Se l'esercente di pubblico servizio rivela segreti d’ufficio...

I dipendenti di un ente o di una società concessionaria di un servizio di interesse pubblico vanno considerati incaricati di un pubblico servizio, in quanto concorrono allo svolgimento dell’attività ad esso connessa. Si configura, dunque, il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio previsto dall’art. 362 c.p. se, portando a conoscenza di una persona non autorizzata una notizia destinata a rimanere segreta, arrecano un danno alla pubblica amministrazione.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 36807/16, depositata il 5 settembre. Il caso. La Corte d’appello di Trieste in parziale riforma della decisione del Tribunale di Udine, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine ai fatti verificatisi tra il maggio e il novembre 2007, in quanto estinti per prescrizione, rideterminando la pena inflitta in ordine agli altri fatti contestati artt. 81, 326, commi 1 e 3, c.p. . Secondo i giudici di merito, il ricorrente, incaricato di un pubblico servizio nell’ambito di una struttura regionale del FVG, si avvaleva di alcune informazioni segrete relative alle verifiche regionali sulle attività formative svolte da società private, per poi riferirle all’amministratore e rappresentante di fatto di una società cooperativa allo scopo di procurare al predetto un indebito profitto patrimoniale, rappresentato dalla possibilità di evitare la revoca dei finanziamenti regionali erogati per le finalità formative di cui sopra. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato, lamentando, in sostanza, in violazione dell’art. 21, comma 2 e ss. c.p.p., l’incompetenza territoriale del Tribunale di Udine e la violazione della legge penale in relazione alla qualifica di incaricato di pubblico servizio in ragione del vincolo solo indiretto tra l’imputato e l’ente pubblico Regione. Le mansioni dell’imputato sarebbero solo d’ordine e senza autonomia discrezionale. Motivo generico. Per la Corte il ricorso è inammissibile. La prima doglianza infatti risulta generica in quanto, senza confrontarsi con la corretta risposta fornita dalla Corte, fa leva sulla condotta rivelatrice del ricorrente o sul momento di apprensione delle notizie e non considera il luogo nel quale le notizie illecitamente rivelate sono state oggetto di utilizzazione, cosi integrandosi l’ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 326 c.p. . Delitto di rivelazione di segreti d’ufficio. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato. Per la giurisprudenza della Corte, il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio previsto dall’art. 362 c.p., importa, per la sua configurabilità, sotto il profilo materiale, che sia portata a conoscenza di una persona non autorizzata una notizia destinata a rimanere segreta e si configura come un reato di pericolo, nel senso che sussiste sempre che dalla rivelazione del segreto possa derivare un danno alla pubblica amministrazione o a un terzo. Si è rimarcato che il delitto si configura come reato di pericolo effettivo e non meramente presunto tanto che la rivelazione del segreto è punibile non già di per sé, ma in quanto suscettibile di produrre un qualche nocumento agli interessi tutelati a mezzo della notizia da tenere segreta . Ha continuato la Corte affermando che il segreto di cui all’art. 326 c.p. deve riguardare notizie di ufficio”, concernenti, dunque, un atto o un fatto della pubblica amministrazione in senso lato nei diversi aspetti delle funzioni legislativa, giudiziaria o amministrativa . Ed ancora che i dipendenti di un ente o di una società concessionaria di un servizio di interesse pubblico vanno considerati incaricati di un pubblico servizio, in quanto concorrono allo svolgimento dell’attività ad esso connessa, a nulla rilevando la natura pubblica o privata dell’ente al quale questa attività sia riferibile. Ciò che rileva al fine è dunque che gli stessi, agendo nell’ambito di una funzione colorata da interessi pubblici, svolgano una funzione di carattere intellettivo, priva tuttavia di poteri autoritativi . Si è posta dunque nell’alveo di legittimità la Corte territoriale che ha ritenuto in capo al ricorrente la qualifica di esercente di pubblico servizio, rigettando l’analoga questione posta in appello, sul rilievo dell’autonomia professionale dello stesso ricorrente nell’ambito degli uffici regionali, nell’ambito dei quali predisponeva i programmi di verifica estraendo i dati dei soggetti da controllare e proponendo quelli da inviare ad effettuare il controllo. La Corte dichiara pertanto inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Penale Feriale, sentenza 1 settembre – 5 settembre 2016, n. 36807 Presidente Fumo – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Trieste - a seguito di gravame interposto dall’imputato B.S. e dal P.G. avverso la sentenza emessa il 18.6.2013 dal Tribunale di Udine - in parziale riforma della decisione ha dichiarato n.d.p. nei confronti del predetto imputato in ordine ai fatti verificatisi tra il maggio ed il novembre 2007, perché estinti per prescrizione, rideterminando la pena inflitta in ordine agli altri fatti contestati sub artt. 81, 326 commi 1 e 3 primo periodo cod. pen., sospensivamente condizionata. 2. Secondo il doppio conforme accertamento dei giudici di merito il ricorrente, incaricato di un pubblico servizio nell’ambito della struttura regionale del FVG, si avvaleva delle informazioni segrete relative alle verifiche regionali date e attitudini dei soggetti deputati sulle attività formative svolte da società private, rivelandole sistematicamente a Bl.Mi. ed alla Indar Formazione e sviluppo coop srl, società cooperativa con sede in XXXXX della quale il Bl. è amministratore e rappresentante di fatto, per procurare al predetto un indebito profitto patrimoniale rappresentato dalla possibilità di evitare la revoca dei finanziamenti regionali erogati per le predette finalità formative. 3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato che, a mezzo del difensore, deduce 3.1. Violazione dell’art. 21 comma 2 e ss. cod. proc. pen. in relazione alla eccepita incompetenza territoriale del Tribunale di Udine. Il luogo di consumazione del reato coinciderebbe con quello nel quale si è verificato l’illegittimo avvalimento delle notizie riservate, da identificarsi - secondo la stessa formulazione della imputazione - nel luogo in cui sono state rivelate dal B. le notizie riservate e non in quello in cui il BL. abbia fatto utilizzo delle stesse notizie. E non vi è dubbio che il luogo ove il B. ha appreso dette notizie è il proprio ufficio in XXXXXXX. In ogni caso, la competenza non apparterrebbe al Tribunale di Udine non essendo determinato il luogo di apprendimento delle notizie da parte del BL. , dovendosi far ricorso al criterio suppletivo ex art. 9 cod. proc. pen. costituito dal luogo di residenza dell’imputato, donde si radicherebbe la competenza del Tribunale di Gorizia. 3.2. Violazione della legge penale in relazione alla qualifica di incaricato di pubblico servizio in ragione del vincolo solo indiretto tra il B. e l’ente pubblico Regione e quello non definibile di dipendenza tra lo stesso B. ed Ecosfera. Le mansioni del B. sarebbero, poi, solo d’ordine e senza autonomia discrezionale, esulando da quelle dell’incaricato di pubblico servizio. 3.3. Violazione della legge penale e vizio della motivazione in relazione alla insussistenza dell’obbligo di segretezza della notizia, non essendo estesa la previsione della riservatezza ai contratti di lavoro a progetto e nel contratto di prestazione professionale intercorrenti tra il B. ed Ecosfera. In ogni caso, non si tratta di notizie per loro natura soggette ad obbligo di segreto, tenuto conto delle emergenze testimoniali provenienti dal teste S. e dalla mail della Z. , oltreché dalle normative delle altre regioni italiane che prevedono il preavviso del destinatario del controllo, come pure dal D.P.reg. 7/2008. 3.4. Violazione di legge penale art. 47 u.c., cod. pen. e vizio della motivazione in ordine alla natura dell’errore dell’imputato sulla sussistenza dell’obbligo di segretezza, trattandosi di ignoranza su normativa diversa e non richiamata nei contratti tra Ecosfera ed il B. , traducentesi in errore sul fatto costituente reato. 3.5. Violazione della legge penale e vizio della motivazione in ordine alla ipotesi di cui all’art. 326 comma 2 cod. pen., trattandosi di verifiche non riconducibili alla revoca o alla decadenza dal contributo. 3.6. Violazione della legge penale e vizio della motivazione in relazione alla insussistenza del concorso tra il reato p. e p. dall’art. 326, comma 1, cod. pen. e il reato previsto dall’art. 326 comma 3 cod. pen., non essendo individuabili due autonome condotte di rivelazione e di avvalimento della notizia. 3.7. Con motivi aggiunti si deduce la prescrizione per tutti gli episodi posti in continuazione - ad eccezione per quello intervenuto con le comunicazioni del 6,9 e 10 marzo 2009, con conseguente esclusione della pena inflitta a titolo di continuazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è generico. 2.1. La Corte territoriale ha rigettato l’analoga doglianza mossa in appello sul rilievo che - ritenuto più grave il reato di cui all’art. 326, comma 3, cod. proc. pen. - questo doveva ritenersi consumato in XXXXX, presso la sede della società del BL. ove le informazioni illecitamente divulgate dal ricorrente erano state utilizzate. 2.2. Pertanto, risulta generica la riproposizione della doglianza che senza confrontarsi con la corretta risposta fornita dalla Corte - fa nuovamente leva sulla condotta rivelatrice del ricorrente o sul momento di apprensione delle notizie e non considera il luogo nel quale le notizie illecitamente rivelate sono state oggetto di utilizzazione, così integrandosi la ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 326 cod. pen 3. Il secondo motivo è manifestamente infondato. 3.1. Per la giurisprudenza di questa Corte da ultimo vedi Sez. U, Sentenza n. 4694 del 27/10/2011, Rv. 251271 il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio previsto dall’art. 326 c.p., comma 1, importa per la sua configurabilità sotto il profilo materiale che sia portata a conoscenza di una persona non autorizzata una notizia destinata a rimanere segreta e si configura come un reato di pericolo, nel senso che sussiste sempre che dalla rivelazione del segreto possa derivare una danno alla pubblica amministrazione o a un terzo. Si è rimarcato che il delitto si configura come reato di pericolo effettivo e non meramente presunto, tanto è vero che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre un qualche nocumento agli interessi tutelati a mezzo della notizia da tenere segreta. Si è altresì rilevato cfr Sez. 6 n. 36357/04 che l’elemento distintivo del reato in disamina per differenziarlo da altre condotte che si concretano comunque in una rivelazione di notizie riservate, va identificato in base alla ratio incriminatrice, id est la tutela della pubblica amministrazione il segreto, di cui è interdetta la divulgazione, preso in considerazione dall’art. 326 c.p., deve riguardare notizie di ufficio , concernenti, dunque un atto o un fatto della pubblica amministrazione in senso lato nei diversi aspetti delle funzioni legislativa, giudiziaria o amministrativa stricto iure. Ciò precisato, va poi rimarcato che quello legato alle comunicazioni mantiene i connotati propri del servizio di pubblico interesse, essendo indifferente che allo svolgimento dello stesso concorrano, anche in via non esclusiva, enti ed imprese concessionarie aventi natura privata ed ancora che i dipendenti di un ente o di una società concessionaria, anche in via non esclusiva, di un servizio di interesse pubblico, vanno considerati incaricati di un pubblico servizio, in quanto concorrono allo svolgimento dell’attività ad esso connessa, a nulla rilevando la natura pubblica o privata dell’ente o dell’imprenditore al quale questa attività sia riferibile da ultimo Sez. 6, n. 37099 del 19/07/2012, Rv. 253477 . Ciò che rileva al fine è che gli stessi, agendo nell’ambito di una funzione comunque colorata da interessi pubblici, svolgano una attività di carattere intellettivo con esclusione dunque delle semplici mansioni d’ordine e delle prestazioni d’opera meramente materiale priva tuttavia dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione in relazione alla quale si pongono in termini di complementarietà e accessorietà. 3.2. Si è posta nell’alveo di legittimità richiamato la Corte territoriale che ha ritenuto in capo al ricorrente la qualifica di esercente di pubblico servizio rigettando l’analoga questione posta in appello, sul rilievo della autonomia professionale dello stesso ricorrente nell’ambito degli uffici regionali, nell’ambito dei quali predisponeva i programmi di verifica estraendo i dati dei soggetti da controllare e proponendo quelli da inviare ad effettuare il controllo. 4. Il terzo motivo è manifestamente infondato, quando non generico allorquando si limita a riproporre questioni già risolte dal giudice di merito. 4.1. Ai fini della configurabilità del delitto di rivelazione di segreti d’ufficio, il dovere del segreto, cui è astretto il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, deve derivare da una legge, da un regolamento, da una consuetudine, ovvero dalla natura stessa della notizia che può recar danno alla p.a. Sez. 6, n. 12389 del 06/02/1990 Caramellino Rv. 185331 . 4.2. Si è posta nell’alveo di legittimità richiamato la Corte territoriale che ha affermato la natura segreta delle informazioni relative al calendario dei controlli ed alle persone che li dovevano eseguirei propalate dal ricorrente desumendola dagli obblighi contrattuali della società Ecosfera e dalla natura stessa di tali informazioni, posto che nell’intento della PA che predisponeva i controlli essi erano volti a verificare che i corsi finanziati con fondi europei si volgessero regolarmente. Escludendo correttamente che i controlli audit oggetto della testimonianza del teste della difesa S. fossero quelli di cui alla imputazione ritenendo irrilevante la diversa normativa esistente per altre regioni nonché la prassi emergente dalla mail esibita dalla difesa, riconducibile a diversa tipologia di controlli. 5. Il quarto motivo è manifestamente infondato, quando non genericamente proposto. 5.1. L’errore sul fatto che, ai sensi dell’art. 47 cod. pen., esime dalla punibilità, è quello che cade su un elemento materiale del reato e che consiste in una difettosa percezione o in una difettosa ricognizione della percezione che alteri il presupposto del processo volitivo, indirizzandolo verso una condotta viziata alla base mentre, se la realtà è stata esattamente percepita nel suo concreto essere, non v’è errore sul fatto, bensì errore sull’interpretazione tecnica della realtà percepita e sulle norme che la disciplinano, ininfluente ai fini dell’applicazione della citata disposizione. Sez. 6, n. 32329 del 25/06/2010, Sakellariou, Rv. 248092 . 5.2. La Corte territoriale ha, pertanto, correttamente escluso l’errore scusabile del ricorrente sul rilievo del livello delle sue mansioni svolte nell’ambito del rapporto con la Regione ed avendo ad oggetto una norma integratrice del precetto penale, come tale irrilevante, rilevando altresì ed incensurabilmente - la esplicitazione della consapevolezza dell’illiceità delle comunicazioni tra il ricorrente ed il BL. manifestata nel corso delle conversazioni captate. 6. Il quinto motivo è manifestamente infondato e, comunque, generico. 6.1. La Corte territoriale - con accertamento privo di vizi logici e giuridici - ha affermato la sussistenza della finalità prevista dalla ipotesi di cui all’art. 326 comma 3 cod. pen., in ragione delle irregolarità nella tenuta della documentazione che potevano determinare la revoca del finanziamento, così giustificando la rilevanza della anticipata conoscenza dei controlli. 7. Il sesto motivo è manifestamente infondato, quando non generico posto che è stato già affermato che nel reato di utilizzazione di notizie acquisite per ragioni di ufficio, il profitto non patrimoniale perseguito può essere integrato anche dall’utilità consistente nel consentire a terzi l’elusione di controlli previsti dalla legge Sez. 6, n. 9726 del 21/02/2013, Carta e altro, Rv. 254596 e la doglianza non tiene conto della accertata duplice condotta di rivelazione ed utilizzazione delle notizie riservate. 8. L’inammissibilità della impugnazione - come è noto - preclude il rilievo della prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata. 9. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.