Taxista a “luci rosse”, è favoreggiamento della prostituzione

La Cassazione conferma la sussistenza del reato di favoreggiamento della prostituzione per colui che accompagna la prostituta sul luogo di lavoro .

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 33046/17, depositata il 7 luglio. Il caso. L’imputato era stato condannato in sede di primo e secondo grado, per il reato di cui agli art. 81 c.p., art 3, comma 8, e art. 4, comma 7, l. 75/58, per aver abitualmente accompagnato delle prostitute sul luogo di lavoro. Avverso tale pronuncia ricorreva in Cassazione, lamentando di svolgere, in realtà, un’attività di taxi, anche se abusiva, per stranieri sprovvisti di patente e di aver accompagnato solo occasionalmente le donne, in ogni caso senza fini agevolativi della prostituzione. Favoreggiamento della prostituzione. La Corte rileva che è consolidato principio quello di ritenere che il reato di favoreggiamento della prostituzione si perfezioni attraverso ogni forma di interposizione agevolativa e con qualunque attività che anche in assenza di un contatto diretto dell’agente con il cliente, sia idonea a procurare più facili condizioni per l’esercizio del meretricio e che venga posta in essere con la consapevolezza di facilitare l’altrui attività di prostituzione, senza che abbia rilevanza il movente o il fine di tale condotta . Nel caso di specie, la Corte di Appello aveva individuato come prova del reato in esame la somma di 75 euro, trovati nel retro della macchina guidata dall’imputato. I Giudici,infatti, ritenendo tale somma eccessiva per un solo trasporto, avevano applicato il principio secondo il quale il percepire un compenso superiore al normale corrispettivo della prestazione effettuata a favore della prostituta, integra gli estremi del reato di sfruttamento . Per questo motivi, la Cassazione ritiene corretto il ragionamento operato dai Giudici d’Appello e rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 ottobre 2016 – 7 luglio 2017, n. 33046 Presidente Fiale – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Napoli con sentenza del 9 maggio 2014, confermava integralmente la decisione del Tribunale di Napoli del 23 novembre 2011 - rito abbreviato - che aveva condannato U.A. per il reato di cui agli art. 81 cod. pen., art 3, comma 8, e art. 4, comma 7, della legge n. 75 del 1958 alla pena di anni due di reclusione, ed Euro 600,00 di multa, con le sanzioni accessorie, e le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, con la riduzione per il rito. 2. U.A. ha proposto ricorso, personalmente, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen 2. 1. Violazione della legge n. 75 del 1958 e dell’art. 533 del codice di rito mancanza di motivazione, manifesta illogicità della stessa e travisamento della prova. La sentenza impugnata considera il ricorrente sostanzialmente un reo confesso, per aver abitualmente accompagnato delle prostitute sul luogo di lavoro ritiene inoltre una presunta attività di osservazione da parte della polizia giudiziaria. Il ricorrente invece ha solo ammesso di condurre un’attività di taxi, anche se abusivamente, per stranieri privi di patente di guida. L’accompagnamento è stato solo occasionale non finalizzato ad agevolare la prostituzione. Inoltre non è stato nemmeno individuato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il ricorrente quale effettivo guidatore della macchina infatti nessun controllo amministrativo, anche se pretestuoso è stato effettuato per individuare il conducente, la macchina inoltre non è di proprietà del ricorrente. 2. 2. Violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera E, del codice di rito in relazione alla legge n. 75/1958, in merito alla configurabilità dell’ipotesi di sfruttamento della prostituzione. Solo sulla semplice circostanza del ritrovamento, all’interno dell’autovettura, di alcune banconote arrotolate, complessivamente Euro 75,00, la Corte basa la condanna per sfruttamento della prostituzione ritenendo che la somma è superiore al corrispettivo dovuto per l’accompagnamento in macchina. È di tutta evidenza, invece, che ci si trova di fronte ad una somma di modesta entità, e solo un pregiudizio può far rapportare la somma all’attività di riscossione da sfruttamento della prostituzione. 2. 3. Violazione dell’articolo 4, comma 7, della legge n. 75 del 1958. Vizio di motivazione, manifesta illogicità, travisamento della prova. La Corte d’appello ha ritenuto sussistente l’aggravante del comma 7, dell’art. 4, l. 75/1958, ma non è stato dimostrato che alla guida ci fosse sempre lo stesso soggetto e che le donne si dedicassero al meretricio non può ritenersi che nel luogo dove venivano accompagnate le donne si esercitasse la prostituzione, senza concreta prova. Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, e per genericità inoltre ripropone le stesse argomentazioni dell’appello senza confrontarsi con le motivazioni della decisione impugnata. La sentenza impugnata e già la sentenza di primo grado, in doppia conforme con motivazione adeguata, non contraddittoria e immune da manifeste illogicità attribuisce al ricorrente la responsabilità dei reati contestatigli favoreggiamento della prostituzione di più donne in relazione alla piena confessione della sua condotta di accompagnatore abituale delle ragazze sul luogo di prostituzione, con la sua autovettura inoltre l’abituale accompagnamento è stato oggetto di accertamento diretto da parte della P.G. con l’osservazione per giorni tre consecutivi. Il reato di favoreggiamento della prostituzione si perfeziona con ogni forma di interposizione agevolativa e con qualunque attività che, anche in assenza di un contatto diretto dell’agente con il cliente, sia idonea a procurare più facili condizioni per l’esercizio del meretricio e che venga posta in essere con la consapevolezza di facilitare l’altrui attività di prostituzione, senza che abbia rilevanza il movente o il fine di tale condotta. Sez. 1, n. 39928 del 04/10/2007 - dep. 29/10/2007, P.M. in proc. Elia e altri, Rv. 237871 vedi anche Sez. 3, n. 47226 del 04/11/2005 - dep. 28/12/2005, Palmiero, Rv. 233268 e Sez. 3, n. 37578 del 25/06/2009 - dep. 24/09/2009, Savarese, Rv. 244964 . Per lo sfruttamento della prostituzione la Corte di appello individua nella somma di Euro 75,00 nascosta sotto il tappeto della vettura lato guida -, eccessiva per un solo trasporto, la prova del reato, poiché il percepire un compenso superiore al normale corrispettivo della prestazione effettuata a favore della prostituta, integra gli estremi del reato di sfruttamento . Il reato di sfruttamento della prostituzione si realizza col trarre una qualsiasi utilità dall’attività sessuale della prostituta e richiede il dolo specifico ossia la cosciente volontà del colpevole di trarre vantaggio economico dalla prostituzione mediante partecipazione di guadagni ottenuti con tale attività con la puntualizzazione che il reato non si configura quando la corresponsione dei proventi avvenga per giusta causa e nei limiti dell’adeguatezza, cioè per servizi leciti, sempre che vi sia proporzione tra servizio e compenso. Sez. 3, n. 98 del 24/11/1999 - dep. 11/01/2000, De Stasio D, Rv. 21506101 . Si tratta di un accertamento di merito non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, come nel caso in giudizio. Per l’aggravante la stessa P.G., nell’attività di osservazione di tre giorni consecutivi, ha osservato la molteplicità di ragazze accompagnate dal ricorrente. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.