Madre non affida la figlia al padre: no alla particolare tenuità

Nel caso di mancato affidamento della figlia all’ex marito, con conseguente integrazione del reato di cui all’art. 388, comma 2, c.p., la Corte di Cassazione non ritiene applicabile la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p

Così la S.C. con la sentenza n. 42012/16 depositata il 5 ottobre. Il caso. Una imputata ricorreva a mezzo del suo difensore per la cassazione della sentenza della Corte d’appello che confermava la sentenza che la riteneva responsabile del reato di cui all’art. 388, comma 2, c.p. – per aver ella omesso di affidare la figlia all’ex marito negli orari e nei giorni prescritti dall’ordinanza emessa dal Presidente del Tribunale e, dunque, per aver eluso ripetutamente l’esecuzione del suddetto provvedimento. Assenza di dolo? La ricorrente deduce che la Corte territoriale non aveva esaurientemente motivato in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, che, nella realtà dei fatti doveva ritenersi escluso il motivo per il quale la donna non affidava la figlia al padre era da rinvenirsi nel fatto che questi non si presentava puntualmente e con regolarità per esercitare il suo diritto di visita. La Corte di Cassazione dà però ragione alla motivazione addotta dalla Corte d’appello il vero motivo per cui la donna non affidava la figlia al padre era per esercitare una sorta di ritorsione dovuta al mancato pagamento di quanto dovuto dall’ex marito, situazione che fa scattare legittimamente l’elemento soggettivo del dolo. Causa di non punibilità? Inoltre, l’imputata ritiene che la Corte aveva erroneamente non applicato la causa di non punibilità di cui all’art. 131- bis c.p Anche ciò viene però contestato dal Supremo Collegio, che aderisce alla sentenza della Corte d’appello, che ha motivato esaurientemente e convincentemente in ordine alla non ricorrenza della causa di punibilità di cui all’art. cit. richiamando i parametri della norma.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 settembre – 5 ottobre 2016, n. 42012 Presidente Conti – Relatore Gianesini Ritenuto in fatto e considerato in diritto - ritenuto che il difensore di L.F.A. ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di PALERMO ha confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato l’imputata per il reato di cui all’art. 388, comma 2 cod. pen. perché, omettendo di affidare la figlia C. all’ex marito negli orari e nei giorni prescritti dall’ordinanza emessa dal Presidente del Tribunale di Termini Imerese, eludeva ripetutamente l’esecuzione del predetto provvedimento giurisdizionale - ritenuto che il ricorrente ha dedotto tre motivi di ricorso con i quali ha affermato, da un lato, che la Corte di Appello non aveva esaurientemente motivato in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in realtà escluso dal fatto che il padre non si presentava puntualmente e con regolarità per esercitare il suo diritto di visita, dall’altro che la Corte non aveva applicato al caso in esame la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., dall’altro ancora che la Corte aveva quantificato la pena in violazione dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen. - considerato, quanto al primo motivo, che la Corte ha esaurientemente motivato circa l’infondatezza della tesi difensiva secondo la quale il padre si sarebbe presentato del tutto saltuariamente per esercitare il suo diritto di visita si rinvia in particolare ai ff. 2 e 3 della motivazione e circa la sussistenza del dolo, riconnesso ad una sorta di ritorsione della imputata al mancato pagamento di quanto dovuto dall’ex marito si veda f. 4 della motivazione - considerato, quanto al secondo motivo, che la Corte ha esaurientemente e convincentemente motivato in ordine alla non ricorrenza della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. richiamando i parametri indicati dalla norma si veda in particolare f. 4 della motivazione - considerato, quanto al terzo motivo, che il ricorso si presenta del tutto generico ed apodittico sul punto specifico della affermata violazione del criteri di cui all’art. 133 del codice penale, senza alcuna articolata argomentazione critica sul punto di sentenza impugnato. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 1.500,00 Euro a favore della cassa delle ammende.