Quando lo statuto prevede che solo l’organo collegiale possa proporre querela

Se lo statuto di una persona giuridica prevede che azioni giudiziarie e amministrative possano essere proposte solo dal Consiglio di Amministrazione, sono irrituali quelle sollevate dalla persona del Presidente di tale organo collegiale.

Così la sentenza n. 48561/16 della Corte di Cassazione depositata il 16 novembre. Il caso. Condannato per il delitto di cui all’art. 388, commi 3 e 4, c.p., in relazione alla sottrazione di un’autovettura sottoposta a pignoramento, l’imputato ricorre per cassazione, deducendo che il giudice a quo ha erroneamente ritenuto valida la querela presentata dal Presidente del Consiglio di Amministrazione della Cassa Rurale di Brentonico, persona offesa, in quanto lo statuto riserva la relativa determinazione al Consiglio di Amministrazione e non al Presidente. Querela. La doglianza è fondata, infatti si evince che l’art. 35 dello statuto conferisce al Consiglio di Amministrazione – e non al Presidente – il potere di promuovere azioni giudiziarie ed amministrative di ogni ordine e grado di giurisdizione, fatta eccezione per quelle relative al recupero di crediti . È corretto il rilievo della Corte territoriale secondo cui la querela non può ritenersi atto di promovimento di azione giudiziaria. L’azione nel processo penale viene infatti esercitata solo dal pubblico ministero. Va però osservato che la ratio della previsione statutaria è univocamente individuabile nell’intento di riservare al Consiglio di Amministrazione, per la loro importanza, le valutazioni inerenti alle iniziative di carattere giurisdizionale. In questa prospettiva non può negarsi che la querela costituisca iniziativa di carattere giurisdizionale, di particolare gravità, poiché innesca un procedimento penale a carico de soggetto querelato. Deve pertanto ritenersi la querela irritualmente proposta, senza una previa delibera del Consiglio di Amministrazione, dal Presidente che non ne aveva il potere. La sentenza va quindi annullata senza rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 29 settembre – 16 novembre 2016, n. 48561 Presidente Citterio – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. D.P.D. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al delitto di cui all'art. 388 commi 3 e 4 cod. pen., in relazione alla sottrazione di un'autovettura sottoposta a pignoramento, mediante presentazione di una denuncia di cessazione dalla circolazione ed esportazione dei veicolo in altro paese dell'Unione europea. 2. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, poiché erroneamente il giudice a quo ha ritenuto valida la querela presentata dal Presidente del Consiglio di amministrazione della Cassa Rurale di Brentonico Banca di credito cooperativo, persona offesa, in quanto lo statuto riserva la relativa determinazione al Consiglio di amministrazione e non al Presidente. La querela rientra infatti fra le iniziative di promozione di azioni giudiziarie ed amministrative di ogni ordine e grado di giurisdizione incluse dall'art. 35 dello statuto sociale tra i poteri del Consiglio di amministrazione e non del Presidente. 2.1. Con il secondo motivo, si deduce ravvisabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, in considerazione della vetustà e dello scarso valore dei veicolo, quantificato dall'ufficiale giudiziario in euro 4000, tant'è che la Banca non si è neppure costituita parte civile. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1.La prima doglianza è fondata. Dalla sentenza impugnata si evince infatti che l'art. 35 dello statuto conferisce al consiglio di amministrazione e non al presidente il potere di promuovere azioni giudiziarie ed amministrative di ogni ordine e grado di giurisdizione, fatta eccezione per quelle relative al recupero dei crediti . È senz'altro corretto il rilievo formulato dalla Corte d'appello, secondo cui non può ritenersi che la proposizione di una querela costituisca atto di promovimento di azione giudiziaria. L'azione, nel processo penale, è infatti esercitata dal pubblico ministero e non certamente dalla persona offesa, che si limita a manifestare la volontà che il reo venga punito, così rimuovendo un ostacolo alla procedibilità dell'azione penale. Occorre tuttavia osservare come la ratio della previsione statutaria, alla stregua del tenore testuale dei citato art. 35, sia univocamente individuabile nell'intento di riservare al Consiglio di amministrazione, per la loro importanza, le valutazioni inerenti alle iniziative di carattere giurisdizionale, ad eccezione di quelle relative al recupero dei crediti,atteso il loro carattere routinario. E, in questa prospettiva, non può negarsi che la querela costituisca iniziativa di carattere giurisdizionale, di particolare gravità, poiché innesca un procedimento penale a carico del soggetto querelato. Ciò che potrebbe ledere non solo gli interessi di quest'ultimo ma anche quelli della società, in relazione al disposto degli artt. 427 e 542 cod. proc. pen., che prevedono, a determinate condizioni, la condanna dei querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato nonché alla rifusione delle spese e al risarcimento del danno in favore dell'imputato. Ma, più in generale, si pensi alla gravità delle conseguenze della querela e del conseguente processo penale,in relazione, ad esempio, alla verosimile interruzione di ogni rapporto commerciale con il soggetto querelato o ad eventuali danni d'immagine correlati all'accertamento, in sede penale, di fatti che la società può avere interesse a mantenere in una sfera di riservatezza. E' dunque perfettamente comprensibile che la delicatezza di tali valutazioni abbia indotto ad attribuire le relative decisioni ad un organo collegiale particolarmente qualificato e specificamente preposto alla tutela degli interessi della società, come il consiglio di amministrazione. Sarebbe d'altronde contraddittorio riservare al consiglio di amministrazione la decisione in ordine alla proposizione di un'azione civile e non di una querela, iniziativa assai più grave, per le ragioni appena esposte. Deve pertanto ritenersi che irritualmente la querela sia stata proposta, senza una previa delibera del Consiglio di amministrazione, dal Presidente, che non ne aveva il potere. Ancor più irritualmente, il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale , nonostante l'invalidità della querela. 2.La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio perché l'azione penale non poteva essere esercitata, per mancanza di rituale querela. La natura rescindente di tale epilogo decisorio determina l'ultroneità della disamina del secondo motivo di ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè l'azione penale non poteva essere esercitata per mancanza di rituale querela.