No all’affidamento in prova al servizio sociale in caso di contatti con pregiudicati

La Cassazione risolve una questione proposta in tema di affidamento in prova chiarendo il rapporto esistente tra la personalità del condannato ed il rischio di essere coinvolto in ambiti controindicati.

Lo fa con la sentenza n. 26317 depositata il 23 giugno 2016. Affidamento in prova al servizio sociale. Secondo gli Ermellini l’affidamento in prova al servizio sociale presuppone la formulazione di un giudizio prognostico circa un positivo reinserimento del condannato nel contesto sociale e circa l’inidoneità della misura alla completa emenda del condannato. Si chiarisce, inoltre, che, sebbene l’art. 47 Ordinamento Penitenziario non richieda l’esistenza di una ben individuata attività lavorativa, lo svolgimento di un lavoro risulta fattore estremamente utile per l’effetto rieducativo allo stesso riconosciuto. Istanza di beneficio presso un’attività commerciale. I Giudici di Piazza Cavour proseguono evidenziando che ai fini della concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, attesa l’ampiezza del beneficio, è richiesto che il relativo provvedimento contribuisca alla rieducazione del reo . Come si legge nella sentenza, ne consegue che importanza non secondaria va riconosciuta alla circostanza che il condannato abbia garantita un’attività lavorativa che lo sostenga anche materialmente, allontanandolo da ogni devianza. Nel caso di specie il Tribunale di Sorveglianza territoriale esaminava le richieste di affidamento in prova al servizio sociale o di detenzione domiciliare avanzate dal ricorrente, condannato alla pena di due anni e sei mesi di reclusione. Lo stesso ricorrente aveva prospettato, a supporto della sua istanza di beneficio, un’attività risocializzante di tipo lavorativo presso un esercizio commerciale. Tuttavia gli accertamenti disposti avevano disvelato che il predetto bar era gestito da una coppia di coniugi, entrambi con pendenze giudiziarie gravi. Per questo motivo il Tribunale di Sorveglianza riteneva di non poter concedere il richiesto affidamento in prova al servizio sociale perché la prestazione lavorativa non determinava un reale progetto riabilitativo mentre l’istanza di detenzione domiciliare andava dichiarata inammissibile per l’entità della pena da espiare, superiore alla soglia di legge. Avverso l’ordinanza il condannato proponeva ricorso per cassazione, concentrando le proprie doglianze sulla valutazione compiuta dai giudici non in relazione alla personalità del condannato, ma soltanto in relazione alla negatività della situazione lavorativa che non era a lui addebitabile. Rischio concreto di coinvolgimento delinquenziali. Infatti, la condotta del condannato dopo il reato era stata ineccepibile ed inoltre egli aveva chiesto ai datori di lavoro se avessero pendenze giudiziarie ricevendo risposta negativa. In realtà, quest’ultimo aspetto è quello decisivo secondo i Giudici di legittimità. Infatti la fattispecie in esame prospetta un’attività risocializzante, per la persona gravata da un precedente penale affatto lieve, che la porrebbe a contatto continuo con persone gravate da pregiudizi penali di rilevante spessore, con rischio concreto di coinvolgimento in ambiti delinquenziali, anche di natura mafiosa. I Giudici della Corte di Cassazione non possono fare a meno di dichiarare l’infondatezza del ricorso e il suo rigetto. Infatti, il provvedimento impugnato ha correttamente fatto uso dei principi applicativi relativi alla materia in esame che vengono riconfermati dagli stessi Giudici del Palazzaccio in base ai quali l’affidamento in prova non può essere accordato quando le modalità e le circostanza relative al lavoro, cui il condannato dovrebbe accingersi, non siano tali da assicurare la sua rieducazione o appaiano addirittura diseducative, per come sarebbe in caso di frequentazione di pregiudicati connessa con l’attività da intraprendere. In buona sostanza il Tribunale di Sorveglianza non ha attribuito al ricorrente connotazioni negative riferibili a terze persone né ha trascurato di considerare l’effetto risocializzante e positivo che la prospettiva lavorativa dovrebbe svolgere sul medesimo. Al contrario – sostengono i Giudici della Corte di Cassazione – ha operato una corretta comparazione tra la personalità del condannato ed il rischio di essere coinvolto in ambiti controindicati. Da qui il rigetto del ricorso la condanna al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 1 aprile – 23 giugno 2016, n. 26317 Presidente Siotto – Relatore Minchella Rilevato in fatto Con ordinanza in data 05.02.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Napoli esaminava le richieste di affidamento in prova al servizio sociale o di detenzione domiciliare avanzate da V.S., condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione con sentenza in data 18.01.2010 del Tribunale di Napoli per i reati di cui agli artt. 453 e 459 cod.pen. Rilevava il Giudice che il V. aveva prospettato, a supporto della sua istanza di beneficio, una attività risocializzante di tipo lavorativo presso un esercizio commerciale ma gli accertamenti disposti avevano disvelato che il predetto bar era gestito dai coniugi C.A. e Z.S., entrambi gravati da pendenze giudiziarie più nel dettaglio, la C. era stata attinta nell'anno 2013 da ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Napoli per assocìazione per delinquere di tipo mafioso, tentata estorsione e corruzione aggravati dall'art. 7 del D.L. n° 152/1991 nonché denunziata per frode informatica collocazione di slot machines illegali nel bar , mentre Z.S. era detenuto quale condannato in secondo grado per associazione diretta al traffico di sostanze stupefacenti aggravata dall'art. 7 del D.L. n° 152/1991 nonché attinto nell'anno 2013 da ordinanza di custodia cautelare emessa dai GIP del Tribunale di Napoli per associazione per delinquere di tipo mafioso nonché attinto ancora nell'anno 2013 da ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Napoli per associazione per delinquere di tipo mafioso, tentata estorsione e corruzione aggravati dall'art. 7 del D.L. n° 152/1991 nonché gravato da precedenti penali per ricetta1ione, falsità, associazione diretta al traffico di sostanze stupefacenti ed altro. Il Tribunale di Sorveglianza riteneva che non poteva concedersi il richiesto affidamento in prova al servizio sociale perché la prospettazione lavorativa non determinava un reale progetto riabilitativo mentre l'istanza di detenzione domiciliare andava dichiarata inammissibile per l'entità della pena espianda, superiore alla soglia di legge. Avverso detta ordinanza propone ricorso il condannato a mezzo del suo difensore, deducendo erronea applicazione di legge poichè l'istanza ex art. 47 O.P. sarebbe stata valutata non in relazione alla personalità del condannato, ma soltanto in relazione alla negatività della situazione lavorativa, che non era a lui addebitabile si sostiene che la condotta del condannato dopo il reato è stata ineccepibile, che egli aveva chiesto ai datori di lavoro se avessero pendenze giudiziarie e ne aveva avuta risposta negativa, che egli ha bisogno di lavorare per il suo carico familiare si richiama la giurisprudenza della Corte Suprema che sottolinea la rilevanza dell'esame della condotta e della personalità del condannato ai fini di una istanza di benefici penitenziari si fa presente che il V. aveva successivamente reperito altra disponibilità lavorativa. Come secondo motivo si deduce illogicità della motivazione perché il rigetto non avrebbe evidenziato il concreto pregiudizio del V. circa il suo progetto rieducativo causato dalla condotta di terzi né avrebbe operato una comparazione tra i dati negativi dei datori di lavoro e quelli positivi del condannato. Il PG chiede il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso va rigettato poiché infondato. Occorre precisare che il ricorrente limita le sue doglianze alla istanza di concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale, e questo sarà dunque l'ambito argomentativo. La richiesta del V. è relativa ad una pena detentiva espianda ed è tesa ad ottenere la più ampia misura alternativa il progetto di risocializzazione sul quale poggia l'istanza medesima è dì tipo lavorativo è stata prospettata una attività lavorativa presso un esercizio commerciale, ma gli accertamenti di polizia hanno posto in evidenza che l'esercizio commerciale in questione è gestito da persone che annoverano pregiudizi di polizia e pregiudizi penali per delitti anche gravissimi è appena il caso di rammentare i delitti di cui all'art. 416 bis cod. pen. e il delitto di cui all'art. 74 del DPR n° 309/1990 peraltro, si tratta di persone tuttora sottoposte ad indagini o, addirittura a misure cautelari inframurarie. Sulla scorta di questi dati, il Tribunale di Sorveglianza di Napoli ha ritenuto essere del tutto inidonea la prospettiva lavorativa indicata dal ricorrente, così rigettando, di conseguenza, l'istanza del medesimo. II ricorrente si duole di questa decisione, deducendo, sostanzialmente, la non attribuibilità alla sua persona della connotazione negativa del lavoro indicato e il pregiudizio sorto dalla decisione impugnata. Ma si tratta di doglianze che non possono trovare accoglimento, proprio per la natura del beneficio penitenziario richiesto. L'affidamento in prova al servizio sociale presuppone la formulazione di un giudizio prognostico circa un positivo reinserimento del condannato nel contesto sociale e circa l'idoneità della misura alla completa emenda del condannato Sebbene l'art. 47 O.P. non richieda, a condizione di ammissibilità, l'esistenza di una ben individuata attività lavorativa, tuttavia il Collegio aderisce agli arresti giurisprudenziali che hanno ritenuto lo svolgimento di un lavoro come fattore estremamente utile per l'effetto rieducativo allo stesso riconosciuto Sez. 3, 13.08.1988 n. 5987 . Ai fini della concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale, attesa l'ampiezza del beneficio, è richiesto che il relativo provvedimento contribuisca alla rieducazione del reo ne deriva, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, che importanza non secondaria va riconosciuta alla circostanza che il condannato abbia garantita un'attività lavorativa che lo sostenga anche materialmente, allontanandolo da ogni devianza Sez. 1, 15.07.1995.n. 980 . La fattispecie in esame verte in tema di concessione di un affidamento in prova che dovrebbe essere fruito da una persona gravata da un precedente penale affatto lieve, la quale prospetta un'attività risocializzante che la porrebbe a contatto continuo con persone gravate da pregiudizi penali di rilevante spessore, con rischio concreto di coinvolgimento in ambiti delinquenziali, anche di natura mafiosa. Il provvedimento impugnato, dunque, ha correttamente fatto uso dei principi applicativi relativi alla materia in esame, riconnettendosi ad un consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale l'affidamento in prova non può essere accordato quando le modalità e le circostanze relative al lavoro, cui il condannato dovrebbe accingersi, non siano tali da assicurare la sua rieducazione o appaiano addirittura diseducative, per come sarebbe in caso di frequentazione di pregiudicati connessa con l'attività lavorativa da intraprendere Sez. 1 13.02.1992 n. 4948 . Il Tribunale di Sorveglianza non ha quindi attribuito al V. connotazioni negative riferibili a terze persone né ha trascurato di considerare l'effetto risocializzante e positivo che la prospettiva lavorativa dovrebbe svolgere sul medesimo al contrario, ha operato una corretta comparazione tra la personalità del condannato ed il rischio - al quale il lavoro indicato lo esporrebbe - di essere coinvolto in ambiti controindicati. Infine, del tutto impropria è la produzione di documentazione - effettuata con il ricorso - relativa ad una nuova prospettiva lavorativa alla quale il condannato potrebbe dedicarsi si tratta di una valutazione eminentemente di merito e sottratta alla sede di legittimità, che può costituire eventualmente base di una nuova richiesta del condannato al Giudice competente. Il ricorso va dunque rigettato e, di conseguenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.