Le SS.UU. sui confini della confisca di prevenzione, nei confronti di soggetti diversi dal proposto

Gli Ermellini risolvono i contrasti relativi alle corrette modalità per incamerare beni appartenenti a soggetti che si trovino in rapporto di successione con il proposto e, contestualmente, ai limiti di tali strumenti ablatori. Il tema è noto e controverso nel campo della cautela, tanto più quando azionata praeter delictum, si confrontano istanze di tutela anticipata della società, cui recherebbe pregiudizio la circolazione di beni illecitamente acquisiti – che potrebbero a loro volta essere presupposto per delinquere – e garanzie difensive, in un rito caratterizzato da presunzioni ed inversioni dell’onere della prova.

Con la sentenza n. 12621 del 16 febbraio 2017, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi, nella composizione più estesa, di misure di prevenzione. Il caso. Il giudizio a quo aveva visto l’integrale conferma, da parte della Corte distrettuale, della confisca di numerosi beni, in parte ereditati dalla moglie e dalla figlia ed in parte artificiosamente intestati in vita, secondo l’assunto accusatorio, al fratello ed ai genitori di soggetto qualificato pericoloso socialmente. Tali cespiti sarebbero frutto di reimpiego di danaro illecitamente prodotto, a causa della sproporzione fra il loro valore ed i redditi maturati dagli intestatari. Avverso il decreto della Corte d’appello di Roma ricorrono per Cassazione i terzi interessati, con atti separati, denunciando error in iudicando , per aver applicato la confisca in forma disgiunta, benché la novella legislativa che ha introdotto tale strumento sia intervenuta dopo il decesso del prevenuto, avvenuto nel 2008 carenze motivazionali che coprono l’intero spettro delle lacune logiche eccepibili, con riguardo alla dimostrazione della fittizietà dell’acquisto di alcuni dei beni, rispetto ai quali, in parte, sussisterebbe prova documentale della provvista utilizzata e, per altra parte, non vi sarebbero elementi concreti tali da giustificare la presunzione in discussione. Con ordinanza del 9 novembre 2016 la Sezione Prima ha rimesso i ricorsi alle Sezioni Unite, prospettando una contrapposizione con quanto statuito dalla Sezione Sesta in ordine al rapporto tra i destinatari formali dell’azione di prevenzione patrimoniale e la tipologia dei beni oggetto di potenziale aggressione. La sentenza. Il Supremo Collegio – su parere conforme del Procuratore generale – rigetta il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. La Corte parcellizza i molti profili di pregnanza, passando in rassegna i precedenti a sostegno delle diverse esegesi ed avendo cura di richiamare, per la corretta individuazione della ratio legis , la Relazione ministeriale illustrativa del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia”. Procede, quindi, a declinare nel caso concreto i risultati della sua analisi giuridica. Le questioni all’attenzione del Massimo Consesso . La Sezione rimettente domandava se, a seguito dell’azione di prevenzione patrimoniale esercitata dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso nei confronti dei successori a titolo universale o particolare, la confisca possa avere ad oggetto solo i beni a questi pervenuti per successione ereditaria ovvero riguardi anche i beni che, al momento del decesso, erano nella disponibilità di fatto del de cuius ma fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, e, in tale ultimo caso, se sia o meno necessaria, rispetto alla confisca, la declaratoria di nullità dei relativi atti di disposizione, prevista dall’art. 26, comma 1, d.lgs. n. 159/2011 . La disamina compiuta di questo dilemma ermeneutico, tuttavia, determinava la necessità di indagare, preliminarmente, una serie di aspetti, strettamente connessi all’interrogativo principale e riguardanti soggetti, oggetto e criteri del rito. In primis , andava risolto il dubbio concernente le nozioni di erede” e di successore a titolo universale o particolare” rilevanti in parte qua . La Corte, alla luce del principio di reciproca autonomia tra misure di prevenzione personali e patrimoniali e della specifica previsione di un termine quinquennale entro cui agire, a parziale bilanciamento dei diritti dei terzi, ritiene che le definizioni utili siano esclusivamente quelle civilistiche, senza che possano avere alcun rilievo successori cd. di fatto. In proposito, se l’azione prosegua o sia esercitata dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso, si statuisce che possa avere ad oggetto anche i beni che erano nella disponibilità del de cuius , per essere stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi e tale condizione non richiede, pregiudizialmente, la declaratoria di nullità delle disposizioni patrimoniali compiute declaratoria che è, al contrario, obbligo conseguenziale all’accertamento in parola, la cui mancanza è rimediabile, anche d’ufficio, mediante correzione dell’errore materiale. Quanto alle regole per condurre tale accertamento, non ci si potrà avvalere le presunzioni dall’art 26, comma secondo, d.lgs. n. 159/2011 per gli atti dei successori, ma solo per negozi conclusi direttamente dal proposto. L’esito del giudizio di legittimità. Quanto allo specifico giudizio a quo , l’Estensore impiega poche righe per decretare l’infondatezza dei motivi dedotti la violazione di legge penale, invero, non può in alcun modo riscontrarsi, poiché per la disposizione di cui s’era invocata l’illegittima applicazione retroattiva la novella del 2009 si presentava, in realtà, come mera riproduzione dell’intervento già svolto dalla riforma del 2008 le critiche all’ iter motivo, poi, oltre ad essere irricevibili – essendo ammessi nel procedimento di prevenzione, per granitico orientamento di legittimità, le sole violazioni di legge – risultano in realtà dirette ad avvalorare una differente ricostruzione in fatto di specifiche circostanze, con ciò implicando una valutazione che eccede il sindacato operabile dai Giudici di ultima istanza. Conclusioni. La decisione in commento, sebbene particolarmente corposa, conduce uno scrutinio organico e lineare dei diversi punti rilevanti, propendendo per l’indirizzo forse più ortodosso, che trova il bilanciamento dei diversi diritti in campo in una meno rigorosa interpretazione dei canoni procedurali se si definisca il compendio dei beni aggredibili, cui si giustappone condivisibilmente l’impossibilità di estendere le presunzioni di fittizietà all’operato di soggetti diversi da chi si ritenga socialmente pericoloso. Costituisce, dunque, un buon riferimento per il giurista pratico, che dovrà tenerne conto quando si trovi ad assistere i destinatari di provvedimenti analoghi.

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 22 dicembre 2016 – 16 marzo 2017, numero 12621 Presidente Fiale– Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con decreto emesso in data 8 gennaio 2015 la Corte di appello di Roma, pronunciando sugli appelli proposti avverso i decreti emessi dal Tribunale di Roma nelle date del 5 maggio, 10 giugno e 14 luglio 2014, ha confermato la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di numerosi beni nei confronti di C.F. e D.A.B. rispettivamente moglie e figlia di D.A.L. , deceduto in data omissis , di D.A.M. e V.L. genitori di D.A.L. , nonché di D.A.A. fratello di D.A.L. . 1.1. La Corte d’appello ha posto in rilievo il fatto che l’azione di prevenzione patrimoniale era stata esercitata il 14 febbraio 2013, ossia entro il termine di cinque anni dal decesso di D.A.L. , nei cui confronti era stato formulato, ai sensi dell’art. 1, lett. b , d.lgs. 6 settembre 2011, numero 159, il giudizio incidentale di pericolosità cd. generica, previsto dalla vigente disposizione dell’art. 18, comma 3, d.lgs. cit., ed ancora prima dalla disposizione di cui all’art. 10 d.l. 23 maggio 2008, numero 92, modificato dalla legge di conversione 24 luglio 2008, numero 125. La misura della confisca, in particolare, ha avuto per oggetto sia beni acquistati per successione dalle eredi di D.A.L. C.F. e D.A.B. , rispettivamente moglie e figlia del predetto , sia beni fittiziamente intestati in vita dal de cuius al fratello ed ai genitori, oltre a beni che questi ultimi avevano acquistato direttamente dalle eredi C. -D.A. con atto formalmente dichiarato nullo dai giudici di merito , perché ritenuti frutto di fittizie intestazioni, in quanto espressione di una attività di reimpiego, assumendo, quale indice di fittizietà della intestazione, la sproporzione fra i redditi di tali soggetti ed il valore degli acquisti. Con riferimento alle intestazioni fittizie a favore del fratello e dei genitori, peraltro, la Corte di appello non ha pronunciato la formale dichiarazione di nullità degli atti di disposizione ai sensi dell’art. 26, comma 1, d.lgs. numero 159 del 2011. 2. Avverso il suindicato decreto hanno proposto ricorso per cassazione i terzi interessati D.A.M. , V.L. e D.A.A. . 3. Il ricorso proposto nell’interesse di D.A.M. e V.L. è articolato in tre motivi. Con il primo motivo si deduce l’erronea applicazione di legge in relazione alla violazione del divieto di retroattività, sul rilievo che la possibilità di applicare la confisca di prevenzione in modo disgiunto è stata introdotta soltanto a partire dalla legge 15 luglio 2009, numero 94, dunque in epoca successiva al decesso di D.A.L. . Con il secondo motivo si censura il vizio dell’assenza o apparenza di motivazione con riferimento alla confisca dei terreni acquistati dai coniugi nell’anno 2002, non essendovi prova della ritenuta intestazione fittizia. Con il terzo motivo si prospetta il vizio dell’assenza o apparenza di motivazione in relazione ai beni immobili acquistati dai ricorrenti nel 2013 per effetto dell’atto stipulato con le eredi C.F. e D.A.B. , poiché era stata fornita prova documentale dell’effettività dell’acquisto. 4. Il primo motivo dedotto a sostegno del ricorso proposto nell’interesse di D.A.A. è incentrato sulla medesima questione inerente al divieto di applicazione retroattiva della citata disciplina in tema di confisca cd. disgiunta . Con il secondo motivo si deduce il vizio di assenza o apparenza della motivazione in relazione alla confisca dei terreni acquistati nel 2002, rivendicandosi la effettività dell’acquisto e contestandosi l’esistenza di concreti elementi indicativi della fittizietà della relativa intestazione. 5. Con requisitoria del 5 novembre 2015 il Procuratore generale ha preliminarmente evidenziato il difetto di legittimazione sul rilievo che i difensori dei ricorrenti risultano muniti di semplice procura ad litem, non qualificabile come procura speciale ai sensi dell’art. 100 cod. proc. penumero Nel merito, ha segnalato l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità degli ulteriori due motivi, sul duplice rilievo a quanto al primo motivo, che le modifiche introdotte dalle leggi numero 125 del 2008 e numero 94 del 2009 non hanno modificato la natura della confisca di prevenzione, rimanendo tuttora valida l’assimilazione dell’istituto alle misure di sicurezza, con la conseguente applicabilità, in caso di successioni di leggi nel tempo, della regola prevista dall’art. 200 cod. penumero b quanto alle residue doglianze, che il ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione, personali e reali, è ammesso solo per violazione di legge e non per vizi di motivazione. 6. Con ordinanza del 9 novembre 2016, la Prima Sezione ha rimesso i ricorsi alle Sezioni Unite, prospettando, in punto di ricognizione dei contenuti precettivi della disposizione di cui all’art. 18, comma 3, d.lgs. numero 159 del 2011, un contrasto interpretativo con quanto affermato dalla Sesta Sezione penale nella decisione del 16 dicembre 2015, numero 579, Rappa, Rv. 265576, con particolare riferimento al rapporto tra i destinatari formali dell’azione di prevenzione patrimoniale - ossia i successori a titolo universale o particolare - e la tipologia dei beni oggetto di potenziale sequestro e confisca. Secondo la Sezione rimettente occorre chiarire, entro tale prospettiva, se la tipologia di confisca prevista dall’art. 18, comma 3, possa essere estesa a tutti i beni che al momento del decesso erano riferibili al soggetto socialmente pericoloso, secondo i principi contenuti negli artt. 20 e 24 d.lgs. numero 159 del 2011, ovvero se la confiscabilità dei beni sia limitata solo a quelli formalmente caduti in successione, con tendenziale coincidenza tranne l’ipotesi in cui il bene possa giuridicamente rientrare a mezzo di azione incidentale di simulazione nel compendio ereditario dei destinatari dell’azione e della perimetrazione della confiscabilità dei beni, nella misura in cui dette entità patrimoniali siano state ricevute per successione . L’ordinanza di rimessione non ritiene condivisibile l’assunto secondo cui la procedura prevista dall’art. 18, comma 3, possa svolgersi esclusivamente nei confronti dei successori ed essere destinata al recupero di beni loro pervenuti, salva la possibilità di trattare incidentalmente posizioni relative a beni fittiziamente intestati o trasferiti a terzi nella misura in cui, ai sensi dell’art. 26, comma 1, d.lgs. cit., risulti una dichiarazione di nullità dell’atto di disposizione, con rientro prioritario di detti beni nel patrimonio degli eredi ed eventuale, successiva, confisca. Il tenore letterale della norma, infatti, muovendo da una lettura coordinata del significato da attribuire al combinato disposto degli artt. 20, 23 e 24 d.lgs. numero 159 del 2011, destinati ad integrare in modo coerente ed organico la specifica previsione normativa della confisca disgiunta infraquinquennale, non sembra ostare all’ablazione di tutti i beni riferibili al de cuius al momento del decesso, siano o meno pervenuti agli intestatari per successione o attraverso una precedente intestazione fittizia. 7. Con decreto del 10 novembre 2016 il Primo Presidente ha assegnato i ricorsi alle Sezioni Unite e ne ha disposto la trattazione all’odierna udienza camerale. 8. Ad integrazione della requisitoria il Procuratore generale ha svolto ulteriori osservazioni con memoria del 1° dicembre 2016, ritenendo preferibile un’interpretazione non meramente letterale, ma logico-sistematica dell’art. 18, che permetta di considerare successori a titolo particolare anche coloro i quali dal decesso del de cuius ricavino una ingiustificata locupletazione derivante dal mutamento della loro posizione giuridica ossia da meri prestanome ad effettivi proprietari di beni illecitamente acquisiti , in considerazione dell’intento del legislatore di prescindere, con le novità introdotte nel codice antimafia , dal rilievo della intestazione formale del bene confiscabile a soggetti diversi dall’effettivo dominus. Considerato in diritto 1. Occorre affrontare per il suo carattere di pregiudizialità la questione, prospettata dal Procuratore generale, circa il difetto di legittimazione dei ricorrenti sul rilievo che essi, nella qualità di terzi intestatari di beni illecitamente acquisiti dal defunto D.A.L. , non possono stare in giudizio personalmente, ma solo attraverso un difensore munito di procura speciale alle liti, ai sensi dell’art. 100 cod. proc. penumero . Al riguardo, in effetti, questa Corte Sez. U, numero 47239 del 30/10/2014, Borrelli, Rv. 260894 ha affermato il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso il decreto che dispone la misura di prevenzione della confisca dal difensore del terzo interessato non munito di procura speciale ex art. 100, cod. proc. penumero , precisando che, in tal caso, non può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. civ., per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza. Tuttavia, la Corte ha richiamato l’esigenza di considerare non necessario il ricorso a formule sacramentali nella redazione della procura speciale, ritenendo che sia consentito interpretare l’atto, al fine di ricostruire la effettiva portata della volontà della parte. Nel caso in esame, le nomine dei difensori poste in calce ai ricorsi contengono un esplicito riferimento al giudizio di legittimità per il presente procedimento di Cassazione e sono espresse conferendo agli stessi ogni più ampio potere previsto, al fine di meglio adempiere al proprio mandato . Sussiste, pertanto, una chiara ed univoca volontà delle parti di conferire procura speciale ai loro difensori per il presente grado di giudizio. 2. La questione di diritto per la quale i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni Unite può sinteticamente riassumersi nei termini di seguito indicati Se, a seguito dell’azione di prevenzione patrimoniale esercitata dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso nei confronti dei successori a titolo universale o particolare, la confisca possa avere ad oggetto solo i beni a questi pervenuti per successione ereditaria ovvero riguardi anche i beni che, al momento del decesso, erano nella disponibilità di fatto del de cuius ma fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, e, in tale ultimo caso, se sia o meno necessaria, rispetto alla confisca, la declaratoria di nullità dei relativi atti di disposizione, prevista dall’art. 26, comma 1, d.lgs. numero 159 del 2011 . L’oggetto della questione, pertanto, si articola in due distinti quesiti, riguardanti l’uno, la possibilità di estendere l’oggetto dell’azione di prevenzione patrimoniale, esercitata dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso, ai beni fittiziamente trasferiti o intestati in vita dal de cuius e, quindi, nella disponibilità indiretta di quest’ultimo fino al momento del decesso l’altro, la necessità o meno che la confisca del bene del terzo sia accompagnata dalla declaratoria di nullità dei relativi atti di disposizione negoziale. 3. I profili centrali della questione posta all’attenzione delle Sezioni Unite ossia, la definizione della nozione di successore a titolo universale o particolare, con la relativa delimitazione dell’oggetto della confisca, e la declaratoria di nullità degli atti di disposizione in caso di fittizietà dell’operazione , pur non esplicitamente dedotti nei motivi a sostegno dei ricorsi, integrano questioni giuridiche il cui esame risulta strettamente connesso all’oggetto del devolutum. Nel caso in esame, infatti, risultano confiscati beni non caduti in successione, ma formalmente acquistati - prima del decesso del soggetto pericoloso - da soggetti diversi, senza che la statuizione di confisca sia stata preceduta da una espressa dichiarazione di nullità degli atti negoziali mentre risulta confiscato un bene caduto in successione ma - in seguito - ceduto dagli eredi a terzi, con l’intervenuta pronuncia, in tal caso, della declaratoria di cui all’art. 26 d.lgs. numero 159 del 2011. Ne discende che il tema della corretta individuazione dei profili involgenti la ricostruzione dei presupposti e dei limiti di applicazione dell’istituto disciplinato dall’art. 26 non solo viene ad integrare una questione giuridica rilevabile d’ufficio, ma si presenta in rapporto di stretta connessione rispetto all’oggetto del giudizio di legittimità, imponendo una affermazione di principio da parte delle Sezioni Unite, anche in ragione della diversità delle soluzioni al riguardo adottate dai giudici di merito. 4. Il nuovo regime normativo introdotto dal d.lgs. 6 settembre 2011, numero 159, consente l’adozione di misure patrimoniali sia quando il soggetto destinatario della loro applicazione muoia nel corso del procedimento di prevenzione, sia nell’ipotesi in cui ciò avvenga prima della sua instaurazione. Nell’un caso, il procedimento già avviato nei confronti del proposto prosegue, alla sua morte, nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa art. 18, comma 2 nell’altro caso, invece, la proposta di confisca può essere avanzata nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare del soggetto nei confronti del quale poteva essere disposta, purché entro il termine di cinque anni dal suo decesso comma 3 . La formulazione letterale della disposizione che rileva nella fattispecie qui esaminata - ossia l’art. 18, comma 3 secondo cui Il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca in tal caso la richiesta di applicazione della misura di prevenzione può essere proposta nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare entro il termine di cinque anni dal decesso - è sostanzialmente sovrapponibile, sia pure con lievi variazioni lessicali, a quella dell’art. 2-tee della legge 31 maggio 1965, numero 575, a seguito della modifica introdotta dall’art. 10, comma 1, lett. d , numero 4, d.l. 23 maggio 2008, numero 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008, numero 125. 4.1. Già in passato la Corte aveva raggiunto un sicuro approdo ermeneutico, affermando il principio della non caducazione della confisca per effetto della morte del proposto, se intervenuta prima della definitività del provvedimento di prevenzione, a condizione che i relativi presupposti - della sua appartenenza ad un’associazione di tipo mafioso e della indimostrata legittima provenienza dei beni confiscati - fossero stati giudizialmente accertati Sez. U, numero 18 del 17/07/1996, Simonelli, Rv. 205262 . Una linea interpretativa, questa, che ha spezzato il nesso di presupposizione tra i due tipi di misure, consentendo l’instaurazione del procedimento di prevenzione patrimoniale disgiuntamente dalla proposta di misure personali, fermo restando il necessario accertamento incidentale della pericolosità del proposto, ancorché non attuale. Il principio di reciproca autonomia tra le misure personali e patrimoniali previsto dall’art. 2-bis, comma 6-bis, della legge 31 maggio 1965, numero 575, nel testo modificato dall’art. 2, comma 22, della 15 luglio 2009, numero 94 - consente di applicare la confisca anche in assenza di richieste di misure personali e, addirittura, a prescindere dal requisito della pericolosità del proposto al momento dell’adozione della misura, ma affida comunque al giudice il compito di verificare in via incidentale la riconducibilità del proposto nella categoria dei soggetti che possono essere destinatari dell’azione di prevenzione Sez. 1, numero 5361 del 13/01/2011, Altavilla, Rv. 249800 , richiedendo che tale pericolosità sia accertata con riferimento al momento dell’acquisto del bene oggetto della pretesa ablatoria Sez. 6, numero 10153 del 18/10/2012, dep. 2013, Colì, Rv. 254545 Sez. 6, numero 46068 del 25/09/2014, Di Biase, Rv. 261082 . 4.2. La disposizione contenuta nell’art. 18, comma 1, d.lgs. numero 158 del 2011, a sua volta, ribadisce, in coerenza con la linea di sviluppo tracciata dal legislatore, il principio di reciproca autonomia tra le misure di prevenzione personali e quelle patrimoniali, con la conseguenza che, nel nuovo assetto normativo, la morte del proposto non impedisce l’applicazione delle misure ablative, quand’anche sia intervenuta prima dell’adozione dei provvedimenti di sequestro e di confisca e senza che, a carico del proposto, si renda necessaria la preventiva applicazione di misure personali. La novità della riforma comporta che la cessazione della pericolosità del soggetto qualunque sia la ragione che non consenta di applicare la misura di prevenzione, e quindi anche la sua morte non può avere l’effetto di impedire l’aggressione del bene di colui che lo ha illecitamente acquisito quando era pericoloso. Per tali ragioni, anche a seguito della morte della persona, quel bene risulta aggredibile, prevalendo le esigenze della sua ablazione sulla terzietà degli aventi causa che ricevono un cespite acquisito illecitamente dal de cuius Sez. 6, numero 10153 del 18/10/2012, dep. 2013, Colì . Inoltre, al fine di evitare che i successori del de cuius, che potrebbero essere del tutto estranei ai circuiti criminali, si trovino esposti sine die alla possibilità dell’aggressione dei beni così acquisiti, il legislatore ha previsto un lasso di tempo dal decesso del soggetto, entro il quale l’iniziativa di prevenzione patrimoniale deve essere esercitata nei loro confronti. 4.3. Lo scopo perseguito dal legislatore è stato individuato nell’intento di eliminare dal circuito economico, collegato ad attività e soggetti criminosi, beni dei quali non venga fornita una dimostrazione di lecita acquisizione Sez. U., numero 4880 del 26 giugno 2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262604 , scopo che la Corte costituzionale ha ritenuto in linea con il quadro dei principi delineato dalla Costituzione, con le sentenza numero 21 e numero 216 del 2012. In particolare, la Corte ha escluso ogni validità dell’assunto secondo cui gli eredi non possono difendersi dimostrando che il bene non è nella disponibilità indiretta del proposto, in quanto non sussiste alcuna ragione giuridica per escludere che, allo scopo di impedire la confisca, i successori possano far valere i propri diritti legittimamente acquisiti e, dunque, il fatto che i beni da confiscare neanche indirettamente appartenevano al de cuius . La qualità di successore, infatti, non preclude la possibilità di far valere il proprio autonomo diritto sul bene oggetto della proposta di confisca, così escludendosi ogni pericolo di vulnus al diritto di difesa e al principio del contraddittorio che deriverebbe da un giudizio formulato con riferimento ad una persona che non può parteciparvi. 5. Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi che le nozioni di erede e di successore a titolo universale o particolare , cui fa riferimento l’art. 18, commi 2 e 3, d.lgs. numero 159 del 2011, sono quelle proprie del codice civile, senza alcuna possibilità di dare rilievo all’anomala figura di erede o successore di fatto Sez. 6, numero 579 del 16/12/2015, dep. 2016, Rappa, Rv. 265576 . Il legislatore, al riguardo, ha operato un consapevole richiamo a termini ed istituti che trovano specifica definizione nella pertinente disciplina civilistica, sicché deve escludersi alcuna interpretazione di tipo analogico. Pur affiorando dal testo normativo talune divergenze lessicali nella formulazione delle previsioni del comma 2 eredi o aventi causa del soggetto proposto per l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale e del comma 3 dell’art. 18 successori a titolo universale o particolare , il riferimento alla disciplina del codice civile consente di individuare con certezza tali figure, poiché se la nozione di successore a titolo universale integra quella dell’erede che subentra nella totalità del patrimonio de cuius, ovvero in una sua quota, la connessa definizione di successore a titolo particolare sta ad indicare la posizione di colui che subentra in uno o più diritti specificamente individuati dal de cuius il legatario , in parziale sovrapposizione con la più ampia area semantica della nozione di aventi causa , che fa riferimento al coinvolgimento anche di terzi intestatari di beni loro trasferiti in vita dal proposto. 6. Profilo problematico diverso, ma strettamente connesso a quello esaminato, è il tema riguardante la estensione della confisca ai beni dal de cuius fittiziamente intestati in vita a soggetti diversi dagli eredi, nonché ai beni caduti in successione, ma dagli eredi trasferiti a terzi prima della proposizione dell’azione patrimoniale nei loro confronti eventualmente esercitata. Al riguardo occorre anzitutto distinguere, anche ai fini del riparto dell’onere di allegazione, tra i soggetti chiamati in giudizio in luogo della persona che poteva essere quando era in vita oggetto della proposta di applicazione della misura, ossia i successori a titolo universale o particolare, e i terzi intestatari del de cuius, che tali rimangono anche dopo l’intervenuta successione. I primi, nei cui confronti la proposta deve essere avanzata rispettando un preciso limite di sbarramento temporale nella ricorrenza dell’ipotesi prevista dall’art. 18, comma 3, d.lgs. numero 159 del 2011, esercitano i medesimi diritti e facoltà del proposto con riferimento ai beni per i quali sono subentrati al de cuius, essendo loro riservati i mezzi probatori e i rimedi impugnatori previsti per il de cuius in forza delle citate sentenze numero 21 e numero 216 del 2102 della Corte cost. . I secondi, invece, possono o meno coincidere con le figure dei successori può infatti accadere che il successore sia anche terzo intestatario del proposto con riferimento ad alcuni beni oggetto di determinati atti traslativi sicché, a seguito della morte di quest’ultimo, egli assume nel procedimento la duplice veste di erede, subentrato e citato al posto del de cuius, e di formale titolare del bene che esercita, in quanto tale, i propri diritti di terzo intestatario così come può verificarsi l’ipotesi che il terzo intestatario del de cuius sia una persona diversa dal successore e che, in forza di tale specifica qualità, venga citato dall’autorità procedente. Al riguardo, il legislatore ha opportunamente stabilito un preciso limite temporale di garanzia rispetto alla possibilità di avviare azioni patrimoniali sine die, delineando nella citata previsione dell’art. 18, comma 3, un arco temporale entro cui l’iniziativa di prevenzione patrimoniale può essere utilmente esercitata da un lato, è stata fissata la decorrenza del termine quinquennale dalla morte della persona dies a quo , dall’altro è stata individuata, quale termine finale dies ad quem , la data di presentazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare. Nel rispetto di tale termine, perentoriamente fissato dal legislatore quale condizione di legittimità dell’azione di prevenzione, è possibile procedere, quale che sia la fonte di acquisto, sia in relazione ai beni indicati nella proposta, sia riguardo ai beni che eventualmente vengano individuati in seguito, purché riferibili, direttamente o indirettamente, ad atti dispositivi del de cuius. Ne discende, pertanto, che il successivo rinvenimento di altri beni, siano essi pervenuti ai successori ovvero a terzi intestatari del de cuius, richiede necessariamente la presentazione di un’ulteriore, autonoma, proposta di applicazione della misura patrimoniale, che può ritenersi tempestiva solo se presentata entro il suindicato limite temporale Sez. 6, numero 579 del 16/12/2015, dep. 2016, Rappa, cit. . 7. Esaminando ora i termini del contrasto interpretativo è significativo rilevare come la decisione da ultimo citata e l’ordinanza di rimessione approdino alle medesime conclusioni, ritenendo che la presenza, imprescindibile, dei successori a titolo universale o particolare nel procedimento di prevenzione post mortem non esclude la possibilità di estendere l’azione patrimoniale ai beni fittiziamente intestati dal proposto in vita a terzi. Le due impostazioni ermeneutiche sembrano divaricarsi, invece, nella corretta individuazione del limite di confiscabilità dei beni dal de cuius intestati in vita a terzi. 7.1. Nella sentenza Rappa si distingue il profilo dell’individuazione dei soggetti nei confronti dei quali può essere proseguita o intrapresa l’azione di prevenzione patrimoniale da quello inerente la necessità di accertare la reale consistenza del patrimonio ereditario, sì da ricomprendervi quei beni impropriamente pervenuti a disposizione di terzi. Muovendo da tale prospettiva si afferma che, nel caso di sopravvenuto accertamento di beni non individuati al momento dell’instaurazione del procedimento, è necessario esercitare una autonoma azione patrimoniale, soggetta anch’essa al perentorio termine fissato dall’art. 18, comma 3, d.lgs. cit La Corte si limita ad affermare che l’apprensione del bene del terzo non può trovare alcuna legittimazione attraverso il riferimento ad una nozione atecnica di erede, ma deve fondarsi sull’accertamento dell’apparente intestazione in capo al terzo, realizzata dal proposto attraverso atti di disposizione patrimoniale passibili di nullità ai sensi dell’art. 26 d.lgs. cit Siffatta pronuncia, tuttavia, non chiarisce la portata applicativa di tale norma, né esplicita la valenza pregiudiziale della declaratoria di nullità rispetto alla confisca. 7.2. Diversa, invece, la prospettiva seguita nell’ordinanza di rimessione, secondo cui ‘esegesi della norma deve combinarsi con la considerazione della sua dimensione finalistica, rappresentata dalla necessità di assicurare la confisca di tutti i beni che - a seguito di una ricognizione in contraddittorio dei relativi presupposti di legge - siano ricollegabili all’agire del soggetto pericoloso. Si perviene, in tal modo, alla conclusione secondo cui le previsioni dell’art. 18 non implicano un restringimento dell’azione di prevenzione patrimoniale ai beni ricevuti dagli eredi, poiché essa deve ritenersi giustificata esclusivamente dalla primaria esigenza di individuare un contraddittore valido sul tema pregiudiziale dell’accertamento della pericolosità del de cuius, senza condizionare il tema del recupero dei beni accumulati in vita, attraverso una prioritaria dichiarazione di nullità degli atti negoziali ai sensi dell’art. 26, comma 1, d.lgs. cit 8. Poste tali premesse, e richiamate le considerazioni dianzi esposte in tema di individuazione degli elementi distintivi fra i soggetti chiamati in giudizio in luogo del de cuius, deve ritenersi che colgono maggiormente nel segno le implicazioni di ordine logico-sistematico e finalistico sottese alla linea interpretativa prospettata nell’ordinanza di rimessione, sul condivisibile rilievo che l’azione patrimoniale deve essere rapportata, in armonia con le connotazioni assunte dal nuovo regime della prevenzione, ai beni individuabili nella disponibilità, anche di fatto, del de cuius al momento del decesso, a chiunque formalmente intestati, con l’ovvia necessità, lì dove si tratti di soggetti terzi rispetto ai successori, di disporre una integrazione del contraddittorio nelle forme indicate dall’art. 23 d.lgs. cit. per le altre persone interessate . L’azione patrimoniale, pertanto, può essere orientata sui beni frutto di attività illecite o che ne costituiscano il reimpiego - secondo la generale disposizione di chiusura contenuta nell’art. 18, comma 4, che consente l’inizio o la prosecuzione del procedimento finanche nelle ipotesi di assenza, residenza o dimora all’estero del soggetto proponibile per la misura - a chiunque pervenuti o formalmente intestati dal de cuius successori universali e particolari o terzi intestatari , coinvolgendoli nel procedimento applicativo a norma degli artt. 18, commi 2 e 3, 20, comma 1, 22, comma 2, 23, commi 2 e 4, 24, comma 1, 25 e 26, comma 1 disposizioni volte a colpire, all’esito di un accertamento svolto nel rispetto del contraddittorio con tutti i soggetti interessati, l’illecita accumulazione patrimoniale fittiziamente intestata o trasferita a chiunque, ovvero a rimediarvi per l’equivalente quando ciò non sia possibile. 8.1. Occorre prendere le mosse non solo dall’ampia nozione di disponibilità a qualsiasi titolo del bene, sia in forma diretta che indiretta, rispettivamente impiegata negli artt. 24, comma 1, e 20, comma 1, d.lgs. cit., ma anche dal presupposto, chiaramente messo in rilievo nella più recente elaborazione giurisprudenziale di questa Suprema Corte Sez. U, numero 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262604 , della generale confiscabilità dei beni che si trovino nella disponibilità del soggetto pericoloso al momento del decesso, e che, in quanto tali, presentano uno stigma tendenzialmente indissolubile e indipendente dalla persistenza in vita del soggetto potenziale destinatario della misura patrimoniale. Nella stessa prospettiva si inscrive l’ampia estensione dei poteri di indagine funzionali all’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale ai sensi dell’art. 19 d.lgs. cit., che consente un’attività investigativa a forma libera, non soggetta a limitazioni temporali, sia da parte degli organi titolari del potere di proposta, sia attraverso le iniziative eventualmente disposte ex officio dal tribunale durante il corso del procedimento di prevenzione attività, questa, che può essere svolta nei confronti di coloro che possono assumere la qualità di terzo intestatario e nei confronti di tutti coloro per i quali è possibile accertare i presupposti della operatività delle presunzioni previste dall’art. 26 d.lgs. cit 8.2. Sulla base di tali considerazioni deve ritenersi che le finalità e l’ampia estensione dei contenuti dell’azione di prevenzione patrimoniale - indirizzata dal legislatore verso il recupero di beni la cui illecita disponibilità da parte del de cuius prosegue a qualsiasi titolo, dunque anche nei termini di una signoria di fatto Sez. 6, numero 10153 del 18/10/2012, dep. 2013, Colì, in motivazione , nei successori a titolo universale o particolare, ovvero nei terzi interessati ex art. 23 d.lgs. cit. - non presuppongono, ai fini della materiale apprensione, il preventivo transito temporaneo dei beni all’interno del patrimonio ereditario, né possono subire limitazioni di ordine soggettivo sul piano della instaurazione del contraddittorio, non essendovi alcun rapporto di necessaria identificazione tra i destinatari formali dell’azione i successori del soggetto indiziato di pericolosità e i titolari dei diritti sui beni aggredibili nel procedimento di prevenzione da coinvolgere nel contraddittorio come parti eventuali . Analoghe limitazioni alla proponibilità dell’azione devono escludersi con riferimento alla esigenza, in tesi prospettabile, di un preventivo obbligo giudiziale - dalla legge non contemplato - di declaratoria della nullità dell’atto dispositivo ai fini della validità della misura ablativa. 8.3. Problema diverso da quelli ora considerati, anche se ad essi strettamente connesso, è quello ipotizzato dal Procuratore generale in relazione a quelle situazioni in cui non sia formalmente individuabile un compendio ereditario, per avere la persona pericolosa già provveduto a dismettere in vita l’intero suo patrimonio in favore degli stretti congiunti ovvero di terzi intestatari. La soluzione del problema non può essere quella di attribuire alle formule lessicali utilizzate nell’art. 18 un’accezione atecnica, in grado di ricomprendere fra i successori del proposto anche i soggetti subentrati in vita a quest’ultimo nella titolarità apparente di determinati beni, ma va ricercata nelle possibilità, già offerte dall’ordinamento attraverso la previsione della norma incriminatrice del delitto di trasferimento fraudolento di valori di cui all’art. 12-quinquies d.l. 8 giugno 1992, numero 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, numero 356, di sanzionare quelle condotte, realizzate da persone potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione e aventi ad oggetto finanche beni di lecita provenienza, che siano finalizzate a non far figurare la loro disponibilità di beni o di altre utilità fittiziamente intestate, a prescindere dalla relativa provenienza Sez. 2, numero 13448 del 16/12/2015, dep. 2016, Zummo, Rv. 266438 . Né vi è sovrapposizione fra la condotta incriminata - il cui disvalore si esaurisce mediante l’utilizzazione di meccanismi interpositori in grado di determinare la solo formale attribuzione Sez. U., numero 8 del 28 febbraio 2001, Ferrarese, in motivazione - ed il meccanismo delle presunzioni di fittizietà destinate ad agevolare le misure di prevenzione patrimoniale, poiché l’applicabilità dell’art. 26, comma 2, d.lgs. numero 159 del 2011 e nel previgente sistema dell’art. 2-ter, ultimo comma, della legge numero 575 del 1965 non esclude la possibilità di configurare, eventualmente anche a titolo di concorso, nei confronti dei soggetti che partecipano alle operazioni di trasferimento o di intestazione fittizia, il reato di trasferimento di valori di cui all’art. 12-quinquies, trattandosi di norme relative a situazioni aventi presupposti operativi ad effetti completamente differenti Sez. 2, numero 5595 del 27/10/2011, dep. 2012, Cuscinà, Rv. 252696 Sez. 6, numero 20769 del 06/05/2014, Barresi, Rv. 259609 Sez. 6, numero 37375 del 06/05/2014, Filardo, Rv. 261656 Sez. 2, numero 13915 del 09/12/2015, dep. 2016, Scriva, Rv. 266386 . Forme di tutela, dunque, particolarmente incisive, quelle predisposte dal legislatore per colpire l’intento elusivo della esecuzione di un provvedimento, anche solo potenziale, in materia di prevenzione patrimoniale. Esse, peraltro, sono rafforzate, per un verso, dalla possibilità di fare ricorso alla particolare ipotesi di confisca di cui all’art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, numero 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, numero 356, e, per altro verso, dalla eventuale applicazione della specifica disciplina del sequestro o confisca per equivalente di cui all’art. 25 d.lgs. numero 159 del 2011, in quanto finalizzata, senza alcuna delimitazione temporale e nei confronti di qualsiasi persona venga fatta oggetto di una proposta di misura ivi compresi gli eredi , a colpire le condotte elusive delle misure di prevenzione patrimoniale per un valore corrispondente a quello dei beni ad esse assoggettabili, finanche nelle ipotesi di legittimo trasferimento a terzi in buona fede. 9. Deve ora essere affrontata la connessa questione problematica inerente il significato da attribuire alla declaratoria di nullità prescritta dall’art. 26 d.lgs. cit., la sua collocazione all’interno del procedimento di prevenzione e l’eventuale incidenza sul provvedimento di confisca. Occorre stabilire, in particolare, se l’apprensione dei beni fittiziamente intestati o trasferiti a terzi dal soggetto indiziato di pericolosità debba o meno essere preceduta, quale condizione di validità, dalla declaratoria di nullità dei relativi atti di disposizione negoziale. L’art. 26, comma 1, nel recepire il tenore letterale dell’abrogata disposizione di cui all’art. 2-ter della legge numero 575 del 1965, per effetto delle modifiche apportate dal d.l. 23 maggio 2008 numero 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008, numero 125, stabilisce, con una formulazione aperta , comprensiva di ogni atto che realizzi il concreto risultato di una volontaria attribuzione del bene al fine di eluderne l’apprensione statale, che quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con il decreto che dispone la confisca il giudice dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione . Sotto nessun profilo sembra possibile rintracciare, nella formulazione lessicale della citata disposizione, la presenza di un elemento normativo cui condizionare in senso pregiudiziale la validità dell’ablazione del bene apparentemente riconducibile al terzo. Al di là del problematico inquadramento teorico della declaratoria prevista dall’art. 26 e della sua utilità pratica, la tesi della pregiudizialità non solo non trova alcun seguito nella giurisprudenza e nella riflessione dottrinale, ma non sembra ricevere alcun appiglio esegetico neanche alla luce di una oggettiva analisi del dato testuale, la cui formulazione, nulla aggiungendo a quanto già previsto dall’art. 24 d.lgs. cit., individua nell’accertamento giudiziale della fittizietà della intestazione o del trasferimento del bene il presupposto del provvedimento ablativo, contestualizzando la dichiarazione di nullità dei relativi atti di disposizione al momento della emissione del decreto di confisca. Non si tratta, dunque, di una condizione di validità della misura patrimoniale, ma di una conseguenza scaturente dall’adozione del provvedimento ablativo, preordinata al conseguimento di finalità di certezza pubblica e di stabilizzazione dei rapporti giuridici, facendo salva la opponibilità del provvedimento ablativo ai terzi interessati cui sia stato garantito un effettivo contraddittorio all’interno del procedimento di prevenzione. Sotto altro profilo occorre tuttavia rilevare che se, da un lato, l’effetto della declaratoria di nullità del trasferimento può individuarsi nella sottrazione del bene, con efficacia ex tunc, dal patrimonio del fittizio intestatario - in quanto tale produttiva di un irrimediabile pregiudizio delle ragioni dei rispettivi creditori, con l’invalidità a cascata di tutti gli atti successivi a quello concluso fra il proposto ovvero il successore e l’intestatario fittizio -, dall’altro lato la portata applicativa della previsione sembra assumere una marginale incidenza pratica, ove si considerino le implicazioni sottese al formale riconoscimento della natura originaria dell’acquisto del bene confiscato, atteso che l’art. 45, comma 1, d.lgs. cit. ha previsto che a seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi . In altri termini, alla disposizione dell’art. 26 cit. è attribuibile una valenza meramente esplicativa, ossia di formale ricognizione esterna , dell’effetto di acquisizione al patrimonio dello Stato che la confisca, ove disposta nel rispetto del contraddittorio con i terzi interessati, è per sé stessa in grado di produrre. Ciò comporta, in definitiva, che, lì dove ai terzi sia garantito il contraddittorio, la nullità degli atti di disposizione, anche se non espressamente dichiarata dal giudice, deve comunque intendersi come un effetto tipico del provvedimento ablativo in assenza del contraddittorio, invece, la relativa declaratoria, quand’anche sia stata formalmente pronunziata ai sensi dell’art. 26 d.lgs. cit., risulterebbe inutiliter data. L’omessa declaratoria di nullità, come già affermato da questa Corte, è priva di sanzioni processuali e non produce vizi rilevanti ai sensi degli artt. 177 ss. cod. proc. penumero Sez. 6, numero 10153 del 2013, Colì, cit., in motivazione . Ciò non toglie, tuttavia, che la previsione di tale incombente processuale configuri un obbligo conseguenziale all’accertamento della fittizietà, la cui osservanza è dalla legge imposta al giudice, tenuto a dichiararla, al di fuori di qualsiasi valutazione discrezionale, al ricorrere dei presupposti normativamente stabiliti Sez. 5, numero 18532 del 19/12/2012, dep. 2013, Vitale, non mass. Sez. 6, numero 1268 del 30/10/2013, dep. 2014, Nicastri, non mass. . All’eventuale omissione dell’adempimento dichiarativo, peraltro, ben può rimediarsi facendo ricorso, anche d’ufficio, alla procedura prevista dall’art. 130 cod. proc. penumero , non ostandovi la mancata impugnazione del pubblico ministero Sez. 5, numero 18532 del 2013, Vitale, cit. . 10. Alle questioni sinora affrontate si ricollega quella, che pure interessa la fattispecie esaminata, attinente ai limiti della confisca dei beni trasferiti dai successori del de cuius a terzi. Al riguardo possono configurarsi due distinte condotte distrattive da parte dell’erede una, volta a conservare il bene nella propria disponibilità di fatto l’altra, a sostituirlo con il controvalore del prezzo della sua alienazione. A tali ipotesi, peraltro, si aggiunge la variabile delle implicazioni legate al rilievo della specifica condizione soggettiva del terzo, il cui necessario apprezzamento impone di articolare con maggiore ampiezza il quadro delle possibili fattispecie. Nel caso di accertata intestazione fittizia, nulla osta all’applicazione dell’art. 26, comma 1, d.lgs. cit., il cui tenore letterale a differenza della successiva previsione del secondo comma non consente di escludere, in assenza di formali riferimenti al proposto , la figura del successore. Il combinato disposto degli artt. 18, comma 3, e 26, comma 1, d.lgs. cit., legittima, dunque, l’apprensione del bene che si accerti essere stato dai successori del de cuius fittiziamente trasferito a terzi in mala fede, perché consapevoli dell’intento elusivo perseguito dal loro dante causa. Nella diversa ipotesi in cui il successore abbia realmente alienato il bene pervenutogli dal de cuius a terzi in buona fede, sostituendolo con il controvalore di un’effettiva operazione negoziale, la fuoriuscita del cespite dal compendio ereditario ne recide radicalmente il rapporto con la sua originaria provenienza illecita, escludendone l’apprensione per effetto di un provvedimento ablativo. Ciò, tuttavia, non comporta alcuna rinuncia all’obiettivo di colpire l’illecito arricchimento a suo tempo maturato dal de cuius, che ben potrebbe essere conseguito, ricorrendone i presupposti, attraverso il ricorso all’istituto della confisca per equivalente prevista dall’art. 25 d.lgs. cit., dovendo la stessa ritenersi applicabile, oltre che al proposto, anche ai suoi successori, i quali subentrano, in prosecuzione o per effetto di un’autonoma proposta, come destinatari dell’azione di prevenzione patrimoniale, nella posizione propria del soggetto già proposto, ovvero del potenziale destinatario della misura che ne costituisce l’oggetto. A conforto di tale opzione ermeneutica, si rileva che nella Relazione ministeriale illustrativa del d.lgs. numero 159 del 2011 si legge che il rischio di una lacuna normativa, al riguardo evidenziata nel parere espresso dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato, non è in realtà tale, in quanto la confisca per equivalente è già applicabile nei confronti di qualunque persona nei cui confronti è proposta la misura di prevenzione, quindi anche nei confronti degli eredi . 11. Ulteriore questione da affrontare concerne l’ambito di applicazione delle presunzioni previste dall’art. 26, comma 2, d.lgs. cit. riproduttivo del disposto di cui all’art. 2-ter, comma 13, legge numero 575 del 1965, introdotto dal d.l. numero 92 del 2008, convertito dalla legge numero 125 del 2008 , poiché nella fattispecie in esame la Corte territoriale vi ha fatto ricorso, ritenendone l’operatività con riferimento a taluni beni trasferiti dagli eredi a terzi qui ricorrenti . Occorre stabilire, in particolare, se tali presunzioni siano riferibili esclusivamente agli atti realizzati dal soggetto portatore di pericolosità, ovvero se le stesse si estendano anche gli atti dei suoi successori. Il quesito va risolto nel senso della prima delle alternative ora indicate. 11.1. L’art. 26, comma 2, d.lgs. cit., stabilisce, in assonanza con il meccanismo proprio dell’istituto della revocatoria fallimentare, che, ai fini di cui al comma 1, si presumono fittizi, fino a prova contraria a i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado b i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione. La previsione è disgiunta rispetto a quella delineata nel comma 1, nel senso che alla portata generale di quest’ultima, valida per tutti i casi di interposizione fittizia, segue l’articolazione di un duplice meccanismo di presunzioni iuris tantum, operanti in relazione ad evenienze specificamente individuate dal legislatore sulla base di predeterminati limiti di ordine soggettivo e temporale, ovvero modulati sulla considerazione della peculiare tipologia dell’atto intestazione gratuita o fiduciaria . La particolare ampiezza della formulazione - che utilizza la dizione congiunta trasferimenti e intestazioni - sta ad indicare lo sforzo del legislatore di ricomprendervi, alla stregua dell’id quod plerumque accidit, qualunque atto idoneo a determinare la disponibilità formale del bene in capo ad altri, valorizzando, sul piano interpretativo, la ratio antielusiva della norma. Sulla base di tali presunzioni, si introduce un’inversione dell’onere della prova a carico del terzo, intestatario formale, che deve dimostrare il carattere reale, non fittizio, dell’atto di disposizione, deducendo la fonte dei mezzi di pagamento o della capacità reddituale idonea a giustificare l’acquisto con risorse proprie e commisurate al valore del bene. Se la prova è fornita, la confisca non può essere pronunciata perché il bene deve reputarsi appartenere effettivamente al terzo anche se il proposto può subire, comunque, la confisca per equivalente se la prova non è fornita, il giudice ordina la confisca, perché il bene si presume del proposto, e dichiara la nullità dell’atto di trasferimento. L’art. 26, comma 2, lett. a , in particolare, introduce nel sistema un’ulteriore presunzione, dotata di propria autonomia, che se, da un lato, non fa venire meno quella prevista dall’art. 19, comma 3, d.lgs. cit. - relativa a determinate figure soggettive coniuge, figli e coloro che, nell’ultimo quinquennio, hanno convissuto con il proposto per le quali continua ad essere previsto l’obbligo delle indagini patrimoniali -, dall’altro lato, si estende su una più ampia platea di soggetti l’ascendente, i parenti entro il sesto grado e gli affini entro il quarto , per i quali sono presunte iuris tantum le operazioni intervenute a qualunque titolo, gratuito ovvero oneroso, entro un arco temporale definito nei due anni antecedenti la presentazione della proposta. Al riguardo la Corte ha precisato che il rapporto esistente fra il proposto ed il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce, pur al di fuori dei casi oggetto delle specifiche presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. cit., una circostanza di fatto significativa, con elevata probabilità, della fittizietà della intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta formalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica Sez. 1, numero 17743 del 07/03/2014, Rienzi, Rv. 259608 Sez. 1, numero 23520 del 05/03/2013, Sollecito, non mass. Sez. 1, numero 19623 del 22/02/2012, Spinelli, non mass. . Deve altresì rilevarsi come il meccanismo presuntivo - che nel caso degli atti a titolo oneroso si estende ai parenti sino al sesto grado ed agli affini sino al quarto, mentre per gli atti a titolo gratuito o fiduciario si applica nei confronti di tutti, anche dei terzi estranei - operi in deroga alla disposizione di cui all’art. 24 d.lgs. cit., ove in linea generale si prevede che incombe sull’accusa l’onere di provare, sulla base di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, la sussistenza della disponibilità dei beni in capo al proposto Sez. 2, numero 6977 del 09/02/2011, Battaglia, Rv. 249364 . 11.2. La questione problematica in esame non è stata sinora specificamente affrontata dalla Corte di cassazione, anche se l’ordinanza di rimessione ha espresso riserve in merito ad una possibile interpretazione estensiva, ritenendo la norma esclusivamente riferibile agli atti realizzati dal soggetto portatore di pericolosità. In effetti, la ratio giustificatrice della previsione risiede essenzialmente nell’agevolazione del percorso probatorio che il giudice deve seguire nell’accertamento dell’illecito arricchimento patrimoniale del soggetto mafioso o indiziato di pericolosità, neutralizzando quei tentativi, notoriamente diffusi in particolare nei contesti di criminalità organizzata, di sottrarre i beni all’azione di prevenzione instaurata a fini ablativi, attraverso intestazioni fittizie in favore di persone che si assumono depositarie della fiducia del proposto, in ragione della loro prossimità e vicinanza nella sfera delle relazioni familiari. Il contenuto della disposizione, circoscritto come è, anche nella sua formulazione letterale, alla relazione che stringe i soggetti ivi indicati al proposto, riveste una portata eccezionale, come tale non suscettibile di applicazioni analogiche o estensive, che significherebbero trasferire al rapporto fra l’erede e gli stretti suoi congiunti quella presunzione di fittizietà dell’intestazione che il legislatore ha inteso tipizzare e parametrare in funzione della persona del proposto e della sua accertata pericolosità. L’istituto della confisca post mortem nei confronti dei successori consente di assoggettare alla misura di prevenzione beni illegittimamente acquisiti dal de cuius e successivamente transitati nel patrimonio del successore, non anche i beni del successore, che, come tale, è terzo incolpevole rispetto al procedimento di prevenzione e alla conseguente adozione della misura ablativa. Ne discende che, in mancanza di inequivoche indicazioni letterali, l’estensione delle presunzioni di fittizietà nei confronti del successore della persona indiziata di pericolosità non può desumersi dalla ratio della previsione, che ha per scopo quello di impedire i trasferimenti elusivi del bene dalla persona pericolosa ad altri soggetti, sulla base di un ragionevole sospetto che ne colpisce i comportamenti proprio in virtù di questa sua peculiare condizione. Il successore, potenzialmente destinatario della misura preventiva ai sensi dell’art. 18, non può essere a sua volta sospettato di una generale intenzione elusiva, salvo non si provi la presenza di uno specifico intento fraudolento nel qual caso potrà trovare applicazione l’altro istituto della confisca per equivalente di cui all’art. 25 d.lgs. cit. , giacché la possibilità che egli sia sottoposto alla misura ablativa dipende da una condizione oggettiva, riconducibile al fatto di essere succeduto al de cuius nella titolarità del bene di originaria provenienza illecita. Entro tale prospettiva ermeneutica, del resto, si è già orientata questa Corte Sez. 6, numero 10153 del 2013, Colì, cit. , che, sia pure con riferimento alla diversa ipotesi di un trasferimento operato, sempre in ambito strettamente familiare, dall’intestatario fittizio del bene ad un terzo, ha stabilito il principio secondo cui il doppio passaggio traslativo dei beni immobili oggetto del provvedimento di confisca, in assenza di elementi dimostrativi idonei a rivelare l’oggettiva incidenza di un diretto intervento del proposto, determina l’inoperatività del meccanismo presuntivo delineato dall’art. 2-ter, comma 14, legge numero 575 del 1965. Norma, questa, trasfusa nella vigente disposizione dell’art. 26, il cui ambito di applicazione non può automaticamente allargarsi fino a ricomprendere una sequela di atti traslativi la cui causa illecita non emerga sicuramente da un intervento posto in essere, nell’arco temporale ivi considerato, dal soggetto nei confronti del quale la confisca potrebbe essere disposta, se non al prezzo di una pericolosa attenuazione del necessario elemento di collegamento del bene con l’accertamento di pericolosità sociale del soggetto premorto. 11.3. La non operatività delle regole sulle presunzioni di fittizietà delle intestazioni e dei trasferimenti operati in favore di terzi comporta l’applicazione della disciplina generale sulla prova della disponibilità indiretta dei beni in capo al soggetto proposto, ovvero proponibile in quanto portatore di pericolosità, secondo quanto prevedono le disposizioni normative di cui agli artt. 20 e 24 d.lgs. cit Occorre provare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi del carattere puramente formale dell’intestazione e, corrispondentemente, del permanere della disponibilità dei beni nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto. La disponibilità dei beni in capo al soggetto indiziato di pericolosità, infatti, non è riconducibile, secondo una pacifica linea interpretativa Sez. 2, numero 35628 del 23/06/2004, Palumbo, Rv. 229726 Sez. 2, numero 6977 del 2011, Battaglia, cit. Sez. 5, numero 14287 del 23/01/2013, Savastano, non mass. , esclusivamente alla presenza di una relazione materiale o naturalistica, ma va rigorosamente accertata con riferimento a tutte le situazioni nelle quali l’utilizzo dei beni, pur formalmente schermato attraverso l’interposizione di un terzo, ricade nella sfera degli interessi economici o comunque nella signoria di fatto del proposto, che ne risulti essere l’effettivo dominus, potendone determinare la destinazione o l’impiego. Al riguardo questa Corte Sez. 6, numero 1268 del 2014, Nicastri, cit., in motivazione ha affermato che il circoscritto ambito di applicazione delle presunzioni stabilite dall’art. 26, comma 2, non comporta che, al di fuori dei presupposti di funzionamento di tali regole, i rapporti di parentela, affinità e convivenza ivi esplicitati siano circostanze prive di sensibile rilievo nell’ottica della declaratoria di nullità motivata dalla fittizietà, ma significa solo che le stesse, lungi dal giustificare l’inversione probatoria imposta ex lege, finiranno per costituire uno dei possibili momenti logici utili per pervenire alla possibile affermazione della interposizione senza che operi la presunzione di legge . In tal senso, nel novero delle situazioni concretamente rilevanti ai fini dell’individuazione del carattere puramente formale dell’intestazione possono farsi rientrare le circostanze e gli elementi indiziari più diversi, come quelli inerenti alla prossimità delle relazioni in ambito familiare ivi comprese quelle con le persone destinatarie delle regole presuntive fissate dall’art. 26 , ovvero ai rapporti di tipo affettivo e sentimentale, lavorativo e di collaborazione, poiché sintomatici, tutti, di un più intenso legame che può rendere particolarmente agevole l’operazione di fittizia intestazione da parte del proposto. Ulteriori elementi indicativi ai fini dell’accertamento della disponibilità indiretta possono utilmente inferirsi dalla eventuale intromissione del proposto nella gestione del bene, ovvero dalla incapacità del terzo, sotto il profilo economico, di acquisirne la titolarità, specie nell’ipotesi in cui il terzo intestatario non alleghi circostanze idonee a prospettare una diversa configurazione del rapporto, o una diversa provenienza delle risorse necessarie all’acquisto del bene. Si tratta di indizi pregnanti, la cui valorizzazione all’interno del procedimento di prevenzione patrimoniale è ritenuta particolarmente opportuna Sez. 6, numero 47983 del 27/11/2012, D’Alessandro, Rv. 254282 Sez. 6, numero 18807 del 30/10/2012, dep. 2013, Martino, Rv. 255091 Sez. 5, numero 20743 del 07/05/2014, D’Agostino, non mass. , poiché essi, specie se esaminati unitariamente, contribuiscono a formare la prova necessaria per la individuazione del reale dominus dell’operazione e la conseguente adozione del provvedimento ablativo. Siffatto modus procedendi è perfettamente compatibile, del resto, con i principi che regolano la distribuzione dell’onere della prova, giacché non si tratta di addossare al terzo, sia esso estraneo ovvero legato da un rapporto di parentela, l’onere di provare la corrispondenza fra titolarità formale ed effettiva, ma di valorizzare gli elementi indiziari legittimamente acquisiti relazione del terzo col proposto, sproporzione tra acquisti e capacità reddituali, intromissione del proposto nella gestione del bene per risolvere le problematiche connesse all’accertamento della disponibilità indiretta Sez. 5, numero 29137 del 15/05/2015, Masellis, non mass. . 12. In conclusione, le questioni poste dall’ordinanza di rimessione vanno risolte enunciando i seguenti principi di diritto In tema di misure di prevenzione patrimoniale, le nozioni di erede e di successore a titolo universale o particolare di cui all’art. 18, commi 2 e 3, d.lgs. 6 settembre 2011, numero 159, sono quelle proprie del codice civile . Nell’ipotesi in cui l’azione di prevenzione patrimoniale prosegua ovvero sia esercitata dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso, la confisca può avere ad oggetto non solo i beni pervenuti a titolo di successione ereditaria, ma anche i beni che, al momento del decesso, erano comunque nella disponibilità del de cuius, per essere stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi . Nell’ipotesi in cui il giudice accerti la fittizietà dell’intestazione o del trasferimento di beni a terzi, la declaratoria di nullità prevista dall’art. 26, comma 1, d.lgs. numero 159 del 2011 non è pregiudiziale ai fini della validità della confisca, ma costituisce un obbligo conseguenziale all’accertamento della fittizietà, la cui inosservanza da parte del giudice non integra vizi rilevanti ai sensi degli artt. 177 ss. cod. proc. penumero , bensì un’omissione rimediabile, anche d’ufficio, con la procedura ex art. 130 cod. proc. penumero . Le presunzioni di fittizietà previste dall’art. 26, comma 2, d.lgs. cit. si riferiscono esclusivamente agli atti realizzati dal soggetto portatore di pericolosità e non riguardano anche gli atti dei suoi successori . 13. Alla stregua dei principi di diritto come sopra enunciati, può procedersi all’esame dei motivi dedotti a sostegno dei ricorsi. 13.1. Il primo motivo, comune ai due atti di impugnazione ed esaminabile congiuntamente per la identità di contenuto, contesta l’applicabilità della disciplina in tema di misure di prevenzione patrimoniale nei casi di morte del proposto, sul rilievo che il decesso del soggetto portatore di pericolosità si è verificato in epoca antecedente all’entrata in vigore della disposizione di cui al menzionato art. 18 d.lgs. 6 settembre 2011, numero 159. Il motivo è infondato poiché il contenuto precettivo della norma è sovrapponibile a quello dell’art. 2-ter legge numero 575 del 1965, come modificato dall’art. 10 d.l. numero 92 del 2008, convertito dalla legge 24 luglio 2008, numero 125, che testualmente recitava La confisca può essere proposta, in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro il termine di cinque anni dal decesso . Ne discende che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti i quali ricollegano la possibilità di instaurare il procedimento di confisca post mortem per effetto della pericolosità del defunto alla successiva legge 15 luglio 2009, numero 94 , la previsione in esame era già in vigore alla data del decesso di D.A.L. , avvenuto il OMISSIS , con il logico corollario che nessun problema di retroattività può fondatamente porsi nel caso in esame. Deve peraltro soggiungersi, al riguardo, che la dedotta questione di diritto intertemporale, come sottolineato nell’ordinanza di rimessione, si palesa infondata anche in relazione al quadro dei principi espressi dalle Sezioni Unite in tema di natura giuridica della confisca cd. disgiunta Sez. U, numero 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262602 , secondo cui le novelle del 2008 e del 2009 non hanno modificato la natura preventiva della confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione, sicché rimane tuttora valida l’assimilazione dell’istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l’applicabilità, in caso di successioni di leggi nel tempo, della previsione di cui all’art. 200 cod. penumero . 13.2. Infondati devono ritenersi il secondo ed il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di D.A.M. e V.L. , poiché nel procedimento di prevenzione, secondo un pacifico insegnamento di questa Corte Sez. U, numero 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 , il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge ex artt. 10 e 27 d.lgs. numero 159 del 2011 , con la conseguenza che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e , cod. proc. penumero , potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dalle su citate disposizioni normative, il caso della motivazione inesistente o meramente apparente. Nel caso in esame i ricorrenti, pur denunciando formalmente il vizio dell’assenza o apparenza di motivazione, mirano in sostanza a confutare, nell’illustrazione dei relativi profili di doglianza, le ragioni poste alla base dell’assetto motivazionale del provvedimento impugnato, nella chiara prospettiva di accreditare una diversa, ed in questa sede non consentita, interpretazione delle circostanze di fatto emerse e di togliere così valenza agli elementi posti a sostegno della misura ablativa nei loro confronti adottata. Il decreto impugnato, di contro, pur avendo erroneamente applicato la presunzione di fittizietà posta dall’art. 26, comma 2, lett. a , d.lgs. numero 159 del 2011 - riferibile, come si è osservato, esclusivamente agli atti del proposto e non dei suoi successori -, è sorretto da un apparato argomentativo ineccepibile, espressivo di un insindacabile apprezzamento di merito, là dove ha fatto buon governo degli ordinari canoni probatori e illustrato le ragioni giustificative delle conclusioni. 13.3. Parimenti infondato, inoltre, deve ritenersi il secondo motivo del ricorso proposto da D.A.A. , avendo la Corte territoriale ampiamente esaminato e congruamente disatteso le relative obiezioni, del tutto analoghe a quelle in questa sede reiterate. 13.4. Fatta salva la declaratoria di nullità già pronunciata dal Tribunale per l’atto di vendita stipulato in data 22 gennaio 2013, per gli atti oggetto delle ulteriori intestazioni fittizie tale incombente non risulta formalmente adempiuto nelle decisioni di merito alla relativa omissione, per quanto su esposto, potrà provvedere la Corte di appello a norma dell’art. 130 cod. proc. penumero , trattandosi di un obbligo conseguenziale all’accertamento in sede giudiziale della fittizietà, ai sensi dell’art. 26, comma 1, d.lgs. numero 159 del 2011, che presuppone una verifica in fatto dei dati disponibili. 14. Sulla base delle su esposte considerazioni i ricorsi devono essere rigettati, con le conseguenziali statuizioni dettate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.