Lascia la comunità e dopo un’ora va dai carabinieri: condannato

Nessun dubbio sulla condotta tenuta dall’uomo, ospitato in un istituto. Significativo il fatto che egli si sia presentato in caserma non immediatamente, e comunque su suggerimento del proprio difensore.

Uscita non autorizzata dalla comunità terapeutica. Secondario il fatto che la fuga si concluda alla caserma dei carabinieri. Inevitabile la condanna per evasione dagli arresti domiciliari. Cassazione, sentenza n. 2681/2017, Sezione Sesta Penale, depositata il 19 gennaio 2017 . Autorizzazione. Prima in Tribunale e poi in Corte d’appello si rivela assai precaria la posizione dell’uomo finito sotto accusa per aver lasciato senza autorizzazione la comunità terapeutica che lo ospitava da tempo. Per i giudici è logica la condanna, vista l’inequivocabile significato della condotta presa in esame. E questa valutazione non è messa in discussione neanche dalla constatazione che l’uomo si sia presentato dinanzi alla caserma dei Carabinieri chiedendo ai militari di essere portato in carcere . Ora. E ora anche per i giudici della Cassazione non vi sono elementi per rivedere la condanna per evasione . Decisivi due elementi che inchiodano l’uomo alle sue responsabilità. Primo, non risulta che la permanenza nell’istituto fosse per lui insostenibile . Secondo, egli, una volta uscito dalla comunità , non si è recato immediatamente, e per la via più diretta, dai carabinieri . In sostanza, è emerso che l’uomo si è presentato alla caserma dei carabinieri solo dopo un’ora dall’evasione e solo dietro suggerimento del suo difensore .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 dicembre 2016 – 19 gennaio 2017, n. 2681 Presidente Carcano – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Cagliari ha confermato l’appellata sentenza del Tribunale del capoluogo sardo, pronunciata nei confronti di L.V. per il reato di evasione dagli arresti domiciliari, riconosciuta l’attenuante della costituzione all’autorità prevista dall’art. 385, comma quarto, cod. pen. e confermati il giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti e le circostanze aggravanti e l’entità della pena. 2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso L.V. e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi 2.1. violazione di legge penale, per avere la Corte d’appello confermato il giudizio di penale responsabilità per il reato di evasione, sebbene l’imputato si sia limitato a lasciare la comunità terapeutica ed a recarsi presso la caserma dei Carabinieri di Sestu dichiarando di voler essere portato in carcere, venendo in effetti trovato dai militari seduto per terra davanti all’edificio 2.2. mancata assunzione di prova decisiva, per avere i Giudici di merito omesso di acquisire la registrazione della telefonata tra il difensore e la centrale operativa dei Carabinieri, da cui si evince come il ricorrente non intendesse scappare o sottrarsi al provvedimento coercitivo, ma semplicemente essere condotto in carcere. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato in relazione a tutte le doglianze mosse e deve, pertanto, essere rigettato. 2. Il ricorrente censura sotto diverse declinazioni il giudizio di colpevolezza espresso a suo carico dai Giudici della cognizione, sostenendo che nella specie non sussisterebbero i presupposti del reato di evasione in considerazione del fatto che egli si limitava a lasciare la comunità terapeutica ed a recarsi presso la caserma dei Carabinieri. 3. Nel dare risposta alla medesima doglianza già mossa in appello, la Corte territoriale ha correttamente evidenziato come, nella specie, il reato contestato risulti integrati sia il profilo oggettivo, stante l’arresto nella flagrante evasione dalla struttura sia il profilo soggettivo, essendosi l’imputato arbitrariamente allontanato dalla comunità in difetto della necessaria autorizzazione, senza avvisare i responsabili dell’istituzione o i Carabinieri, che venivano allertati dal difensore della presenza del ricorrente al di fuori della caserma, nei cui pressi questi si era portato, dopo un’ora dall’evasione, su suggerimento dello stesso patrono. Conclusione del Giudice di merito che si appalesa ineccepibile in questa Sede, risultando non revocabile in dubbio - alla stregua della ricostruzione storico fattuale della vicenda - la materialità della condotta criminosa, mentre la consegna all’autorità che abbia l’obbligo di tradurre l’evaso in carcere integra non una causa scriminante, bensì soltanto la circostanza attenuante prevista dal comma quarto dell’art. 385 cod. pen., in effetti riconosciuta dal Giudice del gravame. 3.1. D’altronde, giudica il Collegio che non ricorrano i presupposti per ribadire, nella specie, il principio affermato in passato da questa Corte ed invocato dal ricorrente , secondo il quale non può ritenersi sussistente il dolo nella condotta di colui che, trovandosi agli arresti domiciliari presso la propria abitazione, se ne allontani a causa di una situazione di convivenza con i familiari per lui insostenibile, per recarsi, per la via più diretta, alla stazione dei Carabinieri Sez. 6, n. 25583 del 5/02/2013 P.G. in proc. Giannone, Rv. 256806 . Ed invero, secondo la ricostruzione in fatto degli occorsi, da un lato, non risulta che la permanenza de L. nell’istituto fosse per lui insostenibile dall’altro lato, una volta uscito dalla comunità, egli non si recava immediatamente e per la via più diretta ai Carabinieri, ma si portava presso la Caserma solo dopo un’ora dall’evasione, su suggerimento del difensore. Non può pertanto fondatamente sostenersi la mancanza in capo al ricorrente della coscienza e volontà di lasciare il domicilio coatto e di sottrarsi al controllo dell’autorità. 4. È destituito di fondamento anche il secondo motivo, col quale il ricorrente si duole della mancata assunzione di una prova decisiva, consistente nella registrazione della telefonata tra il difensore e la centrale operativa dei Carabinieri. Ed invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte regolatrice, la celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato, se non impedisce al giudice d’appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria, comporta tuttavia l’esclusione di un diritto dell’imputato a richiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ed un corrispondente obbligo per il giudice di motivare il diniego di tale richiesta Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone Rv. 249161 Sez. U, n. 930 del 13/12/1995 - dep. 1996, Clarke, Rv. 203427 . 4.1. E ciò a tacer del fatto della congrua motivazione svolta comunque dalla Corte d’appello a supporto del rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, risultando del tutto condivisibile, in quanto conforme a ragionevolezza, la considerazione secondo la quale raffermazione del difensore di non avere letto gli atti e di avere pensato che vi fossero inserite delle circostanze che poi non ha trovato non possa di per sé giustificare l’integrazione probatoria richiesta v. pagina 2 della sentenza impugnata . 5. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.