Fotocopia il pass disabili, salvata dalla paura di perderlo durante i viaggi di lavoro

L’azione di fotocopiatura del pass disabili non deve qualificarsi come abusiva moltiplicazione dell’autorizzazione amministrativa bensì come strumento per poter utilizzare tale permesso nei limiti del provvedimento amministrativo

Così si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 18961/17 depositata il 20 aprile. Il caso. La Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale che condannava l’imputata per aver contraffatto, tramite la fotocopia del documento, il permesso per invalidi rilasciatole dal Comune di Roma. Il difensore ricorre per cassazione deducendo che il documento in fotocopia non era stato utilizzato come originale e mancava, in tal senso, l’elemento della falsificazione, ovvero la riproduzione di un documento inesistente o l’alterazione di un documento autentico, stante la titolarità del permesso di invalidità dell’imputata. Non è contraffazione. Gli Ermellini ritengono che la censura difensiva, in relazione al fatto dedotto in giudizio, sia fondata. Infatti, ribadendo la giurisprudenza formatasi sulla specifica situazione delle fotocopie del permesso di invalidità esposte sul veicolo al posto dell’originale, i Giudici di legittimità affermano che l’utilizzo concreto della fotocopia, pur non costituendo il momento consumativo del reato di contraffazione, non è del tutto irrilevante nella configurazione del reato. Nella fattispecie, però, è dimostrato che l’originale del permesso era detenuto dall’imputata a Roma e non poteva essere utilizzato da diverso titolare mentre la stessa esponeva la fotocopia su di un veicolo noleggiato in occasione del viaggio a Milano per lavoro. In tal senso, l’utilizzo della fotocopia a Milano era giustificato dai frequenti viaggi fra Roma e Milano durante i quali vi era la possibilità che l’originale del permesso andasse smarrito. Pertanto, l’azione di fotocopiatura della ricorrente non deve qualificarsi come abusiva moltiplicazione dell’autorizzazione amministrativa bensì come strumento per poter utilizzare tale permesso nei limiti del provvedimento amministrativo. La soluzione adottata dall’imputato non è dunque in contrasto con la funzione dell’atto. Per tutti questi motivi, la Cassazione annulla la sentenza senza rinvio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 settembre 2016 – 20 aprile 2017, n. 18961 Presidente Savani – Relatore De Berardinis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 5/6/2015 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza emessa dal Giudice monocratico del Tribunale del luogo nei confronti di A.N. , ritenuta responsabile del reato previsto dagli artt. 477-482 C.P. per aver contraffatto il permesso per invalidi rilasciatole dal Comune di Roma, eseguendo una fotocopia del documento fatto accertato in data omissis . Avverso tale ricorso proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo 1- inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di cui agli artt. 477-482 C.P. mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione. La difesa censurava la sentenza ove la Corte aveva aderito alla motivazione del giudice di primo grado, senza valutare il contenuto della memoria depositata dall’imputata, che era utilizzabile nel procedimento definito con rito abbreviato. 2- contrastava l’assunto accusatorio, rilevando peraltro che nella specie mancavano elementi dai quali desumere la oggettività del fatto, osservando che il documento in fotocopia non era stato utilizzato come originale e mancava la condotta tipica della falsificazione, ovvero la riproduzione di un documento inesistente, o l’alterazione di un documento autentico, dato che l’imputata era titolare di permesso di invalidità. Deduceva inoltre la mancanza dell’elemento psicologico del reato, rilevando la carenza ed illogicità della motivazione, non evidenziandosi nella sentenza quali fossero le modalità della condotta dalle quali il giudice desumeva l’esistenza del dolo. Richiamava sul punto la memoria depositata dall’imputata, che aveva chiarito le modalità del fatto. 3- censurava il mancato riconoscimento della tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis C.P Rilevato in diritto Il ricorso è fondato. Invero, secondo quanto è dato desumere dalla sentenza impugnata, la contestazione di falso risulta ascritta in riferimento ad un documento costituito dalla fotocopia di un’autorizzazione al parcheggio della quale l’imputata era effettiva titolare. Tanto premesso deve evidenziarsi che in relazione al fatto dedotto in giudizio risulta fondata la censura difensiva articolata per erronea applicazione della legge penale, in riferimento agli artt. 477-482 C.P Non ignora il collegio la giurisprudenza formatasi sulla specifica situazione delle fotocopie del permesso-invalidi esposte sul veicolo al posto di quello originale regolarmente posseduto se è vero che la fotocopiatura a colori del tutto simile all’originale può comportare il ricorrere di una falsificazione rilevante, è altrettanto vero che, pur non costituendone il momento consumativo, l’utilizzo concreto della fotocopia non è del tutto irrilevante nella configurazione del reato de quo. Nel caso di specie risulta che l’originale dell’autorizzazione era detenuto dalla A. a Roma e non poteva esser utilizzato da alcun soggetto diverso dalla titolare, mentre la stessa aveva esposto la fotocopia su di un veicolo noleggiato in occasione di un suo viaggio a per ragioni di lavoro. Ben plausibile è la giustificazione che la fotocopiatura ovviava al pericolo che, durante dei suoi frequenti viaggi fra e , per i quali non utilizzava l’autovettura lasciata a , l’originale dell’autorizzazione potesse andare smarrito e la presenza di due fotocopie nell’auto a noleggio sulla quale si trovava ben può dar conferma della plausibilità di quel timore . In definitiva l’utilizzo dell’autorizzazione da parte della titolare, accertato dalla Polizia municipale intervenuta mentre la A. si trovava impegnata per lavoro ed era attesa dal Conducente ingaggiato a Milano sulla cui auto era esposta la fotocopia incriminata, qualifica nel senso preteso dalla ricorrente l’azione di fotocopiatura, non come abusiva moltiplicazione di autorizzazione amministrativa, ma come strumento per poter utilizzare tale autorizzazione nei limiti del provvedimento amministrativo, non parendo in contrasto con la funzione dell’atto la mera soluzione del problema di un eventuale smarrimento di un documento fondamentale in relazione alle limitazioni fisiche di cui soffriva la prevenuta e che ne avevano giustificato il rilascio. In base a tali considerazioni deve ritenersi assorbita ogni ulteriore deduzione difensiva e va pronunziato l’annullamento senza rinvio della impugnata sentenza per insussistenza del fatto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.