Il ne bis in idem non frena la confisca

L’irrogazione di una misura di prevenzione opera rebus sic stantibus, non ne è esclusa la riproposizione sui medesimi beni purché nuovi elementi consentano di integrare il giudizio di pericolosità sociale del sottoposto. Quando opera su complessi aziendali indivisibili, la confisca si estende ad ogni componente dell’impresa, anche quelle non pertinenziali al reato.

Così la Cassazione, Prima Sezione Penale, n. 5514/2017, depositata il 6 febbraio. Il caso. Per fatti di partecipazione ad un sodalizio mafioso e per la condanna al reato di trasferimento fraudolento di valori ex art. 12- quinquies , legge n. 356/1992, venivano applicate nei confronti dei sottoposti più misure di prevenzione personali e di confisca dei beni immobili ex art. 24, d.lgs. n. 159/2011, presumibili proventi di attività illecite. Veniva emesso giudizio di pericolosità sociale ex art. 1, legge n. 575/1965 per i frequenti contatti dei sottoposti a misura con organizzazioni illecite di matrice imprenditoriale. Ricorrevano questi in Cassazione deducendo l’indebita confusione dei giudici che avevano di fatto sottoposto a misura anche le componenti lecite dei cespiti imprenditoriali per le quali, anche per la riferibilità a soggetti terzi mai coinvolti nelle indagini, non era dato dedurre alcuna relazione di pertinenzialità al reato. Sui medesimi beni, per altro, già il Tribunale si era in precedenza pronunciato negando l’applicazione delle misure e nessun fatto nuovo rilevante sarebbe medio tempore sopravvenuto. La Cassazione rigetta, come d’appresso. In tema di misure di prevenzione la preclusione del giudicato opera solo rebus sic stantibus. Pur in presenza di precedenti negativi, è consentita la rivalutazione della pericolosità sociale di un individuo sulla base di elementi nuovi, precedenti o successivi alle prime declaratorie, che ricompongano il fatto con una interezza nuova, fondativa di un rinnovato giudizio. Tutta l’impresa è confiscabile. La Cassazione aderisce a già noto orientamento. Quando le componenti dell’impresa non sono divisibili in ragione della liceità o illiceità dell’apporto materiale all’attività economica, tutta l’impresa è soggetta a confisca, i giudici non potendo limitare la misura ad una quota ideale corrispondente alla matrice illecita. In particolare, la divisibilità va esclusa ogni qual volta l’apporto illecito – materiale, finanziario o strategico – abbia consentito l’origine dell’attività economica, successivamente estesa o integrata dalle particolari abilità imprenditoriali di chi vi abbia operato. All’opposto, va ammessa la limitazione della confisca nel solo caso in cui il complesso aziendale consti di componenti funzionalmente autonome nello svolgimento dell’attività, che consentano l’applicazione delle misure nei confronti delle sole componenti dirette derivazioni di fonte illecita, impregiudicate le altre. Il requisito fattuale l’appartenenza al sodalizio mafioso. L’autonomia del procedimento di prevenzione da quello penale consente di sfumare il requisito sostanziale fondativo della confisca. È sufficiente la semplice appartenenza al sodalizio criminale anziché la più consistente partecipazione ex art. 416- bis, c.p. Si tratta di requisito sociologicamente più debole che può non richiedere l’adozione di azioni specifiche solidali al gruppo mafioso criminale e che tuttavia consente di accedere ad un giudizio di pericolosità sociale idoneo e sufficiente all’irrogazione della misura.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 ottobre 2016 – 6 febbraio 2017, n. 5514 Presidente Siotto – Relatore Novik Rilevato in fatto 1. Con decreto emesso il 7 maggio 2015, la Corte di appello di Caltanissetta respingeva l’appello proposto nell’interesse di P.A. e dei terzi interessati F.R. , P.L.F. e P.M.C. avverso il decreto del Tribunale di Caltanissetta 4-6 giugno 2014 che aveva applicato al primo la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni tre, e la confisca di tutti i beni mobili e immobili direttamente o indirettamente perché intestati ai familiari riconducibili ad esso elencati alle pagine 2-6 del decreto del tribunale e da 7 a 10 del decreto della Corte di appello , sequestrati in virtù di due distinti decreti emessi rispettivamente il 6 dicembre 2011 ed il 25 gennaio 2012. In particolare, il primo decreto disponeva il sequestro di beni, quote sociali, aziende intestate al P. , o a lui comunque riconducibili, e ai familiari. Il secondo decreto disponeva il sequestro di ulteriori aziende alcuni beni erano invece restituiti . Si anticipa che P.A. è un imprenditore che esercita la sua attività nel settore del gioco da intrattenimento, nella gestione di ristoranti e discoteche e nella fornitura di slot-machine. 2. La Corte di appello, respinte alle pagine 16 e 17 le eccezioni procedurali di ne bis in idem sollevate dalla difesa, evidenziava in primo luogo che P. era stato coinvolto in procedimenti operazione Zefiro ed operazione Potenza da cui non aveva riportato condanna, mentre era stato condannato con sentenza irrevocabile per il reato di trasferimento fraudolento di valori sentenza del Tribunale di Gela del 9 giugno 2011, confermata dalla Corte di appello di Caltanissetta il 26 luglio 2012, divenuta irrevocabile , delitto che prevedeva l’applicazione delle misure di prevenzione personale e patrimoniale. 2.1. Analizzava quindi i presupposti dell’applicazione della misura di prevenzione personale e confermava il giudizio di attuale pericolosità sociale del P. sulla base degli elementi giudiziari e dichiarativi acquisiti si citano le deposizioni dei collaboratori L.C. , S. , C. , Sm. , B. - non contestati nel ricorso -, da cui si desumevano i rapporti di P. con soggetti vicini a clan camorristici , alla famiglia mafiosa di Sa. nel , ai M. a e a . Ulteriori elementi in questo senso erano tratti da altri procedimenti giudiziari a suo carico condotti da diverse autorità giudiziarie, in cui erano stati svolti accertamenti che lo avevano coinvolto. 2.2. Evidenziava tre indicatori, ritenuti fondamentali per caratterizzare l’appartenenza di P. ad una associazione mafiosa il coinvolgimento non occasionale nelle attività della famiglia mafiosa M. , denotante una non episodica contiguità finalistica con le cosche mafiose l’irrilevanza che l’attività fosse stata svolta sotto la parvenza di un’attività perfettamente lecita, non rientrante nell’ottica dell’art. 416 bis cod. pen., perché dimostrativa di una pericolosità qualificata rilevante nel procedimento di prevenzione, finalizzato a prevenire la commissione di delitti la capacità di mantenerne intatta l’operatività nonostante le azioni repressive dell’autorità giudiziaria l’assenza di prova di un abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise. 2.3. Elementi oggettivi di natura indiziaria atti a fondare il qualificato giudizio di appartenenza ad un’associazione mafiosa erano tratti dai procedimenti in cui P. era stato coinvolto, pur se definiti con provvedimenti favorevoli. La legittimità dell’applicazione della misura di prevenzione personale veniva confermata anche con riferimento alla durata pagina 31 . 3. Quanto alla misura di prevenzione patrimoniale, richiamati precedenti di legittimità, la Corte rilevava preliminarmente che non essendo stata contestata dal ricorrente la pericolosità connessa ai fatti del 2006, vi era sostanziale coincidenza cronologica tra gli acquisti 2002 e il periodo in cui si era manifestata la pericolosità tra il 1998 e il 2007 . Peraltro, ricordata la finalità delle misure di prevenzione patrimoniali dirette all’eliminazione dal circuito economico di beni di sospetta illegittima provenienza, da cui derivava l’irrilevanza dell’attualità della pericolosità, il Collegio richiamava la giurisprudenza della Corte di cassazione per cui ai fini della confisca era irrilevante il mero decorso del tempo, o comunque la cessazione della pericolosità del soggetto, in quanto i beni di illecita provenienza venivano colpiti anche se acquistati da persona che era, all’epoca, pericolosa. In definitiva, quindi, riteneva che i presupposti per l’applicabilità della confisca erano rappresentati dalla relazione tra i beni ed il proposto dalla derivazione illecita dalla mancata giustificazione della provenienza degli stessi. 4. Nel caso concreto, la perizia contabile aveva evidenziato una sproporzione tra redditi dichiarati nel periodo 2002-2011 e movimenti effettivi dei conti, in larga parte compiuti da P. sui conti correnti delle società a lui ricollegabili mediante movimentazioni di denaro contante, di origine non identificata. Cui si aggiungeva la rendita di posizione determinata in favore di queste società dai suoi collegamenti con le famiglie mafiose, che consentiva l’imposizione delle slot-machine negli esercizi commerciali. 4.1. Inoltre, la Corte dettagliava, alle pagine da 37 a 43, gli esiti della perizia che avevano illustrato una evidente sperequazione tra entrate ed uscite l’anomalo flusso di denaro contante atti giuridici sospetti finalizzati a evidenziare un presunto indebitamento di P. verso lo Stato anomalie di operazioni per cassa finanziamenti infruttiferi tra società ricollegabili a P. da ritenersi operazioni fittizie. 4.2. In relazione al quantum confiscabile, la Corte analizzava il presupposto della sproporzione. Ricollegandosi al prevalente orientamento giurisprudenziale cita, Cass. N. 17.988 del 2009, Baratta, Rv. 244802 , riteneva l’impossibilità di distinguere l’apporto di componenti lecite da quello imputabile a fonti illecite e, in assenza di affidabili elementi dimostrativi dell’origine lecita dei capitali immessi nel circuito economico delle imprese riconducibili a P. , confermava la valutazione del tribunale secondo cui tutte le somme non tracciate erano state inserite nel circuito imprenditoriale non solo per un occultamento, ma anche come reimpiego, così ottenendo la ripulitura del denaro. Evidenziava quindi che la normativa non prevede correlazione temporale tra disponibilità patrimoniale e data di accertato inizio della pericolosità sociale, cosicché la misura patrimoniale si può estendere ai beni acquistati anche in epoca antecedente a quella cui si riferisce l’accertamento della pericolosità, purché sproporzionati rispetto ai redditi e l’interessato non abbia fornito la prova della legittima provenienza. 4.3. Disattendeva in proposito gli argomenti difensivi che avevano fatto leva sul gruppo di imprese e sulle esposizioni debitorie di P. che rendevano apparente la detta sproporzione. Nel caso in esame non vi era la prova di un acquisto lecito e era sussistente il presupposto della sproporzione. 5. La Corte di appello passava successivamente all’esame dei singoli cespiti immobiliari oggetto di sequestro e della loro riconducibilità a P. evidenziando per ciascuno di essi, alle pagine da 49 a 52, le ragioni che sorreggevano le conclusioni cui era giunto il tribunale, confermando la confisca dei beni nei termini dettagliati alle pagine 52-55 . La Corte accoglieva in parte l’appello presentato da P.L. e D.F.L. . Rigettava gli appelli degli altri terzi interessati. 6. Il provvedimento è stato impugnato con unico ricorso da P.A. e da P.L.F. , P.M.C. e F.M.R. , assistiti dai difensori di fiducia, che ne chiedono l’annullamento. 6.1. Con un primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli articoli 11 e 117 Cost. in relazione all’art. 7 CEDU 1, I prot. CEDU 42 Cost. 25 Cost. 2 cod. pen e 24 D. Lgs. n. 159 del 2011, 125, comma 3, cod. proc. pen. L’ordinanza impugnata in violazione delle norme sopra richiamate aveva colpito un imprenditore siciliano operante nel settore dei giochi da intrattenimento confiscando tutto il patrimonio familiare in virtù della sua appartenenza alla associazione mafiosa. Definita tautologica la motivazione della Corte di appello nella parte in cui aveva affermato che P. godeva di una rendita di posizione ricavandola dalla sproporzione dei beni e dalla sua disponibilità a fare affari con mafiosi e camorristi, la difesa del ricorrente ravvisa un errore di giudizio della Corte laddove, confiscando totalmente l’intero compendio societario e patrimoniale non aveva distinto se il capitale investito nell’attività societaria sia di origine lecita o illecita e se l’attività in cui è stato investito sia lecita o illecita esercitata con metodo mafioso , e ciò sia nell’ipotesi in cui il capitale sia di origine lecita che sia stato investito in un’attività illecita, sia nell’ipotesi in cui i beni di origine illecita siano stati investiti in attività lecite . La Corte territoriale aveva richiamato i principi espressi nella sentenza Baratta, ma sarebbe potuta giungere al risultato cui era pervenuta solo se avesse dimostrato che l’attività imprenditoriale di P. era stata resa possibile dalle sue attività illecite e che la crescita fosse stata agevolata sfruttando la sua qualità di appartenente . Continua il ricorrente che la Corte aveva trasformato la confisca di prevenzione, limitata per legge ai beni che siano frutto o reimpiego di attività illecite, in una confisca generale dei beni in palese violazione del principio di legalità, trascurando che P. aveva iniziato la sua attività imprenditoriale sin dai primi anni ‘80 ed era escluso che avesse gestito la sua attività con metodi mafiosi o l’avesse ampliata grazie ai rapporti con esponenti mafiosi, che erano da lui stati trattati allo stesso modo degli altri clienti, installando macchinette nei locali da essi gestiti. Era incontrovertibile che fino al 2004 P. non era pericoloso dal momento che con decreto del 3 marzo 2004 il Tribunale di Catania aveva rigettato la proposta di applicazione di misura personale e patrimoniale. Di tal che, in base al principio costituzionale di cui all’art. 42, sarebbe stato necessario limitare la confisca solo agli incrementi patrimoniali conseguenti al reimpiego di profitti illeciti nel capitale lecito originario. Questa operazione, anche se difficile, non era impossibile per le attività aziendali ed era comunque di estrema semplicità per l’immobile di famiglia che era stato costruito in economia con il provento delle attività patrimoniali lecite tra il 2001 e il 2005, con un costo di costruzione stimato in circa Euro 460.000, distribuiti in oltre quattro anni. La necessità costituzionalmente imposta di limitare l’ambito di applicazione della confisca imponeva la prova dell’illecito arricchimento ad essa assoggettabile, anche se si fosse ravvisata sproporzione tra beni e redditi, dovendosi all’uopo far riferimento non solo a quelli dichiarati, ma anche a quelli comunque lecitamente prodotti. 6.2. Con il secondo motivo il ricorso denuncia la violazione di legge in relazione alla durata della misura personale inflitta al proposto nonostante che nelle richieste subordinate vi fosse stata quella di limitarne durata e specie, la Corte territoriale, confermando il giudizio di pericolosità qualificata, aveva imposto l’obbligo di soggiorno senza spiegare le ragioni per cui, nonostante la qualità del proposto, riteneva insufficiente ogni altra misura. Nessuna motivazione era stata espressa relativamente alla durata. 7. Il Procuratore generale presso questa Corte in un articolato parere ha chiesto l’accoglimento del ricorso di P. sul punto della durata della misura e declaratoria di inammissibilità nel resto. Ad avviso del requirente, attesi i limiti del sindacato di legittimità sui provvedimenti in materia di prevenzione, la motivazione del provvedimento impugnato era coerente con la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione sia quanto all’appartenenza del medesimo ad un’associazione mafiosa, sia quanto all’applicazione della confisca del patrimonio aziendale e dell’immobile. 8. I difensori dei ricorrenti il 6 aprile 2016 hanno depositato una memoria di replica alle argomentazioni del Procuratore generale. Secondo la difesa, il giudizio di pericolosità di P. era stato formulato sulla base di indizi già ritenuti insufficienti dai giudici di merito. La motivazione dell’ordinanza aveva qualificato pericoloso P. solo perché nell’esercizio della sua attività imprenditoriale era venuto a contatto con soggetti appartenenti ad associazioni mafiose e camorriste. Una fattispecie così costruita era contraria al principio di legalità in quanto puniva il soggetto non per la violazione di una regola di comportamento, ma per la sua somiglianza all’identikit di un potenziale reo. La materia della prevenzione rientrava nel campo penale ed era soggetta ai principi di legalità e di riserva di legge. Anche la misura preventiva patrimoniale richiedeva puntuale predeterminazione legale dei presupposti. La difesa ribadisce quanto argomentato nel ricorso, richiamando l’attività istruttoria svolta in primo grado e le risultanze peritali sul valore dell’immobile e sui tempi e costi di costruzione. Allega le pagine 52 e 62 della perizia eseguita nel procedimento. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono infondati per le ragioni che seguono. P. è stato condannato con sentenza definitiva per il reato di cui all’art. 12 quinques D.L. n. 306 del 1992, conv. nella L. 356/92, sicché trovano applicazione gli artt. 4 comma 1 lett. b e 16 lett. a del Decreto Lgs n. 159 del 2011. 1.1. La denuncia che la confisca oggetto del ricorso sia avvenuta in spregio al diritto di proprietà , in violazione del Diritto Europeo Convenzionale, trascura che, all’opposto di quanto sostenuto, la scelta legislativa sottesa alla ablazione dei patrimoni frutto di illecita accumulazione si pone in consonanza con gli orientamenti delle Supreme Corti nazionali e sovranazionali che ripetutamente hanno escluso che l’adozione di provvedimenti che coinvolgono i diritti di proprietà del singolo sulla base di uno standard probatorio diverso da quello ordinario fondato su un generico collegamento fra l’illecito ed il bene confiscabile, salva la facoltà offerta all’interessato di fornire prova contraria e liberatoria attraverso la dimostrazione della legittimità degli acquisti, contrastino con il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata di cui la legge determina i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale . La prevenzione speciale e la dissuasione, perseguite non irragionevolmente dal legislatore attraverso presunzioni, assolvono appunto ad una funzione sociale che è a fondamento dei limiti che il legislatore stesso può imporre. Va ricordato che la Corte Europea più volte ha affrontato la problematica della legislazione di contrasto alla criminalità e che sin dal 2001 nel caso Riela c/ Italia ha ribadito che Essa osserva peraltro che il fenomeno della criminalità organizzata ha raggiunto, in Italia, delle proporzioni molto preoccupanti. I profitti smisurati che le associazioni di stampo mafioso ricavano dalle loro attività illecite conferiscono loro un potere la cui l’esistenza richiama in causa il primato del diritto nello Stato. Così, i mezzi adottati per combattere questo potere economico, particolarmente la confisca in contestazione, possono apparire come indispensabili per lottare efficacemente contro le predette associazioni . Nella sentenza Varvara contro Italia, la Corte Edu ha ulteriormente ribadito che la confisca tende ad impedire un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui la provenienza legittima non è ancora stata dimostrata. Essa considera quindi che l’ingerenza che ne consegue mira ad uno scopo che corrisponde all’interesse generale sentenza Raimondo c. Italia del 22 febbraio 1994, serie A n. 281-A, p.17, § 30 decisione della Commissione nella causa M. c. Italia, già citata, pp. 59 e 79 e rientra nel quadro di una politica criminale necessaria per frenare il fenomeno della criminalità organizzata che ha raggiunto, in Italia, delle proporzioni molto preoccupanti. I profitti smisurati che le associazioni di stampo mafioso ricavano dalle loro attività illecite conferiscono loro un potere la cui l’esistenza richiama in causa il primato del diritto nello Stato. Così, i mezzi adottati per combattere questo potere economico, particolarmente la confisca in contestazione, possono apparire come indispensabili per lottare efficacemente contro le predette associazioni sentenza Raimondo, già citata, p. 17 § 30 decisione della Corte nella causa Arcuri, già citata legittimando presunzioni, come quelle poste dall’art. 2 ter della legge del n. 575 del 1965 che stabilisce, in presenza di indizi sufficienti , una presunzione che i beni della persona sospettata d’appartenere ad un’associazione a delinquere costituiscono il profitto d’attività illecite o del loro reimpiego. Ogni sistema giuridico conosce delle presunzioni di fatto o di diritto. La Convenzione non vi pone evidentemente un ostacolo in via di principio . La Corte Europea ha ancora ricordato che l’art. 1 del Protocollo n. 1 esige, prima di tutto e soprattutto, che una ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale la seconda frase del primo comma di questo articolo autorizza una privazione della proprietà soltanto nelle condizioni previste dalla legge il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di regolamentare l’uso dei beni mettendo in vigore delle leggi . Il rispetto delle condizioni poste dalla norma, è assicurato dall’essere stata la confisca di beni dei ricorrenti ordinata in modo conforme all’articolo 24 del D. L.vo n. 159 del 2011. 1.2. In riferimento alla violazione dell’art. 125, terzo comma, del codice di rito, premesso che come è riconosciuto, in tema di misure di prevenzione, la riserva del sindacato di legittimità alla violazione di legge non consente di dedurre il vizio di motivazione, a meno che questa non sia del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente, ovvero si presenti come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, deve escludersi che ricorra il vizio in questione - né sotto il profilo della inosservanza della legge sostanziale per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie - né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il Tribunale esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte - né sotto il profilo formale della inosservanza della legge processuale in relazione alla logicità e contraddittorietà della motivazione in quanto il giudice a quo ha dato conto adeguatamente come illustrato nel paragrafo che precede sub 2 del fatto delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità. Al contrario, il provvedimento impugnato, letto in congiunzione al decreto del Tribunale di Caltanissetta che ha confermato, ha messo in luce un complesso di elementi fattuali idonei in concreto a legittimare la considerazione del proposto come appartenente ad associazione mafiosa e la pericolosità. 1.3. Questa corte, sin dalla sentenza n. 1120 delle 17/3/1997, Prisco, rv. 208005 ha argomentato sulle differenze concettuali correnti tra la partecipazione art. 416 bis cod. pen. e rappartenenza art. 1 I. n. 575 del 1965 . In specie, la sentenza Prisco ha osservato come il concetto di appartenenza ad un’associazione mafiosa sia sicuramente più sfumato e meno tecnico, di quello di partecipazione ad essa, sia da un punto di vista strettamente letterale, sia sotto il profilo della diversa consistenza che deve necessariamente investire il collegamento probatorio tra l’ipotesi preventiva e quella penale. Ed è infatti proprio nell’ambito dell’autonomia del procedimento di prevenzione da quello penale che emerge tra i due concetti di appartenenza e di partecipazione una differenza che non è solo di estensione per così dire linguistica appartenere è termine sicuramente più ampio di partecipare, che implica una presenza attiva nel sodalizio, indipendentemente dal ruolo che il soggetto vi svolga al suo interno, se di promotore, organizzatore o semplice partecipe , ma è altresì di ordine giuridico-sociologico e si riflette, come tale, sul sistema probatorio il quale, nella materia in esame, è inteso ad accertare non un fatto-reato ma comportamenti che sono indice di pericolosità sociale specifica. Il concetto di appartenenza si differenzia infatti da quello di partecipazione, nel senso che i rispettivi procedimenti trovano la loro oggetto dell’indagine che, in un caso, contiguità al sodalizio mafioso, mentre organico che il soggetto ha svoltoautonomia proprio rispetto al diverso mira all’accertamento di situazioni di nell’altro è volto ad accertare il ruolo in seno ad esso. In quest’ottica,l’appartenenza che il legislatore pone come condizione per l’applicabilità di una misura di prevenzione personale antimafia ricomprende ogni comportamento che, pur non realizzando il reato di associazione di tipo mafioso, sia funzionale tuttavia agli interessi dei poteri criminali e costituisca una sorta di terreno più generale di cultura mafiosa . Simili insegnamenti sono stati più volte ribaditi Sez. 1, Sentenza n. 16783 del 07/04/2010 Cc. dep. 03/05/2010 rv. 246943 Sez. 2, n. 1023 del 16/12/2005 - dep. 12/01/2006, Canino, rv. 233169 . L’appartenenza, insomma, si risolve in una situazione di contiguità all’associazione stessa che, pur senza integrare il fatto-reato tipico del soggetto che organicamente è partecipe con ruolo direttivo o meno del sodalizio mafioso, risulti funzionale agli interessi della struttura criminale e, nel contempo, denoti la pericolosità sociale specifica, che legittima il trattamento prevenzionale Sez. 5, Sentenza n. 14286 del 22/01/2013, Negro e altri, Rv. 255377. . Tanto che costituisce orientamento incontrastato quello secondo il quale, nell’area dei soggetti indiziati di appartenere a tali associazioni,vanno ricompresi anche coloro i quali vanno definiti concorrenti esterni , inteso il concetto di appartenenza , in senso lato ben diverso da quello di partecipazione all’associazione, come inserimento all’interno della struttura associativa delinquenziale Sez. 2, Sentenza n. 1023 del 16/12/2005, Canino, Rv. 233169 . 1.4. In questa cornice ermeneutica, la corte di appello ha evidenziato gli indicatori dell’appartenenza di P. ad associazione mafiosa, come dettagliati alle pagine 18-31 del decreto impugnato. In particolare, con il richiamo alle deposizioni dei collaboratori di giustizia estesamente riportate nel decreto del Tribunale di Caltanissetta, si è reso evidente come i rapporti di P. con gli ambienti mafiosi trascendessero il semplice contatto e realizzavano una interazione, ispirata a rapporti di reciproco tornaconto, in forza della quale il primo estendeva la propria area di influenza, installando i propri apparati nei territori governati da cosa nostra o da altri gruppi criminali, avvalendosi della loro capacità di persuasione e di controllo del territorio, e questi ultimi acquisivano capitali che venivano investiti nell’associazione. 1.5. Non conducente è l’assunto difensivo, espresso nel ricorso, secondo cui fino al 2004 era stato giudizialmente accertato che P. non fosse pericoloso, avendo il Tribunale di Catania - decreto del 3 marzo 2004-, rigettato la proposta di applicazione di entrambe le misure, personale e patrimoniale. Ed invero, è indiscusso l’insegnamento delle Sezioni Unite secondo cui, in tema di misure di prevenzione, la preclusione del giudicato opera rebus sic stantibus e, pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosità sulla base di ulteriori elementi, precedenti o successivi al giudicato Sez. U, n. 600 del 29/10/2009, Galdieri, Rv. 245176 . Pur affermandosi che non possano costituire oggetto di valutazione fatti già scrutinati e posti a fondamento del giudizio di pericolosità Sez. 1, 21 ottobre 1991, Mazza si è riconosciuto come possano essere presi in considerazione fatti nuovi o successivamente emersi, anche se preesistenti che, uniti ai precedenti, diano conto di una continuità di condotta e di un modo di essere individuale da poter prendere in considerazione con un nuovo intervento Sez 1, 7 aprile 1989, Amato Sez. 1, 19 dicembre 1988, Spavone . Lo sviluppo ermeneutico ha aperto, dunque, all’applicazione, sulla scorta di nuovi ed ulteriori elementi, anche preesistenti, di una nuova misura anche se in precedenza negata Sez. 1 20 novembre 1997, Perreca Sez. 1, n. 758, 9-2-1998 Rv. 211118, Bruno Sez. 1, n. 33077 del 21-9-2006 Rv 235144 e S.U. 13-12-2000, n. 36 . 1.6. Sul punto della durata della misura, di cui al secondo motivo, la corte ha esaminato questo aspetto alla pag. 51 e, pur essendosi posta il dubbio di una possibile riduzione, evidentemente lo ha risolto in senso negativo escludendola. L’ampia motivazione con la quale è stata ritenuta legittima l’applicazione della misura di prevenzione personale giustifica la conferma anche della specie della medesima. 2. Passando alla misura patrimoniale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’applicabilità della misura della confisca di beni patrimoniali nella disponibilità di persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, è sufficiente che sussistano una sproporzione tra le disponibilità e i redditi denunciati dal proposto ovvero indizi idonei a lasciar desumere in modo fondato che i beni dei quali si chiede la confisca costituiscano il reimpiego dei proventi di attività illecite e che il proposto non sia riuscito a dimostrare la legittima provenienza del danaro utilizzato per l’acquisto di tali beni Cass., sez. 1, 28 gennaio 1998, De Fazio, rv. 210012 . Sicché al riguardo, come si è già detto non si verifica alcuna inversione dell’onere della prova, perché la legge ricollega a fatti sintomatici la presunzione di illecita provenienza dei beni e non dalla mancata allegazione della loro lecita provenienza, la cui dimostrazione è idonea a superare quella presunzione Cass., sez. 5, 28 novembre 1996, Brodella, rv. 207498 . Le Sezioni Unite di questa Corte, occupandosi della speculare fattispecie contenuta nell’art. 12-sexies, commi 1 e 2, d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356 hanno ribadito che la condanna per uno dei reati in esso indicati comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorché, da un lato, sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni e, dall’altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi. Di talché, essendo irrilevante il requisito della pertinenzialità del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato. V. Corte Cost., ord. 29 gennaio 1996, n. 18 . Sez. U, n. 920 del 17/12/2003 - dep. 19/01/2004, Montella, Rv. 226490 . 2.1. Sul punto il decreto impugnato ha espresso, con motivazione logica e ineccepibile, espressiva di insindacabile apprezzamento di merito, aderente al dato normativo, le ragioni per cui per le disponibilità economiche del P. sussisteva la presunzione di illecita accumulazione del patrimonio, atteso che esse si ponevano all’interno della condotta associativa essendoci coincidenza temporale tra gli acquisti 2002 e il periodo in cui erano databili le manifestazioni di pericolosità 1998-2007 . A sua volta, il decreto del tribunale ha ricordato come in tema di confisca di prevenzione di cui all’art. 2 ter legge 31 maggio 1965, n. 575 attualmente art. 24 D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 , la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del proposto non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale, atteso che le disposizioni sulla confisca mirano a sottrarre alla disponibilità dell’interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di tipo mafioso. Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014 - dep. 29/07/2014, Repaci e altri, Rv. 260244 . 2.3. In ordine ai beni confiscabili, il tribunale e la corte di appello, in base alle risultanze della perizia, hanno messo in evidenza la sproporzione tra il valore dei beni posseduti direttamente o indirettamente da P. rispetto al reddito dichiarato ed all’attività svolta. Le anomalie riscontrate nelle operazioni finanziarie transitate sui conti personali hanno evidenziato l’opacità dei prelevamenti e versamenti per contanti, impeditivi della tracciabilità dei flussi, e la finalizzazione all’occultamento e al reimpiego a vantaggio anche della consorteria pag. 45 del decreto della corte di appello . Dalla compiuta analisi confluita nelle tabelle riportate alle pagg. 50-51 del decreto del tribunale è emerso un cronico deficit finanziario tra fonti finanziari e impieghi . In particolare, per il periodo 1993-2011 è risultata una costante discrasia tra redditi disponibili ed uscite, di cui i giudici di merito danno conto rispettivamente alle pagg. 52-55 decreto del tribunale e alle pagg. 36-55 decreto della corte di appello . 2.4. Quanto in particolare alla confisca dell’abitazione, su cui specificamente si soffermano le censure del ricorrente, effettivamente la corte di appello è incorsa in errore nel’aver valutato l’immobile in Euro 600.377,64, valore del 2010, anziché al valore dell’epoca di costruzione 2000-2005, Euro 446.804,35 546.432,31 . Tuttavia, si tratta di errore non influente sul giudizio di incompatibilità dei redditi disponibili perché comunque nemmeno il minor valore -correttamente indicato dal tribunale in Euro 482.087- trova rispondenza nella capacità reddituale di P. che nel periodo indicato è sempre negativa. 2.5. Infine, sul punto relativo alla confisca dei complessi aziendali, il giudice a quo ha fatto richiamo all’orientamento interpretativo di questa Corte di legittimità che, anche di recente, ha ribadito che La confisca di prevenzione di un complesso aziendale non può essere disposta solo con riferimento alla quota ideale riconducibile all’utilizzo di risorse illecite, non potendosi distinguere, in ragione del carattere unitario del bene, l’apporto di componenti lecite riferibili alla capacità e alla iniziativa imprenditoriale da quello imputabile ai mezzi illeciti, specie quando il consolidamento e l’espansione dell’attività economica siano stati sin dall’inizio agevolati dall’organizzazione criminale. Sez. 5, n. 16311 del 23/01/2014 - dep. 14/04/2014, Di Vincenzo e altri, Rv. 259871 . . Nella motivazione si specifica che Nell’insieme unitario dell’azienda , costituente autonoma realtà economico-sociale, proprio perché i vari fattori interagiscono finalisticamente e si integrano vicendevolmente, dando luogo ad un’entità autonoma, non è possibile discernere l’apporto di componenti lecite riferibili a capacità ed iniziativa imprenditoriale da quello imputabile ad illecite risorse . Peraltro, al di là di generiche affermazioni di principio, i ricorrenti non ne hanno giustificato la provenienza mediante specifica allegazione di elementi in grado di superare la presunzione dell’origine illecita del patrimonio, offrendo dimostrazione della lecita origine e di elidere in tal modo l’efficacia dimostrativa dei dati offerti dall’accusa. 3. Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.