Querela di falso? Necessaria per neutralizzare l’efficacia probatoria dell’atto pubblico in giudizio

Lo strumento necessario per privare un atto fidefacente della sua efficacia probatoria, durante lo svolgimento del giudizio penale, è la querela di falso che, al contrario della mera denuncia penale, esige l’onere di allegazione e di prova, idoneo a neutralizzare gli effetti giuridici propri dell’atto pubblico.

Così ha sancito la Suprema Corte con sentenza n. 5494/17 depositata il 6 febbraio. Il caso. L’istante adiva il Tribunale di Ravenna sostenendo l’esistenza di un difetto di notifica dell’estratto contumaciale, nonostante lo stesso risultasse notificato a mani del condannato a mezzo di raccomandata. In particolare, proponendo querela di falso avverso l’attestazione contenuta nella notifica, a cui doveva riconoscersi la natura di atto pubblico, disconosceva la firma allegando all’istanza una consulenza tecnica calligrafica, adducendo che l’avviso non era avvenuto presso la sua residenza ma presso un altro numero civico. Pertanto chiedeva la sospensione immediata dell’ordine di esecuzione, di rinnovazione della notifica e, in subordine, l‘emissione di un’ordinanza di restituzione nel termine per impugnare. Rigettata con ordinanza l’istanza da parte del Tribunale, il ricorrente adiva la Cassazione. La querela di falso come atto idoneo a neutralizzare gli effetti della natura fidefacente dell’atto pubblico. La Suprema Corte rileva che nel giudizio penale, per privare un atto fidefacente della sua efficacia probatoria, è necessario proporre querela di falso, quale istituto idoneo a privare l’atto falso dell’attitudine suddetta. Tale istituto esige un onere di allegazione e di prova che, a fronte della natura privilegiata dell’atto pubblico, è idoneo a neutralizzare gli effetti giuridici che esso, in quanto atto fidefacente, produce, incidendo così anche sull’efficacia probatoria dello stesso. Tale scopo non sarebbe raggiungibile, ad esempio, tramite una mera denuncia penale. Nella fattispecie, la Corte rileva che il ricorrente ha giustamente attivato lo strumento necessario a produrre il risultato da lui perseguito e ha ben provveduto alla produzione, dinanzi al giudice dell’esecuzione, della consulenza tecnica attestante la natura apocrifa della firma. Gli Ermellini, pertanto, accolgono il ricorso e annullano l’ordinanza con rinvio al Tribunale di Ravenna per il nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 settembre 2016 - 6 febbraio 2017, n. 5494 Presidente Siotto – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 22/07/2015 il Tribunale di Ravenna, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di dichiarazione di non esecutività della sentenza del Tribunale di Ravenna del 18/02/2014, irrevocabile il 12/07/2014, o, in subordine, di restituzione nel termine per l’impugnazione. Con tale istanza il ricorrente sosteneva la tesi dell’esistenza di un difetto di notifica dell’estratto contumaciale, nonostante lo stesso risultasse notificato a mani del condannato a mezzo raccomandata e disconosceva la firma, adducendo che la notifica era avvenuta non in omissis , sua residenza, ma al civico n. XX. Lamentava di non avere mai ricevuto l’estratto contumaciale e di non essere mai stato raggiunto dalla citazione a giudizio, sempre inviata all’indirizzo errato e chiedeva l’immediata sospensione dell’ordine di esecuzione, di rinnovazione della notifica dell’estratto contumaciale e, in subordine l’emissione di un’ordinanza di restituzione nel termine per impugnare. Il ricorrente allegava all’istanza una consulenza tecnica calligrafica sulla firma disconosciuta, apparentemente proveniente dalla dott.ssa C.N. , che giudicava apocrifa la firma impugnata. Il procedimento a carico del D. concerneva il delitto di falsità ideologica tentata in concorso. Risultavano regolarmente notificati per compiuta giacenza l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e il decreto di citazione a giudizio. La discrasia sul numero civico in cui avveniva l’adempimento processuale era solo apparente sebbene il decreto di citazione riportasse il civico n. , come la c.d. cartolina di consegna, la busta indicava che gli ufficiali giudiziari di avevano inviato il plico per la notifica al n. XX evidentemente per loro conoscenza personale . Il punto dirimente era rappresentato dalla circostanza che in v. omissis il D. esercitava abitualmente la sua attività lavorativa di fianco a casa , posto che a quell’indirizzo aveva sede la ditta individuale omonima. Nella cartolina di consegna l’ufficiale postale dava atto del deposito del plico presso l’ufficio postale, avendo rilevato la temporanea assenza del destinatario, con avviso immesso nella cassetta del D. . L’omesso ritiro del plico risultava irrilevante ai fini del giudizio, essendo imputabile solo a negligenza o a volontario disinteresse. Risultava corretta anche la notifica dell’estratto contumaciale, avvenuta a mani proprie del condannato in v. omissis , sede della ditta individuale, nelle immediate vicinanze della sua residenza. L’ufficiale postale doveva verificare l’identità della persona ricevente e la sua attestazione in calce alla dichiarazione di consegna del plico. Il D. produceva una consulenza tecnica, redatta dalla dr.ssa C. , che giudicava apocrifa la firma apposta sull’avviso di ricevimento della raccomandata di notifica. La consulenza appariva priva di valenza scientifica e probatoria. L’ufficiale postale consegnava il plico raccomandato, la grafia della sottoscrizione risultava leggibile e l’atto era espletato davanti al luogo indicato nella notifica, per cui la firma era comunemente vergata in condizioni disagevoli o, quantomeno, non ottimali, su un piano non orizzontale, spesso neppure con l’ausilio di un supporto rigido. Il consulente non considerava le condizioni concrete, in cui la firma indagata era stata vergata, per cui le sue conclusioni erano inattendibili. Il diritto alla restituzione nel termine per impugnare una sentenza contumaciale operava solo se provata la mancata conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, non essendo sufficiente la dichiarazione di quest’ultimo di non aver ricevuto notifica del provvedimento, atteso che sarebbe stato onere dell’interessato allegare circostanze rilevanti, suscettibili di verifica da parte dell’autorità giudiziaria. Il D. non allegava elementi tali da consentire di poter investigare sulle ragioni per cui un’altra persona si sarebbe sostituita a lui nella ricezione di un plico contenente atti giudiziari, ovvero per comprendere per quale ragione l’ufficiale postale avrebbe avuto interesse ad attestare il falso. Il D. dichiarava nel ricorso di proporre querela di falso contro l’avviso di ricevimento in questione sotto il profilo dell’appartenenza a lui e quindi della falsità della firma ivi riportata e della non avvenuta consegna a lui del plico. L’assunto andava interpretato quale richiesta di punizione nei confronti di ignoto, facilmente identificabile nell’ufficiale postale autore della relata di consegna del plico a domicilio, per falso ideologico in atto pubblico. La querela doveva trovare seguito in un’indagine volta ad accertare se la sottoscrizione fosse stata apposta dal D. . 2. D.L. proponeva personalmente ricorso per Cassazione avverso tale provvedimento, chiedendone l’annullamento. 2.1. Violazione di legge in riferimento agli artt. 156, 168, 175, 548, 670 e 170 cod. proc. pen. e 2700 cod. civ Dalla lettera della relata di notifica postale, contenuta nella c.d. cartolina di ritorno, non si evinceva la circostanza che l’agente postale avesse identificato il soggetto ricevente o verificato e documentato l’identità del soggetto ricevente e/o sottoscrivente la relata postale. Si era basato solo sulla dichiarazione eventualmente rilasciata dal medesimo. La relata di notifica postale non poteva essere ritenuta fidefaciente dell’identificazione del sottoscrivente, avendo questi disconosciuto la sottoscrizione e/o presentato querela di falso in relazione al suddetto documento. Non poteva ritenersi provata la consegna a mani proprie dell’estratto contumaciale della sentenza, avendo provveduto il D. a disconoscere la propria sottoscrizione, a provarne la natura apocrifa, e a presentare querela di falso in relazione al suddetto documento. La fede privilegiata dell’atto pubblico veniva comunque meno con la presentazione di querela di falso. 2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 157, 168, 175, 548, comma 3, e 670 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, in punto di determinazione del corretto luogo dell’avvenuta notifica al D. dell’estratto contumaciale. Il giudice dell’esecuzione riteneva coincidenti la presunta sede della ditta individuale D.L. e quella di esercizio della propria attività lavorativa, senza valutare che, con accertamento compiuto da pubblico ufficiale, al civico il D. risultava sconosciuto. Ancorché in atti vi fosse prova accertata da pubblico ufficiale del fatto che al civico il D. fosse sconosciuto, il Giudice riteneva perfetta la notifica effettuata a detto civico. 2.3. Contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., in punto di inattendibilità della perizia calligrafa della dott.ssa Nicoletta C. . La perizia della dr.ssa C. muoveva da basi tecnico-scientifiche, procedendo a raffronto e comparazione tra i due segni grafici effettiva e contestata ed era pertanto, affidabile. 2.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 157, 170, 175 cod. proc. pen. e 8 L. n. 890 del 1982. Ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, la nuova disciplina introdotta dalla L. n. 60 del 2005 prevedeva una sorta di presunzione iuris tantum di non conoscenza della pendenza del procedimento da parte dell’imputato, ponendo a carico del giudice l’onere di reperire in atti la prova contraria e l’esecuzione delle verifiche occorrenti al fine di accertare se il condannato avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento ed avesse volontariamente rinunciato a comparire. Non risultavano compiute dall’agente postale le formalità di cui all’art. 8, comma 2, cit 2.5. In successiva memoria difensiva il D. forniva ulteriori argomentazioni a sostegno della propria posizione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Il provvedimento impugnato consiste nel rigetto di una richiesta di dichiarazione di non esecutività della sentenza rigettata dal giudice dell’esecuzione. Il giudice dell’esecuzione ha rilevato la correttezza della notifica dell’estratto contumaciale, effettuata mediante raccomandata a mani proprie nel luogo di svolgimento di attività lavorativa, al civico anziché al di residenza del condannato ed ha poi contestato la correttezza metodologica della perizia di parte depositata per dimostrare la falsità della firma, la quale non avrebbe valutato le condizioni concrete generalmente disagevoli per la sottoscrizione di una raccomandata. Secondo il giudice dell’esecuzione, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare come mai non aveva potuto conoscere il contenuto dell’atto, spiegando le modalità e le ragioni per le quali un’altra persona, presso la sua residenza o il suo luogo lavoro, avrebbe materialmente acquisito l’atto. 3. Nel caso in esame, la notifica è avvenuta a mezzo del servizio postale a mani del ricorrente, attesa l’attestazione del pubblico ufficiale che ne ha certificato la personale consegna al D. . Il D. , per contestare tale risultanza ha proposto querela di falso avverso l’attestazione contenuta nella notifica, a cui doveva riconoscersi la natura di atto pubblico, dell’avvenuta ricezione da parte del destinatario. Il D. ha inteso privare l’atto della sua attestazione fidefacente, perseguendo tale scopo attraverso la querela di falso, che, rispetto alla mera denuncia penale, esige un’onere di allegazione e di prova art. 221 cod. proc. civ. che la denuncia penale non esige e, a fronte della natura privilegiata dell’atto pubblico che può produrre effetti giuridici nei confronti dell’interessato, quest’ultimo è onerato di provare il contrario per neutralizzare gli effetti di un atto che, per la natura fidefacente che lo contrassegna, incide sulle situazioni giuridiche sino a quando l’efficacia probatoria perdura. In tema di querela di falso, la formulazione dell’art. 221 cod. proc. civ., secondo cui la proposizione della querela deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione degli elementi e delle prove poste a sostegno dell’istanza, indica in modo non equivoco che il giudice di merito davanti al quale sia stata proposta la querela di falso è tenuto a compiere un accertamento preliminare per verificare la sussistenza o meno dei presupposti che ne giustificano la proposizione, finendosi diversamente per dilatare i tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. Cass. civ. S.U., 23 giugno 2010 n. 15169 . L’opzione, per quanto legittima, di denunciare il fatto all’autorità giudiziaria penale si ricorda che nella proposizione della querela di falso, sia in via principale che incidentale, l’intervento del pubblico ministero è obbligatorio espone l’interessato a subire gli effetti probatori dell’atto, a meno che, in quella sede, non ne sia stata accertata la falsità della quale l’interessato, di riflesso, si possa giovare, neppure erga omnes , come invece risulta possibile a seguito del giudizio civile. Nel giudizio penale, per privare un atto fidefacente della sua efficacia probatoria, è necessario proporre querela di falso, in quanto istituto elettivamente predisposto a privare l’atto falso della sua attitudine probatoria Sez. 3, 12/01/2016 n. 7865, Vecchi, Rv. 266279 Sez. 6, 05/11/2013 n. 47164, Kandji, Rv. 257267 . Nel caso in esame, pertanto, il D. ha attivato lo strumento necessario, costituito dalla querela di falso, mentre non sarebbe risultata sufficiente allo scopo la presentazione di una mera denunzia di falso come affermato nelle pronunzie del S.C. poc’anzi citate ed ha altresì prodotto dinanzi al giudice dell’esecuzione una consulenza tecnica attestante la natura apocrifa della firma. Non poteva fornire ulteriori elementi anche in ragione della mancanza della prova di accertamenti da parte dell’ufficiale giudiziario notificatore dell’identità del sottoscrittore. A fronte di tali elementi a supporto della dedotta mancata conoscenza dell’atto, nel provvedimento impugnato viene svolta una valutazione di natura meramente incidentale di diniego della validità della perizia di parte, non supportata da nessun elemento di riscontro. 4. Pertanto, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Ravenna, che si uniformerà ai principi di diritto suindicati, con la massima libertà di valutazione sulle attività istruttorie da svolgere, quali, ad esempio, l’espletamento di perizia d’ufficio e/o la richiesta di accertamenti sull’esito della querela di falso. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Ravenna.