Accusa il marito di violenza privata sulla figlia minore, ma dichiara il falso

Viene condannata in appello per calunnia ai danni del coniuge, che accusa di violenza privata aggravata ai danni della figlia minore.

Con sentenza n. 20269/16 depositata il 16 maggio, la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Il caso. L’imputata propone ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila che aveva confermato nei suoi confronti la sentenza di primo grado con la quale la stessa era stata condannata alla pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione per il reato di calunnia, avendo falsamente incolpato il coniuge di fatti di violenza privata aggravata ai danni della figlia minore. Il difensore ha dedotto diversi motivi di ricorso. Sostanzialmente la ricorrente lamenta il mancato riconoscimento di un congruo termine a difesa l’omessa motivazione della sentenza circa il rigetto della istanza di rinnovazione del dibattimento per l’effettuazione di un confronto tra l’incolpato e a minore la mancanza di indicazione sull’esistenza dell’elemento soggettivo del reato, dato che l’imputata aveva riferito del trattenimento della figlia nei termini che le erano stati riferiti da quest’ultima. Titoletto . La sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Solo il quarto motivo è da ritenersi fondato. La sentenza di appello ha evidentemente confuso la questione dell’esistenza dei presupposti di fatto e quindi della regolarità dell’intervento del coniuge nel fermare la minore con quello, palesemente del tutto diverso, dell’esistenza della necessaria consapevolezza, da parte dell’imputata, della falsità del fatto addebitato all’incolpato e cioè del reato di violenza privata aggravata ai danni della minore stessa, ipoteticamente commesso nel corso di attività di controllo. La motivazione della sentenza impugnata è totalmente deficitaria sul punto e vanifica le poche e non pertinenti osservazioni con le quali la Corte di merito ha ritenuto di giustificare l’esistenza dell’effettiva consapevolezza della falsità dell’addebito mosso dall’imputata al coniuge.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 aprile – 16 maggio 2016, n. 20269 Presidente Ippolito – Relatore Gianesini Ritenuto in fatto 1. Il difensore di M.S. ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte di Appello di L'AQUILA ha confermato nei suoi confronti la sentenza di primo grado che aveva condannato l'imputata alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione per il reato di calunnia per avere falsamente incolpato G.M. di fatti di violenza privata aggravata ai danni della figlia minore. 2. I difensore ha dedotto diversi motivi di ricorso. 2.1 Con il primo motivo, il ricorrente ha sostenuto la nullità della sentenza a causa della partecipazione all'udienza di un Vice Procuratore Onorario in luogo del Pubblico ministero togato, in violazione di quanto disposto dall'art. 72 dell’Ordinamento Giudiziario. 2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento di un congruo termine a difesa all'udienza del 17 dicembre 2013, quando il difensore ricorrente era stato nominato in luogo del precedente difensore che aveva rinunciato all'incarico e il Giudice aveva assegnato un termine temporalmente ristretto e quindi inidoneo per la conoscenza degli atti e la predisposizione di una effettiva attività difensiva. 2.3 Con il terzo e quarto motivo il ricorrente ha lamentato, come aveva fatto anche con i motivi di appello, che la sentenza impugnata avesse omesso di motivare circa il rigetto della istanza di rinnovazione del dibattimento per la effettuazione di un confronto tra il M. e la minore. 2.4 Con il quarto motivo, il ricorrente ha criticato la motivazione della sentenza impugnata sul punto della sostanziale mancanza di indicazione sulla esistenza dell'elemento soggettivo del reato dato che l'imputata aveva riferito del trattenimento della figlia nei termini che le erano stati riferiti da quest'utima. 2.5 Infine il ricorrente, con il quinto motivo, ha segnalato la sostanziale inattendibilità di un teste presente ai fatti, inattendibilità peraltro già messa in rilevo dalla motivazione della sentenza oggetto di ricorso e, con il sesto, ha criticato la motivazione in tema di entità del risarcimento dei danni, che avrebbe dovuto essere ridotta a seguito della assoluzione dibattimentale del coimputato B Considerato in diritto 1. La sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. 1.2 In merito alla questione sollevata con il primo motivo di ricorso, non possono che essere ripetute in questa sede, richiamando le correlative citazioni giurisprudenziali, le argomentazioni svolte nella motivazione della sentenza impugnata motivazioni che non hanno costituito oggetto di specifica confutazione argomentativa da parte del ricorrente dove si è ricordato che la partecipazione al processo per lo svolgimento delle funzioni del pubblico ministero al di fuori dei casi previsti dall'art. 72 dell' Ordinamento giudiziario, costituisce una semplice irregolarità, non influendo sulla regolare costituzione delle parti, e non determina alcuna nullità della sentenza. 1.3 Identica valutazione va fatta per quanto attiene alla mancata concessione di un adeguato termine a difesa la sentenza impugnata ha congruamente motivato, richiamando anche in questo caso le relative pronunce di legittimità, circa la qualificazione in termini di nullità generale a regime intermedio della omissione lamentata dal ricorrente, nullità quindi che doveva essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all'art. 182, comma 2 cod. proc. pen., e quindi al più tardi dopo il provvedimento che aveva rigettato la richiesta anche su questo punto, il ricorso si è limitato a riproporre, senza reale confutazione della motivazione della Corte, quanto sostenuto infruttuosamente nel precedente giudizio di merito. 1.4 In merito al terzo motivo di ricorso, va riconosciuto che nessuna delle due sentenze di merito ha speso parole per negare la rilevanza del confronto richiesto tra il M. e la minore l'articolazione concreta della motivazione dà comunque ragione, in fatto, della non necessità dell'espletamento di detto atto istruttorio, tanto più che, come è noto, il confronto, secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità riferita all'art. 211 cod. proc. pen., non costituisce adempimento di cui sia imposta obbligatoriamente l'effettuazione in quanto, a fronte di contrastanti versioni fornite dai dichiaranti, spetta al giudice apprezzare il grado di attendibilità dell'una piuttosto che dell'altra dichiarazione così, da ultimo, e a conclusione di un iter giurisprudenziale conforme, Cass, sez. 1, n. 40290 del 26 giugno 2013, Giannizzari, Rv 257247 . 1.5 Il quarto motivo di ricorso è invece del tutto fondato la sentenza di appello e ancor più quella di primo grado hanno evidentemente confuso la questione della esistenza dei presupposti di fatto e quindi della regolarità sostanziale dell'intervento del M. nel fermare la minore e degli adempimenti operativi immediatamente successivi, con quello, palesemente del tutto diverso e che costituisce l'oggetto specifico dell'accertamento giudiziale, della esistenza della necessaria consapevolezza, da parte dell'imputata, della falsità del fatto addebitato al M., e cioè, come si esprime l'imputazione, del reato di violenza privata aggravata ai danni della stessa minore ipoteticamente commesso nel corso delle attività di controllo sopra ricordate. Nella prospettiva argomentativa di cui sopra, non si comprende che rilievo possa avere, in termini di prova della consapevolezza della falsità dell'addebito, l'osservazione della Corte territoriale secondo la quale l'imputata, giunta sul posto, aveva potuto constatare che la figlia minore si trovava sul mezzo munito di chiavi e non privo delle stesse e pertanto di apprezzare la correttezza dell'operato del M. dato che, lo si ripete, la Corte di merito avrebbe invece dovuto soffermarsi a spiegare per quali ragioni si era ritenuto che la madre della minore, la S., avesse, al momento della presentazione della denuncia presso la Procura della Repubblica di SULMONA, la positiva e certa consapevolezza della falsità dell'addebito di violenza privata nei confronti della figlia minore mosso al M La motivazione della sentenza impugnata è totalmente deficitaria sul punto sopra indicato ed anzi le circostanze di fatto accertate nei giudizi di merito, prima tra tutte quella secondo la quale l'imputata non era presente ai fatti ed aveva avuto notizia degli stessi esclusivamente dalla figlia, vanifica ancor più radicalmente le poche e non pertinenti osservazioni con le quali la Corte di L'AQUILA ha ritenuto di giustificare l'esistenza della effettiva consapevolezza della falsità dell'addebito mosso dall'imputata al M P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.