Confisca diretta o allargata? Dipende dall’entità del fatto

Il reato di cui all’art. 73, comma 1 e 1-bis, d.p.r. n. 309/1990 Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope ammette l’applicazione della confisca c.d. allargata o per sproporzione, salvo che il fatto sia di lieve entità.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 53016/17 depositata il 21 novembre. Il caso. Il Tribunale di Torino, condannando un imputato per il reato di cessione di sostanze stupefacenti di cui all’art. 73, comma 1 e 1 bis , d.p.r. n. 309/1990 Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope , disponeva contestualmente la confisca di una somma di denaro rinvenuta nella disponibilità del medesimo. Avverso tale confisca, viene proposto ricorso per cassazione contestandosi l’illecita provenienza della somma confiscata, l’assenza di prova contraria, nonché l’esistenza di un principio di diritto, affermato dalla medesima Corte, che esclude a priori il collegamento tra il denaro sequestrato e l’attività illecita commessa. La confisca c.d. allargata. La Suprema Corte conferma la legittimità della confisca poiché il delitto contestato al ricorrente ammette, ai sensi dell’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992 Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa , la c.d. confisca allargata o per sproporzione, a nulla rilevando il principio di diritto richiamato, giacché attinente a diversa fattispecie, ossia quella della confisca c.d. diretta. L’art. 12 sexies cit. afferma infatti che per una serie determinata di reati – tra cui quello in oggetto è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica . Corretta dunque risulta, nel caso di specie, l’applicazione della confisca c.d. allargata, non essendo il fatto contestato di lieve entità, ipotesi in cui l’art. 73, comma 5, d.p.r. 309/1990 esclude la misura patrimoniale allargata. La Corte quindi dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 ottobre – 21 novembre 2017, n. 53016 Presidente Conti – Relatore D’Arcangelo Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. L’avv. D.L., difensore di fiducia di B.M. , ricorre per cassazione avverso la sentenza di applicazione pena emessa in data 3 aprile 2017 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino nei confronti dell’imputato per il delitto di cui all’art. 73, comma 1 ed 1 bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso in omissis , nella parte in cui ha disposto ai sensi dell’art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, la confisca della somma di 1.873,00 Euro, rinvenuta nella disponibilità del prevenuto. 2. Il ricorrente, con unico motivo, censura la mancanza di motivazione sul punto e la violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 444, 445, comma 1, cod. proc. pen. e 240 cod. pen., deducendo che nel corso del procedimento non erano emersi elementi che indiziassero la provenienza criminosa della somma confiscata. 3. L’imputato, al contrario, aveva fornito prova documentale della provenienza lecita di tale denaro, in quanto dal 2014 aveva aperto una partita IVA per svolgere l’attività di venditore ambulante di pellame e, comunque, la moglie era titolare di una rosticceria dal 2012. 4. Non poteva, peraltro, considerarsi sproporzionata rispetto alle capacità reddituali del coniuge dell’imputato il rinvenimento nella propria abitazione della somma di Euro 1.100,00 e nemmeno la somma di 773,00 Euro in monete, custodite all’interno di un salvadanaio predisposto dai coniugi per il figlio piccolo nato da poco. 5. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino aveva, pertanto, disposto la confisca sulla base di mere presunzioni, obliterando, tuttavia, che l’abitazione nella quale era stato rinvenuto il danaro era coniugale e non solo di spettanza dell’imputato. 6. Rilevava, inoltre, il ricorrente che, secondo il principio di diritto affermato dalla sentenza n. 21709 emessa in data 3 aprile 2012 dalla Sezione Terza Penale di questa Corte, con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, non è ammessa alcuna presunzione di collegamento tra il danaro sequestrato e l’attività illecita e, pertanto, il giudice deve esporre le motivazioni che fondano la conclusione secondo la quale sussiste un univoco collegamento tra la somma sequestrato ed il reato connesso, non potendosi in tale ambito fare ricorso alla presunzione posta dall’art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356. 7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto il motivo nello stesso dedotto esula dal novero dei vizi di legittimità tassativamente delineati dall’art. 606 cod. proc. pen., in ragione del proprio contenuto volto a sindacare il merito della decisione, e si rivela, comunque, manifestamente infondato. 8. Il ricorrente, infatti, pur formalmente censurando la motivazione della confisca disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, si è, invero, limitato a contestare in fatto l’apprezzamento espresso in ordine alla provenienza delle somma di danaro sottoposte a sequestro. 9. Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito ex multis Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 . 10. Inconferente si rileva, inoltre, il richiamo operato dalla parte ricorrente al principio di diritto enunciato dalla sentenza 21709 emessa in data 3 aprile 2012 dalla Sezione Terza Penale di questa Corte, in quanto la stessa ha ad oggetto una ipotesi di applicazione della confisca diretta, non essendo ammissibile, il ricorso alla confisca allargata o per sproporzione là dove sia ravvisato il fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 ex plurimis Sez. 4, n. 40912 del 19/09/2016, Ka, Rv. 267900 Sez. 2, n. 41778 del 30/09/2015, Scivoli, Rv. 265247 . 11. Tale norma, infatti, nel prevedere solo in relazione a determinati reati, tassativamente previsti, una speciale ipotesi di confisca obbligatoria svincolata dai presupposti fissati nell’art. 240 cod. pen., non contempla l’ipotesi autonoma di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990. 12. Pertanto, in relazione al reato di cessione di sostanze stupefacenti, quando venga ravvisata l’ipotesi del fatto di lieve entità, può procedersi alla confisca del danaro trovato in possesso dell’imputato solo quando ricorrono le condizioni generali previste dall’art. 240 cod. pen. per la confisca del profitto del reato e non ai sensi dell’art. 12 sexies del D.L. n. 306 del 1992, convertito nella legge n. 356 del 1992 Sez. 4 n. 4199 del 11/12/2007, Perotto, Rv. 238432 . 13. Il delitto di cui all’art. 73, comma 1 ed 1 bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 contestato nel presente procedimento ammette, invece, il ricorso alla confisca c.d. allargata o per sproporzione di cui all’art. 12 sexies del d.l. n. 306 del 1992 e la motivazione della sentenza impugnata sul punto congruamente si fonda sulla verifica della sussistenza dei presupposti applicativi della stessa. 14. Tutt’altro che illogicamente, infatti, il Giudice per le indagini preliminari nella motivazione della sentenza impugnata ha ritenuto che le somme di danaro sottoposte a sequestro fossero di diretta spettanza dell’imputato, poiché erano state rinvenute sulla sua persona 160 Euro o in zone della abitazione di sua esclusiva pertinenza e, segnatamente, in una giacca da uomo in cui era custodita anche parte della sostanza stupefacente in sequestro ed in un salvadanaio di cui l’imputato aveva riconosciuto la proprietà, pur avendo dichiarato che le somma nello stesso presenti fossero destinate a pagare il canone di locazione. 15. Analogamente il Giudice per le indagini preliminari ha ritenuto, non certo incongruamente, sussistere una sproporzione tra l’entità di tale somma ed i redditi del prevenuto, privo di documentata attività lavorativa lecita all’epoca dei fatti. 16. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000, in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.