Prelievo di ovociti da una donna non consenziente: le parti del corpo umano non sono “cose mobili”

Per cosa mobile deve intendersi qualsiasi di cui, in rerum natura, sia possibile una fisica detenzione, sottrazione, impossessamento ed appropriazione e che possa spostarsi da un luogo all’altro. E’ evidente, dunque, che il concetto di cosa mobile non può applicarsi con riferimento a parti del corpo umano finché la persona è in vita.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 39541/16, depositata il 23 settembre. Il caso. Il Tribunale di Milano, a seguito di istanza avanzata nell’interesse dell’indagato, confermava la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata dal gip di Milano, pur escludendo il reato di rapina contestato nel capo di incolpazione e derubricando il reato di rapina in quello di violenza privata. Nell’ordinanza genetica la misura cautelare veniva applicata dal gip in relazione al fatto che in concorso con altre persone, all’interno di una clinica in cui l’indagato ricopriva il ruolo di direttore sanitario, lo stesso, per procurarsi un ingiusto profitto e al fine di procedere all’impianto di embrioni in altre pazienti, tratteneva per le braccia con violenza una paziente cercando di sottoporla, contro la sua volontà, ad anestesia e ponendola quindi in stato di incapacità di agire, prelevando dall’utero della medesima non meno di sei ovociti. Avverso tale ordinanza propongono ricorso per cassazione il pm e l’indagato. Consenso all’ovodonazione?. Il pm si duole che il Tribunale abbia errato nella qualificazione giuridica del fatto, avendo considerato che le parti del corpo umano possano essere ritenute cose mobili” soltanto dopo che le stesse siano state separate dal corpo stesso e che non si possa estendere al prelievo degli ovociti l’orientamento giurisprudenziale relativo al cd. mobilizzazione da immobili a mobili. L’indagato afferma, invece, violazione dell’art. 273 c.p.p., per avere la Corte affermato che gli elementi di fatto relativi al comportamento tenuto dalla denunciante potessero condurre alla conclusione che la stessa avesse revocato il consenso alla ovodonazione e che dunque l’intervento sarebbe stato frutto della violenza denunciata. Il concetto di cosa mobile”. Entrambe le doglianze sono infondate. Quanto al ricorso del pm, l’art. 628 c.p. punisce la condotta di chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene . Per cosa mobile deve infatti intendersi qualsiasi di cui in rerum natura sia possibile una fisica detenzione, sottrazione, impossessamento ed appropriazione e che possa spostarsi da un luogo all’altro. E’ evidente dunque che il concetto di cosa mobile non può applicarsi con riferimento a parti del corpo umano finché la persona è in vita. Per quanto concerne invece il motivo di ricorso dell’indagato, va precisato che l’ordinanza impugnata resiste alle censure della difesa ricorrente in quanto il Tribunale ha correttamente osservato che la ricostruzione dei fatti effettuata dalla persona offesa presenta dei profili di non attendibilità che, tuttavia, non tolgono piena credibilità con riguardo al prelievo forzoso e senza consenso degli ovociti . Non può dunque dubitarsi che le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale in punto di gravità del quadro indiziario per l’episodio delittuoso, si siano fondate su un percorso argomentativo privo di vizi logico-giuridici. La Suprema Corte rigetta pertanto i ricorsi e condanna l’indagato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 17 agosto – 23 settembre 2016, numero 39541 Presidente Blaiotta – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 25/5/2016, il Tribunale di Milano, a seguito di istanza di riesame avanzata nell’interesse di A.S. , confermava la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata dal Gip di Milano, con l’ordinanza emessa in data 9/5/2016, pur escludendo il reato di rapina contestato al numero 2 del capo di incolpazione e derubricando il reato di rapina di cui al capo 1 in quello di violenza privata. 2. Nell’ordinanza genetica la misura cautelare veniva applicata dal Gip in relazione ai seguenti reati 1 artt. 110, 628 commi 1 e 3 numero 2 e 3 c.p. perché, in concorso con M.M. e B.B. e con altra persona allo stato non identificata, all’interno della clinica XXXXXX, sita in -omissis , al cui A. ricopriva il ruolo di direttore sanitario, per procurarsi un ingiusto profitto e segnatamente al fine di procedere all’impianto di embrioni in altre pazienti, con violenza consistita nel trattenere per le braccia Me.Ha. e nel sottoporla, contro la sua volontà, ad anestesia, ponendola quindi in stato di incapacità di agire, prelevavano dall’utero della medesima non meno di sei ovociti intervento materialmente eseguito dall’A. , sottraendoli alla persona offesa che aveva chiaramente manifestato la sua volontà di non autorizzare il prelievo. Con la circostanza aggravante di avere commesso il fatto in più persone e ponendo la persona offesa in stato di incapacità di agire. In -omissis . 2 artt. 110, 628 commi 1 e 3 numero 2 e 3 c.p. perché, in concorso con M.M. e B.B. e con altra persona allo stato non identificata, per procurarsi un profitto, mediante la violenza posta in essere con le modalità di cui al capo precedente, si impossessavano del telefono I Phone 6 di proprietà di Me.Ha. sottraendolo alla medesima mentre la stessa si trovava in stato di incoscienza per effetto dell’anestesia. Con la circostanza aggravante di avere commesso il fatto in più persone e ponendo la persona offesa in stato di incapacità di agire. In -omissis . 3 artt. 110, 582, 585 in relazione all’art. 61 numero 2 c.p. perché, in concorso con M.M. e B.B. e con altra persona allo stato non identificata, per commettere i reati di cui ai capi precedenti, esercitando nei confronti di Me.Ha. le condotte violente di cui agli stessi capi e sottoponendola a trattamento di prelievo ovocitario contro la sua volontà, cagionavano alla medesima lesioni personali consistite in endometrio iperecogeno ed ingrossamento delle ovaie, con conseguenti algie pelviche, nonché ecchimosi varie sul corpo e sugli arti da cui derivava malattia con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo di giorni 15 circa. Con la circostanza aggravante di avere commesso il reato per eseguirne un altro. In -omissis . 3. Il Tribunale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria rispetto ai fatti descritti al numero 1 ed al numero 3 del capo d’incolpazione, ovvero il fatto di aver costretto la persona offesa Me.Ha. a subire l’espianto violento di sei ovociti e di avere procurato alla medesima le lesioni conseguenti a tale condotta violenta. La gravità indiziaria risultava saldamente confermata da una serie di elementi di riscontro delle dichiarazioni della persona offesa. In particolare il Tribunale rilevava che la ricostruzione dei fatti effettuata dalla persona offesa presentava dei profili di non attendibilità che, tuttavia, non incidevano sulla piena credibilità del narrato con riguardo al prelievo forzoso degli ovociti, che risultava confermato da una serie di indizi convergenti. Fra questi la circostanza che i documenti relativi al consenso all’operazione del giorno XXXXXXXX recavano una firma apocrifa le lesioni riscontrate sul corpo della donna risultavano compatibili con la dinamica descritta il comportamento successivo all’intervento, documentato dalle chiamate al 112 e dalle relazioni di servizio degli agenti intervenuti sul posto, che dimostrava lo stato di agitazione della donna ed il clima di costrizione in cui veniva tenuta nella clinica XXXXXX. Tale quadro indiziario veniva ulteriormente rafforzato dalle intercettazioni telefoniche in atti di conversazioni della Me. con A. e con le coindagate B. e M. . Ritenuto provato il fatto nella sua materialità, il Tribunale, tuttavia provvedeva a riqualificare il reato di cui al capo 1 in violenza privata, anziché rapina. 4. Quanto al reato di rapina di un telefono cellulare, di cui al capo 2 , il Tribunale escludeva il reato per difetto di gravi indizi, essendo dubbio il requisito dell’altruità della cosa. 5. Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva sussistente il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato, reputando gli arresti domiciliari come l’unica misura adeguata. 6. Avverso tale ordinanza propongono ricorso il P.M. e l’indagato A.S. . 7. Il P.M. solleva tre motivi di ricorso con i quali deduce 7.1 Violazione di legge in relazione all’art. 628 cod. penumero Al riguardo si duole che il Tribunale abbia errato nella qualificazione giuridica del fatto, avendo considerato che le parti del corpo umano possano essere ritenute cose mobili soltanto dopo che le stesse siano state separate dal corpo stesso e che non si possa estendere al prelievo degli ovociti l’orientamento giurisprudenziale relativo alla c.d. mobilizzazione da immobili a mobili. L’errore del Tribunale consisterebbe nell’aver considerato gli ovociti organi o comunque parti integranti del corpo umano, mentre, ad opinione del P.M. ricorrente, si tratterebbe di cellule detenute solo temporaneamente nel corpo umano femminile, che possono essere sottratte al legittimo detentore con impossessamento da parte di terzi. Pertanto l’espianto forzato degli ovociti dovrebbe essere ricondotto nell’orizzonte del delitto di rapina. 7.2 Mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione alla riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 610 cod. penumero In proposito si duole che, riqualificando il fatto come violenza privata, anziché rapina, il Tribunale abbia omesso di affermare la sussistenza di un concorso fra il delitto di violenza privata e quello di sequestro di persona in quanto la condotta di immobilizzazione -prima e -poi di sedazione/anestesia della paziente ME. comporta necessariamente la privazione della libertà personale, che è elemento costitutivo del reato di cui all’art. 605 cod. penumero Un ulteriore profilo di illogicità della motivazione deriverebbe dalla mancata considerazione della condotta successiva al distacco degli ovociti, consistente nell’impossessamento degli ovuli prelevati alla donna, che l’A. aveva impiegato nelle procedure di fecondazione eterologa dei suoi pazienti e quindi allo specifico fine di trarne profitto. 7.3 Illogicità e carenza di motivazione in relazione all’annullamento della misura per il reato di rapina del cellulare di cui al capo 3 . Al riguardo eccepisce che non esiste un solo elemento concreto che induca a sostenere che il telefono fosse abitualmente dato in uso a persone della cerchia dell’indagato o di sue donatrici. 8. A.S. per mezzo dei suoi difensori di fiducia, avv. Carlo Taormina e avv. Tommaso Pietrocarlo propone ricorso sollevando due motivi di gravame con il quali deduce 8.1 violazione dell’art. 273 cod. proc. penumero per avere con illogicità manifesta e con motivazione solo apparente affermato che gli elementi di fattO relativi al comportamento tenuto dalla denunziante potessero condurre alla conclusione che la stessa avesse revocato il consenso alla ovodonazione in data -omissis e che quindi l’intervento praticato sarebbe stato frutto della violenza denunziata. Al riguardo la difesa si duole che il Tribunale abbia ritenuto attendibile la versione della ME. in ordine al diniego del consenso all’espianto, sebbene fosse emerso da numerosi elementi, ivi comprese le indagini difensive, che la donna aveva indiscutibilmente mentito sulle circostanze relative alla sua conoscenza con A. , al suo arrivo in Italia e alla sua adesione al trattamento di ovulo donazione. Deduce, inoltre, l’illogicità interna della motivazione che, pur avendo colto la donna in flagrante calunnia per aver accusato l’A. di averle sottratto il cellulare per impedirle di telefonare alla polizia, non ne aveva tratte le logiche conseguenze in punto di credibilità della denunciante. Quanto alla revoca del consenso, la difesa si duole che il Tribunale non abbia valorizzato le dichiarazioni dell’anestesista, prof. Ma. e della biologa dott.ssa R.A. . 8.2 Violazione dell’art. 274 cod. proc. penumero per avere, con motivazione manifestamente illogica, affermato l’esistenza di tutte le esigenze cautelari, nemmeno ritenute dal giudice delle indagini preliminari, nonostante il forte ridimensionamento dell’impianto accusatorio e comunque per mancanza dei presupposti di legge, anche in riferimento alla prognosi relativa alla possibile entità della pena da infliggere al prof. A. . Al riguardo eccepisce l’illogicità della conferma della misura cautelare degli arresti domiciliari, una volta che il Tribunale aveva fortemente ridimensionato l’incolpazione originale, escludendo la rapina del telefono e ridimensionando l’originaria imputazione di rapina degli ovuli in violenza privata. Contesta, inoltre, la valutazione prognostica della pena, osservando che al prof. A. , 71enne incensurato difficilmente potrebbe essere irrogata una pena superiore ai due anni e mezzo di reclusione. Considerato in diritto 1. Entrambi i ricorsi sono infondati. 2. Per quanto riguarda il ricorso del Pubblico Ministero, non è fondato il primo motivo in punto di qualificazione giuridica del fatto. L’art. 628 del codice penale punisce la condotta di chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene . Invero, secondo la giurisprudenza, per cosa mobile secondo la nozione desumibile, nella sua massima estensione, dall’art. 624 cpv. c.p. deve intendersi qualsiasi entità di cui in rerum natura sia possibile una fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione, e che a sua volta possa spostarsi da un luogo ad un altro o perché ha l’attitudine a muoversi da sé oppure perché può essere trasportata da un luogo ad un altro. La giurisprudenza ritiene che la qualità di cosa mobile possa essere attribuita anche alla cosa che sia stata mobilizzata ad opera dello stesso autore del fatto mediante la sua avulsione o enucleazione Cass. numero 20647/10 . Orbene è evidente che il concetto di cosa mobile non può applicarsi con riferimento a parti del corpo umano finché la persona è in vita. Come giustamente osservato dal Tribunale, le parti del corpo umano diventano cose solo dopo essere state separate per es. il rene,una volta espiantato , ma non sono tali sino a quando fanno parte del corpo vivente. Né a conclusioni differenti si può pervenire con riferimento alla particolare natura degli ovociti prodotti nel corpo della donna e destinati ad essere espulsi o trasformati mediante la fecondazione. È discutibile se possano essere assimilati agli organi del corpo umano, ma non può essere revocato in dubbio che facciano parte del circuito biologico dell’essere umano. Pertanto, non possono essere considerati cose , solo temporaneamente detenute dalla donna all’interno del proprio corpo. Di conseguenza il prelievo forzoso degli ovociti dall’utero della donna non rientra nell’orizzonte dei delitti contro il patrimonio come la rapina , ma costituisce un delitto contro la persona, che correttamente il Tribunale ha qualificato ai sensi dell’art. 610 cod. penumero nel concorso con le lesioni personali. Nel capo di imputazione la condotta contestata consiste esclusivamente nell’azione di separazione degli ovociti dal corpo della donna, non è stata contestata la condotta successiva di impossessamento degli ovociti, una volta separati dal corpo della donna, per fini di profitto, pertanto il fatto non poteva essere diversamente qualificato. 3. È inammissibile il secondo motivo di ricorso con il quale il P.M. ricorrente si duole che il Tribunale non abbia ritenuto il concorso fra il delitto di violenza privata e quello di sequestro di persona. Il delitto di sequestro di persona, contestato al numero 2 del capo di incolpazione originario, è stato escluso dal Gip, che lo ha ritenuto assorbito dal delitto di rapina. Non risulta che il P.M. abbia proposto appello avverso il diniego della richiesta di misura coercitiva per il reato di cui all’art. 605 cod. penumero , pertanto la questione rimane preclusa e non può essere sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione. Inoltre è inammissibile la censura con la quale il P.M. ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non abbia preso in considerazione la condotta successiva di appropriazione degli ovociti, utilizzati dall’A. per la fecondazione artificiale perché come già rilevato tale condotta non è ricompresa nella contestazione. 4. Infine è inammissibile il terzo motivo di ricorso con il quale il P.M. ricorrente si duole dell’annullamento della misura cautelare con riferimento al reato di rapina del telefono cellulare, in quanto le censure sollevate postulano un intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alla valutazione degli elementi indiziari effettuata dal Tribunale, le cui conclusioni, sul tema dell’altruità del telefono cellulare, sono fondate su una motivazione priva di vizi logico-giuridici, come tale incensurabile in questa sede. 5. Ricorso di A. . In via preliminare va ribadito che, per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei provvedimenti de libertate , secondo giurisprudenza consolidata, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutare le condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento cfr ex plurimis Cass., sez. 6, 25 maggio 1995, numero 2146 . L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. è, quindi, rilevabile in Cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di merito. Sicché, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è demandato al giudice di merito la valutazione del peso probatorio degli stessi, mentre alla Corte di cassazione spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie Cass., sez. 4,3 maggio 2007, numero 22500 sez. 3,7 novembre 2008, numero 41825, Hulpan . 6. Alla luce di queste premesse in diritto, l’ordinanza impugnata resiste alle censure della difesa ricorrente in quanto il Tribunale ha correttamente preso in considerazioni gli argomenti della difesa ed ha osservato che la ricostruzione dei fatti effettuata dalla persona offesa presenta dei profili di non attendibilità che tuttavia non tolgono piena credibilità con riguardo al prelievo forzoso e senza consenso degli ovociti . La credibilità del narrato della persona offesa circa la violenza a cui è stata sottoposta, trova conferma in una serie di elementi di riscontro che il Tribunale ha compiutamente evidenziato nella motivazione dell’ordinanza impugnata. Fra questi elementi hanno un peso determinante i seguenti il fatto che i documenti relativi al consenso all’operazione del giorno XXXXXXXX non sono stati sottoscritti dall’interessata poiché recano una firma apocrifa circostanza di fatto che rende non credibili le contrarie dichiarazioni di Ma.Anumero il fatto che le lesioni accertate sulla persona offesa sono del tutto compatibili con la circostanza che la stessa sia stata presa di peso e portata in sala operatoria il comportamento successivo all’operazione della persona offesa per come risultante dalle chiamate effettuate al 112 e per quanto costatato de visu dagli agenti di pg. intervenuti sul posto che hanno trovato la ragazza in lacrime ed agitatissima le intercettazioni telefoniche in atti di colloqui di A. con le sue collaboratrici e della stessa Me. con A. e le sue collaboratrici dalle quali emerge che la persona offesa aveva manifestato perplessità sull’intervento, che A. era preoccupato che potesse scappare, che si rendeva necessario procedere subito alla sedazione onde non avere sorprese. Non può dubitarsi, pertanto, che le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale in punto di gravità del quadro indiziario per l’episodio delittuoso, riqualificato come violenza privata, siano fondate su un percorso argomentativo privo di vizi logico-giuridici e coerente con i principi che governano le condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari di cu all’art. 273 cod. proc. penumero . 7. Infine sono infondate anche le censure del ricorrente rivolte sostanzialmente a contestare la fondatezza delle esigenze cautelari. Al riguardo il Tribunale ha adeguatamente motivato, mettendo in evidenza, oltre la particolare gravità ed offensività dei fatti contestati, una serie di elementi negativi del comportamento dell’indagato successivo al reato, osservando come l’A. abbia ripetutamente insultato la persona offesa, intimandole di ritirare la denuncia, abbia violato le prescrizioni degli arresti domiciliari, abbia espresso l’intenzione di proseguire la sua attività all’estero dove l’interdizione dalla professione medica non sarebbe operativa. Quanto alla circostanza, dedotta dalla difesa, che trattandosi di persona di età superiore ai settant’anni, potrebbe usufruire della sospensione condizionale anche nel caso venisse irrogata una pena superiore ai due anni entro il limite di due anni e sei mesi di reclusione , l’obiezione non ha pregio in quanto, a norma dell’art. 164 cod. penumero , la sospensione condizionale della pena è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. Nel caso di specie il Tribunale ha compiutamente spiegato le ragioni per le quali sussiste un grave pericolo di recidiva, prognosi incompatibile con la sospensione condizionale della pena. 8. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. penumero , con il provvedimento che dichiara rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna A.S. al pagamento delle spese processuali.