Nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione l’appropriazione indebita è punibile ex se

L’attenuante di cui all’art. 648-bis, terzo comma, c.p. è comunque applicabile nel reato di riciclaggio quando commessa nel contesto della bancarotta fraudolenta per distrazione. L’appropriazione indebita è elemento costitutivo della bancarotta fraudolenta per distrazione, punibile ex se, e per questo reato presupposto per l’applicazione dell’attenuante ex art. 648-bis, terzo comma, c.p

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione, sez. VI Pen., n. 38214 depositata il 14 settembre 2016 Un doppio rinvio. Nel giudizio in commento si assiste ad un duplice rinvio ai giudici di merito. Già con un primo rinvio, i giudici di legittimità avevano stabilito la necessaria applicazione dell’attenuante di cui all’art. 648- bis , terzo comma, c.p., che prescrive la diminuzione di pena nel reato di riciclaggio laddove il denaro, i beni o le altre utilità oggetto del reato derivino da un delitto per il quale è prevista la reclusione inferiore, nel massimo, a cinque anni. La questione che interroga i giudici risiede nella qualificazione del reato presupposto per l’applicazione dell’attenuante de quo , ovverosia del reato dal quale proviene, nel caso di specie, il denaro poi riciclato. In particolare, i giudici di legittimità ritengono pacifica la questione, risolta già con la prima pronuncia della Corte di Cassazione il reato presupposto è l’appropriazione indebita, per il quale è prevista la reclusione fino a tre anni i giudici di merito cui la Corte di Cassazione aveva di già rinviato il giudizio per l’applicazione dell’attenuante ex art. 648- bis , terzo comma, c.p., mettono nuovamente in discussione la qualificazione del reato presupposto. Secondo i giudici del primo rinvio il presupposto nel caso di specie per l’applicazione dell’attenuante ex art. 648- bis , terzo comma, c.p. è il reato di bancarotta fraudolenta la cui pena è determinata nel massimo fino a dieci anni, con conseguente impossibilità di applicazione dell’attenuante oggetto del presente commento. I giudici del rinvio hanno dunque dilatato, illegittimamente, l’abito della propria disamina affrontando una questione già decisa dalla Corte di Cassazione, ovvero la qualificazione giuridica del reato presupposto. L’appropriazione indebita è punibile ex se. Nel caso oggetto di ricorso, la qualificazione del reato presupposto ex art. 648- bis , comma terzo, c.p. risulta pacifica agli occhi dei primi e dei secondi giudici di legittimità il reato presupposto è l’appropriazione indebita. Il ricorrente aveva infatti finanziato l’aumento di capitale della società a lui facente capo con somme di denaro provenienti dai conti correnti di altri individui, proventi delle distrazioni a danno di un’altra società. Il reato presupposto non può essere individuato nella bancarotta fraudolenta per distrazione, oggetto dell’imputazione a danno di chi aveva distratto malamente il capitale della seconda società. La bancarotta fraudolenta per distrazione, infatti, in ambito societario è figura di reato complessa che vede tra i propri elementi costitutivi l’appropriazione indebita del bene distratto condotta punibile ex se ai sensi dell’art. 646 c.p. Accogliendo in parte il ricorso, la Corte di Cassazione rinvia nuovamente ai giudici di merito. La qualificazione del fatto di reato è ben chiara si tratta di appropriazione indebita, elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta. Il reato di appropriazione indebita prevede la pena della reclusione determinata nel massimo in tre anni, con conseguente applicazione dell’attenuante di cui all’art. 648- bis , terzo comma, c.p

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 luglio – 14 settembre 2016, n. 38214 Presidente Carcano – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. M.L. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale, in sede di giudizio di rinvio, è stata rideterminata la pena inflittagli in ordine al reato di cui all’art. 648-bis cod. pen., in relazione al finanziamento dell’aumento del capitale sociale della spa Leomat”, a lui facente capo, con somme di denaro provenienti dai conti correnti personali di R.P. e di L.M.C. , provento delle distrazioni in danno delle società del gruppo MQM”, somme che faceva transitare, senza alcuna causale, sui propri conti personali. 2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la Corte di cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza d’appello limitatamente al trattamento sanzionatorio, non essendo stata applicata la riduzione di pena per l’attenuante di cui all’art. 648-bis, comma 3, cod. pen., pur essendo stato individuato il reato presupposto nel delitto di appropriazione indebita. Il giudice di rinvio, invece, non ha applicato la predetta attenuante, avendo acquisito la sentenza della suprema Corte con cui gli autori del reato presupposto erano stati condannati per il delitto di bancarotta fraudolenta, che eccede il limite di pena di cui all’art. 648-bis, comma 3, cod. pen. La Corte territoriale non ha però tenuto conto che, ove il delitto presupposto venga individuato nel reato di bancarotta fraudolenta, quest’ultimo si consuma soltanto con la dichiarazione di fallimento, che, essendo intervenuta, nel caso di specie, nell’anno 2010, è successiva all’epoca di perpetrazione della condotta di riciclaggio, che risale al 2008. Ciò determina l’insussistenza di quest’ultimo delitto, essendo incontrovertibile che esso debba essere cronologicamente posteriore e non anteriore alla consumazione del reato presupposto. 2.1. In ogni caso, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare l’attenuante di cui all’art. 648-bis, comma 3, cod. pen., poiché la pronuncia di annullamento con rinvio del giudice di legittimità concerneva specificamente tale punto e tutte le altre statuizioni erano passate in giudicato. 2.2. Eventualmente avrebbe dovuto essere ascritto all’imputato il reato di concorso in autoriciclaggio, punito con pena più favorevole rispetto al delitto di cui all’art. 648 bis cod. pen. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. 2.3. Le doglianze formulate sono state ribadite e ulteriormente argomentate con motivi nuovi, depositati il 4 luglio 2016. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Il giudizio di rinvio ha infatti un orizzonte cognitivo circoscritto dal contenuto e dalla portata del giudizio rescindente. Esula, pertanto, dai poteri del giudice di rinvio l’estensione della propria cognizione a questioni estranee al perimetro tracciato dalla Corte di cassazione, anche se additate dalle risultanze di ulteriori accertamenti esperiti nel giudizio di rinvio. Le Sezioni unite hanno infatti chiarito che l’autorità di cosa giudicata, di cui all’art. 624 cod. proc. pen., si riferisce non soltanto alle decisioni che definiscono la posizione processuale di un imputato, in un processo cumulativo, o concludono il giudizio in relazione ad alcune imputazioni ma a qualunque statuizione avente un’autonomia giuridico concettuale Cass., Sez. 1, n. 4882 del 21-3-1996, Rv. 204637 , e quindi anche a quelle che, nell’ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame Sez. U., n. 6019 del 11-5-1993, Ligresti . Ne deriva che il giudicato può avere una formazione non simultanea ma progressiva sia quando una sentenza di annullamento parziale venga pronunciata nei confronti di alcuni degli imputati o riguardi soltanto alcune delle imputazioni sia quando la detta pronuncia inerisca, come nel caso in disamina, ad una statuizione relativa ad un solo imputato e ad una sola imputazione, perché anche in tal caso il giudizio si esaurisce in relazione a tutte le disposizioni non annullate Sez. U., n. 20 del 910-1996, Vitale . Dunque,una statuizione definitiva può inerire anche ad una decisione su uno o più punti della regiudicanda, come si evince pure dal disposto dell’art. 628, comma 2, cod. proc. pen., che sancisce l’impugnabilità della sentenza del giudice di rinvio soltanto per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla Corte di cassazione, a conferma dell’irrevocabilità delle statuizioni relative a questi ultimi. 2. Nel caso di specie, la sentenza della Corte d’appello di Milano originariamente impugnata era stata annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento all’omessa applicazione dell’attenuante di cui all’art. 648 bis, comma 3, cod. pen. Avevano infatti rilevato i giudici di legittimità, nella pronuncia rescindente, che la Corte d’appello, una volta riconosciuto che il reato presupposto è l’appropriazione indebita, avrebbe dovuto applicare la diminuzione di pena ex art. 648-bis, comma 3, cod. pen. D’altronde la correttezza della qualificazione giuridica del reato presupposto è stata espressamente confermata nella sentenza rescindente, la quale ha rilevato che la bancarotta fraudolenta per distrazione, in ambito societario, è figura di reato complessa, che comprende, tra i propri elementi costitutivi, una condotta di appropriazione indebita del bene distratto, punibile, di per sé, ai sensi dell’art. 646 cod. pen Si trattava dunque di una questione già decisa nell’ambito del giudizio di legittimità e che, conseguentemente, non poteva più essere messa in discussione dal giudice del rinvio. Illegittimamente dunque quest’ultimo ha dilatato l’ambito della propria disamina al di là del perimetro tracciato dalla pronuncia d’annullamento, affrontando una questione che gli era preclusa e cioè quella della qualificazione giuridica del reato-presupposto, che era già stata irrevocabilmente giudicata dalla Corte di cassazione e pervenendo ad un esito decisorio, che, come si dirà più ampiamente nel paragrafo dedicato al secondo motivo di ricorso, è del tutto in contrasto con le statuizioni della pronuncia rescindente. L’illegittimità dell’itinerario cognitivo esperito dal giudice di rinvio e dell’esito al quale egli è approdato impedisce pertanto di trarre qualunque conseguenza giuridica dai contenuti decisori di quest’ultimo, destituendo di qualunque fondamento giuridico un’impostazione volta a porre le statuizioni erroneamente emesse dalla Corte d’appello, nella sentenza impugnata, a base di ulteriori inferenze argomentative, come quelle relative al momento consumativo del reato di bancarotta fraudolenta, che il giudice del rinvio ha indebitamente individuato come reato-presupposto, in luogo del delitto di cui all’art. 646 cod. pen., e alla posteriorità del delitto di cui agli artt. 216-223 R.D. 16-3-1942 n 267 rispetto al reato di riciclaggio. La Corte di appello di Milano avrebbe dovuto limitarsi a trattare la problematica relativa al trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento al quantum della riduzione di pena ex art. 648-bis, comma 3 cod. pen., senza estendere la disamina ad ulteriori questioni sottratte all’area del sindacato devolutole. Se la Corte territoriale ha invece proceduto in tal senso, ciò ha costituito un errore e da un errore non può inferirsi alcuna valida conseguenza giuridica. 3. Dalle considerazioni appena formulate deriva la fondatezza del secondo motivo di ricorso. Abbiamo infatti già rilevato come la Corte di cassazione, all’esito del giudizio rescindente, avesse devoluto al giudice del rinvio una problematica molto ben delineata quella relativa alla quantificazione della riduzione di pena da applicare all’imputato ex art. 648-bis, comma 3, cod. pen. Che questa attenuante gli spettasse era questione che, essendo già stata decisa, in senso positivo, dalla Corte di cassazione, non poteva più essere posta in discussione nel giudizio di rinvio. D’altronde, il contrasto con la pronuncia emessa nei confronti di R.P. , che aveva attribuito al reato presupposto il nomen iuris di bancarotta fraudolenta per distrazione, non poteva certo risolversi in malam partem , portando a denegare l’attenuante di cui all’art. 648-bis, comma 3, cod. pen. al M. . Il conflitto logico di giudicati può infatti esplicare, nell’ottica delineata dall’art. 630 lett. a cod. proc. pen., esclusivamente effetti a favore del reo. Illegittimamente, quindi, la Corte d’appello ha negato al M. la diminuzione di pena ex art. 648-bis, comma 3, cod. pen. e ciò comporta la necessità di un nuovo pronunciamento di natura rescindente. 4. L’ultimo motivo di ricorso è infondato. Dalle considerazioni fin qui svolte deriva che ogni problematica diversa da quella afferente al trattamento sanzionatorio si collocava al di fuori dell’area della cognizione del giudizio di rinvio, così come individuata dalla sentenza rescindente. Era dunque preclusa in radice la possibilità di attribuire alla condotta del ricorrente il nomen iuris ex art. 648 ter 1 cod. pen. Anche questo profilo era stato infatti esaminato e deciso dalla Corte di cassazione, nella sentenza del 9-10-2014, la quale, come esattamente rilevato dalla Corte d’appello, nella pronuncia impugnata, aveva espressamente escluso che il M. potesse essere considerato concorrente nel reato presupposto, commesso dal R. , ai danni delle società del gruppo MQM”. La relativa problematica era pertanto preclusa nel giudizio di rinvio e, a maggior ragione, in questa sede. 5. La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano, limitatamente all’attenuante di cui all’art. 648 bis, comma 3, cod. pen. Il ricorso va rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano la sentenza impugnata, limitatamente all’attenuante di cui all’art. 648-bis, comma 3, cod. pen Rigetta nel resto il ricorso.