Legame con un ragazzino: condannata a due anni e mezzo di reclusione

Nessun dubbio sul tipo di rapporti tra la donna e il minorenne. Irrilevante il fatto che egli abbia dato il proprio consenso, sostenendo di avere un rapporto affettivo con la partner.

Lei più che maggiorenne, lui neanche quattordicenne. Da sanzionare il loro rapporto sessuale. Irrilevanti il legame che li univa e il consenso dato dal ragazzino Cassazione, sentenza n. 11912/17, sez. III Penale, depositata oggi . Libertà. Linea di pensiero comune per il GIP del Tribunale e per i Giudici della Corte d’appello la donna, protagonista di una liaison sentimental-sessuale con un ragazzino, viene condannata a due anni e mezzo di reclusione . Nessun dubbio, in sostanza, sui rapporti intimi tra i due, cominciati con alcuni baci intensi e conclusisi con la congiunzione carnale . Dalla ricostruzione dell’episodio è emersa, secondo i Giudici, la gravità dei fatti. E questa visione viene confermata in Cassazione. Inutili le obiezioni mosse dal difensore della donna. Per lei è confermata la pena decisa in Appello. Evidente, in sostanza, la compressione, particolarmente odiosa e significativa , secondo i giudici, della libertà sessuale del minore , che, pur se consenziente , era stato costretto a congiungersi con un’altra donna prima di avere rapporti sessuali con la sua presunta amante. Impossibile, di conseguenza, accettare la visione proposta dal legale, secondo cui non vi era stata alcuna costrizione in danno del ragazzo , che era legato da un rapporto affettivo con la donna ed era pienamente consapevole di ciò che stava facendo in quei momenti.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 maggio 2016 – 13 marzo 2017, n. 11912 Presidente Fiale – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con sentenza del 28 novembre 2014 la Corte di appello di Salerno ha confermato la condanna inflitta dal Gip del Tribunale di Salerno, in esito a giudizio abbreviato, a carico di D. P. K. alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione, essendo la stessa stata ritenuta responsabile del reato di atti sessuali con minorenne continuati in danno di D. R. G., persona che al momento del fatto aveva un'età inferiore ad anni 14. La Corte di appello, rilevato che i motivi di gravame concernevano esclusivamente il trattamento sanzionatorio, rilevava che non poteva aderirsi alla tesi della appellante, secondo la quale il fatto doveva essere inquadrato nell'ambito della minore gravità, ha escluso siffatta qualificazione assumendo, in accordo col giudice di prime cure, che vi era stata una compressione particolarmente significativa ed odiosa della libertà sessuale del minore il quale, seppur consenziente, era stato costretto, prima di intrattenere rapporti sessuali con la imputata, a congiungersi con altra donna. Parimenti infondato era il motivo di impugnazione riferito alla illegittimità dell'aumento di pena per effetto della ritenuta continuazione osservava, infatti, la Corte territoriale che, le risultanze istruttorie avevano evidenziato che prima del rapporto sessuale completo intercorso fra la imputata e la sua giovane vittima vi era stata fra le medesime parti un'ulteriore attività sessuale, dovendo per tale essere intesa qualunque azione che, coinvolgendo le zone del corpo tali da eccitare l'istinto sessuale, possa definirsi estrinsecazione del relativo desiderio, ciò a prescindere dal fatto che nel caso in questione siffatta eccitazione ci sia stata o meno. Poiché dalla istruttoria sarebbe emerso lo scambio di baci sulla bocca fra i soggetti sopra ricordati, la Corte territoriale ha ritenuto che in questi erano da riconoscere altri atti sessuali posti, sotto il profilo penale, in continuazione con la successiva congiunzione carnale. Per l'annullamento della predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione la prevenuta, assistita dal proprio difensore di fiducia questi ha rilevato che, nell'escludere la qualificazione del fatto fra quelli di minore gravità la Corte salernitana aveva omesso di considerare che non vi era stata in danno della vittima, apparentemente legata da un rapporto affettivo con la ricorrente, alcuna coartazione tanto che il D. era pienamente consapevole di ciò che faceva. Quanto alla continuazione la ricorrente ribadiva che, stante la dichiarata unicità del rapporto sessuale intercorso fra le parti secondo la creduta ricostruzione dei fatti operata dalla vittima, essa non era riscontrabile. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Va preliminarmente precisato che nel suo sinteticissimo atto impugnatorio la ricorrente deduce essenzialmente la pretesa nullità della sentenza sotto l'esclusivo profilo della dosimetria della pena, sia pure articolando le sue censure in relazione, da una parte, alla qualificazione del fatto fra quelli non di minore gravità e, pertanto, non meritevole della speciale attenuante prevista dall'art. 609-quater, penultimo comma, cod. pen., e, d'altra parte, alla ritenuta pluralità delle omogenee condotte delittuose e, pertanto, alla applicazione dell'aumento di pena derivante dalla ritenuta continuazione interna. Negli scarni termini della sua prospettazione il ricorso è, come detto, inammissibile. Osserva, infatti, il Collegio che i temi oggetto del ricorso per cassazione formulato dalla difesa della imputata già hanno fornito il contenuto del ricorso dalla medesima parte introdotto in grado appello ed in quella sede integralmente disatteso dalla Corte territoriale salernitana sulla base di esaurienti argomenti. Ora, considerato che in occasione della presente impugnazione le doglianze della imputata, come veicolate dalla sua difesa nell'atto introduttivo del presente giudizio, si sono limitate a riprodurre, in termini di sostanziale identità, le censure già mosse di fronte alla Corte di merito, deve questa suprema Corte ricordare l'insegnamento da essa già più volte ribadito, secondo il quale, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 luglio 2015, n. 33003 idem Sezione III penale, 28 ottobre 2014, n. 44882 . Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500,00 in favore della Cassa delle ammende.