Tasche piene di hashish? Non bastano ad escludere la lieve entità del fatto

In tema di sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento della fattispecie incriminatrice del fatto di lieve entità prevista dal comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, il giudice è tenuto a valutare, secondo una visione unitaria e globale, tutti gli elementi normativamente indicati, senza escludere

Lo chiarisce il Collegio di legittimità con sentenza n. 39374/17 depositata il 23 agosto. Il caso. L’imputato, accusato di detenzione ai fini di spaccio di due pezzi di hashish di rilevante peso, ricorre per cassazione avverso il provvedimento che confermava la sua custodia cautelare in carcere, lamentando l’erronea esclusione, da parte del Tribunale del riesame, della ricorrenza dei presupposti di lieve entità. Valutazione del giudice. La Cassazione, nel ritenere il ricorso fondato, afferma che in tema di sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento della fattispecie del fatto di lieve entità prevista dal comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, il giudice è tenuto a valutare, secondo una visione unitaria e globale, tutti gli elementi normativamente indicati. In particolare, deve valutare sia quelli attinenti all’oggetto materiale del reato, come la quantità e la qualità della sostanza stupefacente, sia quelli concernenti l’azione, ossia i mezzi, le modalità e le circostanze della stessa. Il giudice non può, dunque, escludere il riconoscimento di detta fattispecie in ragione del solo dato quantitativo della sostanza, come è avvenuto nel caso di specie. Pertanto, la S.C. annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale per un nuovo esame sul punto.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 3 luglio – 23 agosto 2017, n. 39374 Presidente Ippolito – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Torino, sezione specializzata per il riesame, all’esito del ricorso ex art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l’ordinanza del 21 marzo 2017, con la quale il Giudice delle indagini preliminari di Torino - dopo averne convalidato l’arresto in flagranza - ha applicato la misura della custodia in carcere nei confronti di E.B.R. , in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per detenzione a fine di spaccio di due pezzi di hashish del peso lordo di 23,9 e 3,8 grammi. In risposta all’unica deduzione concernente l’invocata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il Collegio del gravame cautelare ha evidenziato che l’indagato deteneva un quantitativo non minimo di hashish di cui si disfaceva alla vista degli operanti di P.G., era in possesso di una somma di denaro elevata 605 Euro suddivisa in banconote di vario taglio, tale da far ritenere che avesse in precedenza effettuato numerose cessioni, nonché di un telefono cellulare, evidentemente utilizzato per i contatti con fornitori e clienti. Elementi tutti che ha ritenuto indicativi di un’attività di spaccio non episodica né occasionale, dunque inconciliabile con l’invocata fattispecie lieve. 2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso E.B.R. , a mezzo del difensore Avv. Nicola Ciafardo, chiedendone l’annullamento per violazione di legge penale in relazione all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per avere il Tribunale erroneamente escluso la ricorrenza nella specie dei presupposti dell’ipotesi lieve di cui al comma 5 della stessa norma sul presupposto che si tratti di attività non episodica né occasionale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte. 2. Il Collegio della cautela ha escluso la sussistenza dei presupposti dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sulla scorta della rilevata quantità non minima di sostanza stupefacente detenuta dal ricorrente e della non occasionalità dell’attività di spaccio come evinta dalla disponibilità di una somma di denaro elevata 605 Euro suddivisa in banconote di vario taglio e di un telefono cellulare. 3. Ritiene il Collegio che le considerazioni svolte dal Tribunale torinese non siano condivisibili, in quanto distoniche col dato normativo e con le indicazioni espresse da questa Corte, anche a Sezioni Unite. 3.1. Occorre, in primo luogo, considerare che la fattispecie di reato prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 trasformata da ipotesi circostanziale in delitto autonomo per effetto dell’art. 2 d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni con I. 21 febbraio 2014, n. 10 , è ravvisabile nei casi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo dello stupefacente, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione e segnatamente dai mezzi, dalle modalità e dalle circostanze dell’azione. In linea con il chiaro enunciato testuale del citato comma 5 dell’art. 73, la quantità delle sostanze costituisce soltanto un dato sintomatico della non lieve entità del fatto, comunque da valutare nel contesto delle ulteriori circostanze e peculiarità del caso di specie, alla luce del prudente apprezzamento del giudice. In tale senso è l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte espresso nella sentenza n. 35737/2010 del 24/06/2010, P.G. in proc. Rico, Rv. 247911 , là dove, nel ribadire il principio già affermato a composizione allargata v. Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera e altri, Rv. 216668 - secondo il quale l’ipotesi in parola può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione mezzi, modalità, circostanze dell’azione , con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio -, hanno nondimeno osservato in motivazione come la questione circa l’applicabilità o meno della norma in parola non possa essere risolta in astratto, stabilendo incompatibilità in via di principio, ma deve trovare soluzione caso per caso, con valutazione che di volta in volta tenga conto di tutte le specifiche e concrete circostanze nella specie, si trattava di una cessione a minore, giudicata compatibile con l’ipotesi della lieve entità . Conclusione d’altronde coerente con i principi di offensività, di proporzionalità e di individualizzazione e finalità rieducativa della pena costituzionalmente presidiati, là dove rimettono al giudice la valutazione del caso concreto onde determinare un trattamento sanzionatorio adeguato, id est calibrato, alle specifiche modalità e circostanze della situazione sub iudice, rifuggendo da automatismi sanzionatori. 3.2. Sotto diverso aspetto, occorre riconfermare il principio di diritto ormai stabilizzato, alla stregua del quale l’ipotesi del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativa, come si desume dall’art. 74, comma 6, stesso d.P.R., che, con il riferimento ad un’associazione costituita per commettere fatti descritti dal comma 5 dell’art. 73, rende evidente che è ammissibile configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo Sez. F, n. 39844 del 13/08/2015, Bannour e altri, Rv. 264678 Sez. 6, n. 48697 del 26/10/2016, Tropeano e altri, Rv. 268171 Sez. F, n. 39844 del 13/08/2015, Bannour e altri, Rv. 264678 . Deve dunque rilevarsi che, come l’occasionalità della condotta non può da sola comportare il riconoscimento della fattispecie della lieve entità, allo stesso modo il suo contrario non può di per sé costituire indice sicuro di inapplicabilità dell’ipotesi, dovendosi verificare a cura del decidente - che dovrà motivare specificamente sul punto - se la condotta, pur connotata dalla predisposizione dei mezzi e dalla programmazione delle modalità esecutive, cioè da un’organizzazione, presenti contorni ad esempio, per il ristretto ambito temporale di operatività, per lo scarno numero di clienti, per la scarsa professionalità che consentano di ritenere minima l’offesa al bene giuridico protetto dalla norma, che si connette al rischio di diffusività delle sostanze stupefacenti Sez. 6, n. 14882 del 25/01/2017, Fonzo e altri, Rv. 269457, in motivazione . D’altronde, la riconducibilità dello spaccio reiterato o organizzato all’ipotesi lieve non postula necessariamente una risposta debole dell’ordinamento, potendo il decidente determinare la sanzione nell’ambito di un’ampia forbice edittale e dunque, se del caso, applicare una pena attestata sul massimo comminato dalla norma. 3.3. E ciò a tacer del fatto che, nel caso sub iudice, il Collegio della cautela ha argomentato la ritenuta non occasionalità dello smercio sulla scorta di assiomi che non trovano rispondenza nell’id quod plerumque accidit, e segnatamente, per un verso, sulla rilevata disponibilità di una somma di denaro in contante nell’ambito di una contestazione di mera detenzione a fini di spaccio, e non di vendita, di droga per altro verso, sulla base della mero possesso di un telefono cellulare, ritenuto evidentemente utilizzato per i contatti con acquirenti e fornitori , in assenza di alcuna evidenza obbiettiva in tale senso ad esempio, un accertamento del traffico telefonico registrato in memoria . 3.4. Tirando le fila delle superiori considerazioni, deve essere affermato il principio di diritto alla stregua del quale, in tema di sostanze stupefacenti, ai fini del riconoscimento della fattispecie incriminatrice del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il giudice è tenuto a valutare, secondo una visione unitaria e globale, tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione mezzi, modalità e circostanze della stessa , sia quelli attenenti all’oggetto materiale del reato quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa come manifestatisi nel peculiare caso di specie, senza nessun automatismo o preclusione, potendo escludere il riconoscimento della fattispecie in ragione del dato quantitativo della sostanza ovvero dei connotati dell’azione soltanto qualora essi possano ritenersi dimostrativi di una significativa potenzialità offensiva e, dunque, di un elevato pericolo di diffusività della sostanza, inconciliabili con la fattispecie incriminatrice in parola. 4. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata limitatamente all’applicabilità dell’art. 73, comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Torino. P.Q.M. annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’applicabilità dell’art. 73, comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Torino. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen