Non è sufficiente la sproporzione tra valore dei beni e redditi percepiti: spetta al PM l’onere probatorio

In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, quando il bene è formalmente intestato a terzi, pur se prossimi congiunti dell’indagato, non opera alcuna presunzione fittizia, ma incombe sul Pubblico Ministero l’onere di dimostrare le situazioni da cui desumere concretamente l’esistenza di una difformità tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite, non essendo sufficiente la sproporzione tra valore dei beni e reddito percepito.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8876/17, depositata il 23 febbraio u.s., si esprime in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, con particolare rilievo alla divisione dell’onere probatorio. La quaestio. Il Tribunale di Monza rigettava l’appello proposto dalla titolare di una pizzeria avverso l’ordinanza pronunciata dal GIP in sede, con cui era stata rigettata l’istanza di revoca del decreto di sequestro preventivo emesso in data 12 ottobre 2015 nei riguardi dell’esercizio commerciale in questione. Avverso il provvedimento di conferma, propone ricorso per Cassazione la titolare della pizzeria, lamentando violazione di legge a mezzo del proprio difensore. Più segnatamente, si duole la ricorrente che nella specie si tratta di un procedimento penale instaurato a carico del proprio padre e che l’Autorità procedente ha applicato erroneamente la legge processuale penale mediante l’emissione di una misura cautelare disposta nei confronti di un bene intestato a terzi estranei non sottoposti ad indagine. Dunque, a parere della difesa, sarebbe stata applicata, tanto in sede cautelare quanto in occasione dell’impugnazione dinanzi al Tribunale, una presunzione iuris tantum di illecita accumulazione del bene oggetto di sequestro preventivo. D’altra parte, il Giudice Collegiale di Monza ha pretermesso del tutto la prova documentale offerta dalla giovane donna circa la propria lecita redditività e del diretto impiego delle capacità economiche nell’attività commerciale, a fronte di alcune intercettazioni telefoniche registrate sull’utenza dell’indagato cui era stata attribuita valenza accusatoria rilevante. Il Procuratore Generale, richiamati i principi sulla distribuzione dell’onere probatorio in tema di sequestro ex art. 12- sexies l. n. 356/1992, rilevava l’inammissibilità del ricorso e, comunque, la correttezza delle motivazioni rese nel provvedimento impugnato. Il ricorso è inammissibile. I Giudici di Piazza Cavour dichiarano l’inammissibilità dell’atto di gravame per la manifesta infondatezza dei motivi di doglianza. In particolare, nel ricorso è contestata l’interpretazione in malam partem del contenuto delle intercettazioni telefoniche a carico dell’indagato, le quali hanno dimostrato il diretto coinvolgimento di quest’ultimo sia negli aspetti amministrativi che commerciali della pizzeria, ovviamente a tacere dell’intestazione formale dell’esercizio commerciale. Rilevano gli Ermellini, nell’occasione, che l’apparato argomentativo fornito dal Tribunale di Monza è insuscettibile di essere scalfito dalle lamentele della ricorrente anche le prove documentali sono state oggetto di vaglio critico, così come si legge nelle motivazioni del provvedimento impugnato. Sul punto, infatti, è stato osservato che l’astratta capacità di soggetti terzi di avere fonti di reddito lecite può esercitare forza suggestiva solo in presenza di ulteriori elementi che vadano ad annullare quelli di senso opposto, a tenore dei quali la reale gestione della pizzeria era da ricercarsi in capo all’indagato. A tal proposito, con la pronuncia in commento, i Giudici della Cassazione, rappresentano che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, quando il bene è formalmente intestato a terzi, pur se prossimi congiunti dell’indagato, non opera alcuna presunzione fittizia, ma incombe sul PM l’onere di dimostrare le situazioni da cui desumere concretamente l’esistenza di una difformità tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite, non essendo sufficiente la sproporzione tra valore dei beni e reddito percepito. Alla luce di tanto, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza e condanna parte ricorrente a pagare la soma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 novembre 2016 – 23 febbraio 2017, n. 8876 Presidente Fiale – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 21 gennaio 2016 il Tribunale di Monza ha rigettato l’appello proposto da C.L. quale titolare della omissis nei confronti dell’ordinanza del 2 dicembre 2015 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, col quale era stata rigettata l’istanza di revoca del decreto di sequestro preventivo, emesso il 12 ottobre 2015 dallo stesso Giudice nei riguardi dell’esercizio commerciale corrente in omissis con sede alla via omissis ed unità locale alla stessa via omissis . 2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione lamentando violazione di legge. 2.1. In particolare, trattandosi in specie di procedimento penale a carico di C.A. , padre della ricorrente, e quindi di misura cautelare disposta nei confronti di un bene intestato a terzi estranei non sottoposti ad indagine, il Tribunale aveva operato una non corretta applicazione della legge. Infatti era stata applicata una presunzione iuris tantum di illecita accumulazione del bene oggetto di sequestro preventivo nei riguardi peraltro di beni di proprietà di terzi estranei, e non dell’indagato. Al contrario, la ricorrente aveva fornito prova documentale - del tutto trascurata dal Tribunale - della propria lecita redditività e del diretto impiego delle capacità economiche nelle attività commerciali, laddove era stata attribuita importanza in malam partem ad alcune conversazioni telefoniche registrate sull’utenza dell’indagato, e non era stato conferito rilievo alle dichiarazioni di soggetti fornitori, avventori, rappresentanti delle istituzioni che avevano riferito della diretta ed autonoma gestione dell’esercizio commerciale da parte della ricorrente. 3. Il Procuratore generale, richiamati i principi in tema di distribuzione dell’onere probatorio in tema di sequestro ex art. 12- sexies della legge 7 agosto 1992, n. 356, ha rilevato l’inammissibilità del ricorso assumendo che le censure avrebbero dovuto essere rivolte alla carenza degli elementi che riconducevano all’indagato C.A. l’effettiva disponibilità dei beni in sequestro mentre in ogni caso il provvedimento era coerentemente motivato in relazione altresì alla dedotta autonoma capacità economica dell’odierna ricorrente. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile. 4.1. L’art. 325 cod. proc. pen. prevede che il ricorso in materia di misure cautelari reali può essere proposto unicamente per violazione di legge, risultando così esclusa la possibilità di lamentare la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione art. 606 cod. proc. pen. lett. e , sebbene all’interno della violazione di legge deve essere fatta rientrare anche l’ipotesi della motivazione graficamente assente nonché della motivazione del tutto apparente. È infatti ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, anche quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710 in generale, Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo e altro, Rv. 265244 Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893 . Il concetto di natura apparente della motivazione va quindi confinato nei limiti assai ristretti dell’ipotesi in cui il percorso argomentativo del provvedimento risulti in realtà vuoto di alcun contenuto o sganciato rispetto alla fattispecie in trattazione. 4.2. Alla stregua dell’insegnamento che precede, quindi, la censurata motivazione si presenta del tutto in grado di reggere il vaglio critico della dedotta violazione di legge. Come è stato correttamente rilevato dal Procuratore generale, il ricorso lamenta l’interpretazione in malam partem del contenuto delle intercettazioni telefoniche a carico di C.A. , le quali hanno illustrato il diretto interessamento di quest’ultimo tanto negli aspetti anche amministrativi dell’attività imprenditoriale formalmente riconducibile all’odierna ricorrente, quanto nelle decisioni di ben maggiore rilievo quali la scelta dei prestanome comunque facenti capo alla medesima persona indagata , quanto infine nella diretta gestione dei conti correnti intestati alla figlia L. anche in ordine al pagamento degli oneri contributivi a tacere ovviamente dell’intestazione formale dell’esercizio commerciale . In realtà, quanto alla pretesa non corretta interpretazione delle intercettazioni telefoniche, nulla viene puntualmente e specificamente allegato in senso contrario, né viene specificata quale dovrebbe essere la lettura corretta delle medesime. Né il Tribunale ha omesso di trattare quanto dedotto anche in via documentale dall’odierna ricorrente, osservando che l’astratta capacità di soggetti interposti di avere lecite fonti di reddito non era tale da indebolire il carattere rilevante degli ulteriori accertamenti compiuti sui quali, si ripete, ben poco la ricorrente ha inteso contrastare , mentre parimenti inidonee - al fine della verifica circa l’effettiva gestione dell’attività - dovevano considerarsi le dichiarazioni rese da semplici avventori del locale commerciale ovvero da soggetti in rapporto di lavoro ma senza diretta conoscenza della gestione effettiva nei termini già richiamati, ovvero ancora da funzionari pubblici incaricati peraltro di meri controlli igienico-sanitari. Vero è, in proposito, che in tema di sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, quando il bene è formalmente intestato a terzi, pur se prossimi congiunti dell’indagato non opera alcuna presunzione di intestazione fittizia, ma incombe sul pubblico ministero l’onere di dimostrare situazioni da cui desumere concretamente l’esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite Sez. 3, n. 14605 del 24/03/2015, Zaza e altro, Rv. 263118 , non essendo sufficiente la sola presunzione fondata sulla sproporzione tra valore dei beni e reddito percepito cfr. Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone e altro, Rv. 254699 . Ed al riguardo alcuna presunzione appare essere stata utilizzata, in ragione dell’evidenziato apparato motivazionale, tutt’altro che apparente, formato dal Tribunale nel provvedimento impugnato. 5. Il ricorso non può quindi sfuggire ad una valutazione di manifesta infondatezza, e quindi di inammissibilità. Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.