolo della prescrizione 2 violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b ed e c.p.p. in relazione agli artt. 192 c.p.p. e 640 bis c.p., per avere la Corte territoriale ritenuto esistenti i raggiri e gli artifizi, travisando le dichiarazioni testimoniali rese da C.G. e non considerando sia che l’attività professionale, fatturata dal T. , era stata effettivamente eseguita sia che tra le somme rendicontate e il costo di fatto sostenuto dall’azienda per l’attività di ricerca del personale vi sarebbe stata una differenza di appena 355,46 Euro, frutto di un mero errore di calcolo 3 violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b ed e c.p.p. in relazione all’art. 99 c.p., per non avere la Corte territoriale ritenuto che i fatti di cui alla precedente condanna e quelli oggetto del presente procedimento rientrassero in un unico disegno criminoso, per come si evincerebbe sia dal dato temporale, inserendosi in un unico arco temporale, sia dall’omogeneità delle condotte contestate. Con i fatti oggetto di imputazione, quindi, il ricorrente non avrebbe manifestato un’accentuata colpevolezza e una maggiore pericolosità. Con il ricorso proposto nell’interesse della MOLINO del SALENTO s.p.a. è stata dedotta la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b ed e c.p.p. in relazione all’art. 5 comma 1 lettera A, 6 e 24 del D.Lgs n. 231 del 2001, per avere la Corte d’appello omesso di fornire qualsiasi motivazione sull’effettiva ricorrenza dell’interesse dell’ente nella commissione del reato contestato all’amministratore T.F All’odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono inammissibili perché presentati per motivi assolutamente privi di specificità e, comunque, manifestamente infondati. 1.1 Prendendo le mosse dal primo motivo del ricorso proposto da T.F. , con cui si prospetta che la condotta contestata non sarebbe sussumibile in un’unica fattispecie di reato a consumazione prolungata ma configurerebbe una pluralità di condotte delittuose, avvinte nel vincolo della continuazione, va osservato che la Corte territoriale ha ritenuto che la vicenda, che portò all’erogazione del finanziamento agevolato alla COOPAS s. c. r. l., era un unico e complesso progetto, in forza del quale la società ottenne ab initio la concessione di un finanziamento nella complessiva misura di Euro 2.138.498,00. Il finanziamento prevedeva l’erogazione di importi dilazionati nel tempo ma la circostanza che l’erogazione di parte del finanziamento fosse condizionata all’esibizione di documentazione, che attestasse la progressiva esecuzione delle opere finanziate, non fa perdere alla vicenda il carattere di unitarietà, che trova il proprio fondamento nell’unitarietà e complessità del progetto iniziale . Così argomentando, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati in sede di legittimità. Questa Corte Suprema v. Sez. 2, n. 53667 del 2/12/2016, Rv. 269381 Sez. 5, n. 32050 dell’11/6/2014, Rv. 260496 ha già avuto modo di evidenziare, con un assunto che anche l’odierno Collegio condivide, che la truffa cosiddetta a consumazione prolungata, configurabile quando la frode è strumentale al conseguimento di erogazioni pubbliche il cui versamento viene rateizzato, e che si consuma al momento della percezione dell’ultima rata di finanziamento, necessita che tutte le erogazioni siano riconducibili all’originario ed unico comportamento fraudolento, mentre, quando per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima è necessario il compimento di ulteriori attività fraudolente, devono ritenersi integrati altrettanti ed autonomi fatti di reato . Nel caso in esame, non può essere trascurato che tutta l’operazione, che ha portato all’erogazione di un finanziamento agevolato, è nata da un contesto unitario in forza del quale la società COOPAS aveva ottenuto ab initio la concessione del finanziamento nella complessiva misura di Euro 2.138.498,00. Il fatto che tale finanziamento dovesse essere erogato in più tranches - collocate in momenti diversi, alcune delle quali previamente supportate dall’esibizione di ulteriori atti documentanti che l’attività per la quale era stato erogato il beneficio fosse in progress - non fa perdere alla vicenda quel carattere di unitarietà che trova il proprio fondamento nel progetto iniziale. La produzione di ulteriore documentazione asseritamente fittizia , comprovante l’esecuzione di lavori e i costi sostenuti, costituisce semplicemente un profilo esecutivo della medesima operazione che è ed è rimasta - sempre quella iniziale, così che la vicenda nel suo complesso deve ritenersi unitaria e non può essere smembrata come se ci si trovasse di fronte ad autonome operazioni illecite, perfezionatesi in occasione di ogni richiesta di accesso all’ulteriore tranche del finanziamento. Ciò detto, risulta allora evidente che, nel caso in esame, non è configurabile una pluralità di episodi criminosi, realizzati in occasione dell’erogazione delle tranches del finanziamento ed eventualmente legati tra loro dal vincolo della continuazione ex art. 81 cpv c.p., quanto - come correttamente ritenuto dal Giudice territoriale - in presenza di un reato a consumazione prolungata . 1.2 Nessun appunto può muoversi alla sentenza impugnata anche con riferimento alla motivazione con cui sono stati disattesi i rilievi difensivi in ordine alla mancanza di artifizi e raggiri, necessari per configurare il reato contestato. Quanto alla deduzione difensiva, secondo cui la fattura n. del omissis , emessa dalla FDT s.r.l. in favore della COOPAS s.c.r.l. non potesse essere ritenuta fittizia, la Corte territoriale ha rimarcato che l’imputato propose alla FDT s.r.l. la realizzazione di un impianto per l’estrazione di insulina all’inizio del 2005 ., vale a dire pochi giorni prima di formulare la domanda di erogazione dell’agevolazione spettante per i costi sostenuti nel periodo compreso tra l’1.1.2003 ed l’1.2.2005 il T. rappresentò al C. di avere richiesto dei finanziamenti ma di non averli ancora ottenuti e chiese espressamente allo stesso l’invio della fattura a titolo di acconto dell’importo di Euro 182.000 più IVA, nonostante non avesse versato alcuna somma di denaro e nonostante la FDT s.r.l. non avesse iniziato la realizzazione dell’impianto, sostenendo che tale fattura era necessaria per ottenere il finanziamento richiesto il C. infine emise la nota di credito alla scadenza del primo trimestre 2005 per non pagare l’IVA, indicata in fattura, dopo aver chiesto informazioni al T. in merito al pagamento della fattura e dopo aver appreso dal medesimo che il finanziamento richiesto non era stato concesso. Tali elementi dimostrano l’artificiosità dell’allegazione della fattura n. richiesta alla società emittente poco prima della scadenza della domanda di erogazione delle agevolazioni sulla base di una falsa rappresentazione della realtà - l’avvio di una pratica di finanziamento-, annullata poco dopo l’inoltro della domanda e l’erogazione delle agevolazioni, e mai comunicata alla Centro Banca o al Ministero dello Sviluppo Economico . Riguardo alla fattura n. la Corte territoriale ha evidenziato che l’utilizzo di essa, intestata alla Agristudio servisse proprio ad evitare che i soggetti deputati al controllo della regolarità della rendicontazione notassero la peculiare sovrapponibilità tra l’identità del soggetto, che chiedeva l’erogazione del finanziamento in qualità di rappresentante legale della COOPAS s.r.l., ed il soggetto che aveva emesso la fattura in favore della COOPAS s.r.l., ossia T.F. . La medesima Corte ha inoltre evidenziato che, per quanto concerne le somme rendicontate a titolo di sviluppo personale, erano emerse significative differenze tra quanto indicato dalla COOPAS s.r.l. e quanto risultante dai fogli di presenza divergenze non giustificabili come meri errori di calcolo . A fronte di siffatte argomentazioni e di tutto il discorso giustificativo dell’affermazione della penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato ascrittogli deve ricordarsi che, pur a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, l’art. 606, comma 1, lettera e , c.p.p. non prevede la possibilità, per la Corte di cassazione, di effettuare un’indagine sulla motivazione della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito. Il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione, infatti, attiene all’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando precluse la rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti tra le varie, cfr. Sez. 6, n. 47204 del 7.10.2015, Rv 265482 Sez. 1, n. 42369 del 16.11.2006, Rv 235507 Sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009, Rv 243247 . Alla luce di tale prospettiva ermeneutica è evidente che le doglianze in esame - reiterative di quelle già vagliate e disattese dai giudici di merito con motivazioni adeguate, corrette, logiche e, pertanto, esenti da vizi sindacabili in questa sede - si risolvono in un’inammissibile richiesta di rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e nell’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione richiesta che, per quanto prima detto, è inammissibile. 1.3 Anche il terzo motivo, relativo all’applicazione della recidiva, è privo del necessario requisito della specificità. La Corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine alla ritenuta maggiore pericolosità dell’imputato, il quale, poco dopo il reato di cui all’art. 640 bis c.p., commesso fino al , ha posto in essere i fatti contestati nel presente procedimento ed altri fatti analoghi per cui è stato prosciolto per intervenuta prescrizione. Per di più, non può sottacersi che l’argomento concernente la continuazione tra il reato in precedenza commesso e quello oggetto del presente procedimento - che ad avviso del ricorrente la Corte avrebbe dovuto considerare per trarre la conclusione del difetto della maggiore colpevolezza - non aveva costituito specifico motivo di appello, sicché la relativa doglianza non può essere dedotta in questa sede. Ad ogni modo, la doglianza trascura di considerare l’orientamento, enunciato in sede di legittimità, secondo cui recidiva e continuazione rappresentano istituti autonomi, con struttura e finalità diverse, ma nient’affatto inconciliabili tra loro. La prima tende a punire in maniera più incisiva chi, avendo già violato la legge, persiste nel suo atteggiamento criminoso, commettendo un nuovo reato e dimostrando, in tal guisa, un rafforzamento della deliberazione criminosa e una maggiore pericolosità sociale e costituisce, perciò, una circostanza aggravante di carattere soggettivo in quanto inerisce esclusivamente alla persona del colpevole. Il secondo, invece, attiene al trattamento sanzionatorio unitario, cui va sottoposto il reo per vari illeciti compresi, sin dal primo momento e nei loro elementi essenziali, nell’originario disegno criminoso, in ossequio al principio del favor rei , che deroga a quello del cumulo materiale delle pene così, Sez. 2, n. 18317 del 22/04/2016 Ud. dep. 03/05/2016 Rv. 266695 Sez. 4, n. 37759 del 21/06/2013 - dep. 13/09/2013, Rv. 256212 . 2. Anche il ricorso presentato nell’interesse della MOLINO del SALENTO s.p.a. è inammissibile. La difesa ha sostenuto che la Corte d’appello avrebbe affermato la responsabilità della società senza effettuare alcun tipo di accertamento che riguardasse l’effettivo e concreto interesse della stessa alla commissione del reato da parte del suo rappresentante, ovvero il vantaggio ricevuto . Giova ricordare che il d.lgs. n. 231 del 2001 stabilisce agli artt. 5 e 6 i criteri in base ai quali il reato commesso dalla persona fisica può essere attribuito alla persona giuridica. L’art. 5 individua il c.d. criterio di imputazione oggettiva, a norma del quale l’ente risponde solo dei reati commessi nel suo interesse o vantaggio . La giurisprudenza di questa Corte Cass. 3615/2005, Rv. 232957 Cass. 10265/2013, Rv 258575 Cass. 24559/2013, Rv 255442 SSUU 38343/2014, Rv. 261114 ritiene che i due criteri d’imputazione dell’interesse e del vantaggio si pongono in rapporto di alternatività, come confermato dalla congiunzione disgiuntiva o , presente nel testo della disposizione il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologià del reato, apprezzabile ex ante, al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo in relazione all’elemento psicologico della specifica persona fisica autore dell’illecito il criterio del vantaggio ha, invece, una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito ed indipendentemente dalla finalizzazione originaria del reato. Tuttavia, gradualmente, la giurisprudenza si è avviata verso una concezione oggettiva non solo del vantaggio ma anche dell’interesse. È stato, infatti, rilevato che . Se non può sussistere dubbio alcuno circa il fatto che l’accertamento di un esclusivo interesse dell’autore del reato o di terzi alla sua consumazione impedisca di chiamare l’ente a rispondere dell’illecito amministrativo ex D.Lgs. n. 231 del 2001, in questo senso anche Sez. 6, n. 36083 del 9 luglio 2009, Mussoni e altri, Rv. 244256 , ciò peraltro non significa che il criterio del vantaggio perda automaticamente di significato. Infatti, ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente, è sufficiente che venga provato che lo stesso abbia ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non è stato possibile determinare l’effettivo interesse vantato ex ante alla consumazione dell’illecito e purché non sia, come detto, contestualmente stato accertato che quest’ultimo sia stato commesso nell’esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi. Appare, dunque, corretto attribuire alla nozione di interesse accolta nel primo comma dell’art. 5 una dimensione non propriamente od esclusivamente soggettiva, che determinerebbe una deriva psicologica nell’accertamento della fattispecie, che invero non trova effettiva giustificazione nel dato normativo. È infatti evidente come la legge non richieda necessariamente che l’autore del reato abbia voluto perseguire l’interesse dell’ente perché sia configurabile la responsabilità di quest’ultimo, né è richiesto che lo stesso sia stato anche solo consapevole di realizzare tale interesse attraverso la propria condotta. Per converso, la stessa previsione contenuta nell’art. 8 lett. a del decreto - per cui la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è identificato o non è imputabile - e l’introduzione negli ultimi anni di ipotesi di responsabilità dell’ente per reati di natura colposa, sembrano negare una prospettiva di tal genere in questi termini Cass. 10265/2013, Rv 258575, cit. . Si è, quindi, affermato che l’interesse dell’autore del reato può coincidere con quello dell’ente rectius la volontà dell’agente può essere quella di conseguire l’interesse dell’ente , ma la responsabilità dello stesso sussiste anche quando, perseguendo il proprio autonomo interesse, l’agente obiettivamente realizzi rectius la sua condotta illecita appaia ex ante in grado di realizzare, giacché rimane irrilevante che lo stesso effettivamente venga conseguito anche quello dell’ente. In definitiva, perché possa ascriversi all’ente la responsabilità per il reato, è sufficiente che la condotta dell’autore di quest’ultimo tenda oggettivamente e concretamente a realizzare, nella prospettiva del soggetto collettivo, anche l’interesse del medesimo Sez. 5, n. 40380 del 26 aprile 2012, Sensi, Rv. 253355, in motivazione . In particolare, relativamente alla nozione dell’interesse esclusivo dell’agente che ha commesso il reato presupposto, si è osservato che essa va individuata nei fatti illeciti posti in essere nel loro interesse esclusivo, per un fine personalissimo o di terzi. In sostanza, con condotte estranee alla politica di impresa Cass. 3615/2005 cit. A contrario, ed in positivo, si può quindi ritenere che le condotte dell’agente, poste in essere nell’interesse dell’ente, sono quelle che rientrano nella politica societaria ossia tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria. Più agevole la definizione del vantaggio , che va inteso come la potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto Cass. 24583/2011 Rv. 249822 in motivazione , valutabile ex post , sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito. Siffatti principi sono stati correttamente applicati dalla Corte territoriale, che ha ritenuto che il reato commesso dall’imputato T.F. , amministratore unico e legale rappresentante della Molino del Salento s.p.a. fu realizzato nell’interesse e a vantaggio della società dal medesimo gestita. La società amministrata dal T. ottenne ingenti ed indebiti finanziamenti agevolati, consolidando così la propria posizione sul mercato di riferimento, mediante l’ingente iniezione di liquidità ottenuta grazie alla condotta illecita posta in essere da un suo organo apicale, e incrementò illecitamente le proprie disponibilità finanziarie, sfruttando un indebito vantaggio concorrenziale, mediante l’ottenimento di ingenti contributi agevolati per investimenti, giustificati solo nella misura in cui ad essi si fosse accompagnato un contestuale esborso di denaro da parte della società finanziata . In definitiva, la Corte territoriale ha ritenuto dimostrato che il soggetto, ricoprente all’interno della società posizioni apicali, ha commesso il reato presupposto nell’interesse inteso come proiezione finalistica dell’azione o a vantaggio inteso come potenziale ed effettiva utilità anche di carattere non patrimoniale ed accertabile in modo oggettivo dell’ente, con la conseguenza che non essendo stato neppure dedotto che l’ente avesse adottato un idoneo modello di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati, l’affermazione di responsabilità dell’ente non presta il fianco ad alcuna censura. 3. La declaratoria di inammissibilità totale dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché -apparendo evidente che i medesimi hanno proposto i ricorsi determinando la causa di inammissibilità per colpa Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186 e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - al versamento ciascuno della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento ciascuno a favore della alla Cassa delle ammende.