La nozione di abitazione comprende anche le strette pertinenze

In tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli effetti dell'art. 385 c.p., deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà.

Lo ha ribadito la Sesta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19126, depositata il 9 maggio 2016. Le condizioni di applicabilità delle misure cautelari personali Differenti sono i presupposti delle misure cautelari, da un lato, e l’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza, dall’altro. Come è noto, le misure cautelari personali siano esse coercitive o interdittive possono essere applicate soltanto in presenza di determinati presupposti. Oltre alla gravità del delitto, è infatti necessario che ricorra almeno una delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. pericolo di inquinamento probatorio pericolo di fuga pericolo di reiterazione dei reati , ma soprattutto che – secondo una valutazione operata dal Giudice allo stato degli atti – sussistano i gravi indizi di colpevolezza, nel senso dell’alta probabilità di commissione del reato, in un quadro che tenga però conto della naturale incompletezza delle indagini e di prevedibili ulteriori acquisizioni istruttorie. e i diversi presupposti dell’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza. Il diniego della sostituzione della custodia cautelare in carcere con quella in luogo di cura, prevista dall’art. 286 c.p.p., nei confronti di soggetto ritenuto affetto da infermità di mente non può essere giustificato sulla base della ritenuta pericolosità sociale del soggetto medesimo giacché, ove tale pericolosità sussista, il rimedio apprestato dall'ordinamento è quello dell'applicazione provvisoria, ai sensi dell’art. 312 c.p.p., della opportuna misura di sicurezza. Le conseguenze della scadenza del termine di durata massima di custodia cautelare. La scadenza del termine di durata massima della custodia cautelare determina l’estinzione della misura cautelare personale originariamente applicata. Tale termine può peraltro essere prorogato, purché ciò avvenga senza superamento del termine complessivo di durata di cui all’art. 303, comma quarto, c.p.p La proroga ricorre, in primo luogo, nel caso di necessità di una perizia mentale sulla persona dell’imputato richiedibile in ogni stato e grado del procedimento inoltre, nell’ipotesi di richiesta del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. Tale richiesta, tuttavia, è ammessa una sola volta, e purché non siano superati di oltre metà i termini di fase di durata della custodia cautelare. Sempre nel caso di richiesta di proroga da parte del pubblico ministero durante le indagini preliminari, essa è peraltro ammessa solo se, cumulativamente, ricorrono gravi esigenze cautelari, se i termini sono prossimi alla scadenza e se le indagini risultano particolarmente complesse, nonché qualora nuove indagini siano richieste dall’indagato ex art. 415 bis, comma quarto, c.p.p La non punibilità per particolare tenuità del fatto. La sentenza in commento si sofferma anche sul nuovo istituto previsto dall’art. 131 bis c.p. L'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui al suddetto articolo, ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare di ufficio ex art. 609, comma 2, c.p.p., la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, dovendo peraltro limitarsi, attesa la natura del giudizio di legittimità, ad un vaglio di astratta non incompatibilità della fattispecie concreta come risultante dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali con i requisiti ed i criteri indicati dal predetto art. 131- bis . Ancora, di recente, la Suprema Corte ha ribadito che l'istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131- bis c.p., va applicato ogniqualvolta risulti palese, dalla sentenza impugnata la ricorrenza dei presupposti oggettivi e soggettivi formali della stessa, e un apprezzamento del giudice di merito che consenta di ritenere coerente la conclusione che il caso di specie debba essere ricondotto alla previsione di cui al predetto articolo. Nello specifico, il giudizio di particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 131- bis c.p., deve essere effettuato prendendo in considerazione le modalità della condotta, l'esiguità dei danno e la non abitualità dei comportamento, i primi due elementi da valutarsi secondo i criteri di cui all'art. 133 c.p. Si tratta quindi di una valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 marzo – 9 maggio 2016, n. 19126 Presidente Paoloni – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento che si impugna, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del 9 dicembre 2009, con la quale il Tribunale di Castrovillari ha condannato C.D. alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione per il reato di evasione dagli arresti domiciliari commesso il 26 settembre 2009 . Il Giudice d’appello ha rilevato che il reato in contestazione risulta compiutamente integrato, dal momento che C. si allontanava dal domicilio in assenza di autorizzazione dell’A.G. - della cui necessità aveva piena contezza -, per fare fronte ad esigenze non inderogabili, non dimostrate e comunque tali da poter essere soddisfatte anche da altri conviventi, pertanto in difetto dei presupposti dell’invocata causa di giustificazione. 2. Nel ricorso proposto personalmente, Domenico C. chiede che la sentenza sia cassata per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere la Corte ritenuto integrato il reato di evasione sebbene la condotta posta in essere non possa ritenersi incompatibile con la misura detentiva inframuraria cui era sottoposto. Evidenzia il ricorrente come, all’atto del controllo di Polizia, egli indossasse un pigiama, segno inconfutabile della volontà di fare immediatamente rientro nella propria abitazione come il luogo ove egli veniva fermato, oltre ad essere recintato con ampie ed elevate inferriate - che appunto separano le aree interne del parco condominiale dal tratto stradale cittadino -, possa considerarsi pertinenza dell’abitazione, in quanto strettamente funzionale alle singole dimore dello stabile, essendo adibita alla raccolta dei rifiuti delle famiglie ivi residenti come, ad ogni modo, la condotta risulti inidonea a ledere l’interesse giuridico protetto dalla norma, là dove il comportamento dell’imputato non era volto ad eludere né ad ostacolare il controllo della Polizia. In via gradata, il ricorrente invoca l’applicazione dell’esimente prevista dall’art. 47 cod. pen., trattandosi di condotta viziata alla base da un errore sul fatto concernente un elemento materiale del reato, essendosi C. limitato ad adempiere ad un onere indifferibile della routine domestica, non potendo fare affidamento su nessun familiare presente al momento. 3. Nella memoria depositata in cancelleria nell’interesse di C.D. , il difensore Avv. Dario Migliore ha insistito per l’accoglimento del ricorso, evidenziando come il reato non possa ritenersi integrato dal momento che il cortile dell’abitazione va considerato luogo ove ordinariamente si realizza la vita domestica. In subordine, il patrono ha sollecitato l’applicazione della causa di non punibilità dell’art. 131-bis cod. pen Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato con riguardo al motivo dedotto in via subordinata nella memoria depositata in cancelleria e rinnovato dal difensore del C. all’odierna udienza, risultando sussistenti i presupposti della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen 2. È destituito di fondamento il primo motivo, con il quale il ricorrente contesta la materialità del reato di evasione. Costituisce principio di diritto ormai acquisito quello alla stregua del quale lo spazio condominiale non può considerarsi quale pertinenza , nell’ambito della quale è consentita libertà di movimento del soggetto sottoposto alla misura degli arresti domiciliari. Ed invero, come questa Corte ha anche di recente ribadito, agli effetti dell’art. 385 cod. pen., per abitazione deve intendersi il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà In motivazione, la S.C. ha precisato che il fine primario e sostanziale della misura coercitiva degli arresti domiciliari è quello di impedire i contatti con l’esterno ed il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni Sez. 6, n. 4830 del 21/10/2014 - dep. 02/02/2015, P.M. in proc. Capkevica, Rv. 262155 . 3. D’altra parte, non ricorrono le condizioni perché possa darsi applicazione all’esimente contemplata dall’art. 47 cod. pen., là dove - contrariamente a quanto assume il ricorrente -, nella specie, viene in rilievo un errore non di fatto, bensì sulla legge penale - segnatamente sull’ambito del divieto di allontanamento dal proprio domicilio in regime di arresti domiciliari e sulla punibilità della relativa inosservanza, come disciplinati dalle norme penali, sostanziale e processuale -, in quanto tale, inescusabile. 4. Come anticipato, ricorrono i presupposti dell’ipotesi di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotta all’art. 131-bis cod. pen 4.1. Come si è condivisibilmente osservato in dottrina prendendo spunto dai principi fissati in passato dal Giudice delle leggi, la previsione della nuova causa di non punibilità realizza un ragionevole contemperamento fra il principio di obbligatorietà dell’azione penale fissato all’art. 112 Cost. e la pluralità di interessi costituzionali concorrenti, quali la tutela della libertà personale, il principio della responsabilità penale personale, la finalità rieducativa della pena, come strumento per rendere effettiva l’eguaglianza fra i cittadini là dove, secondo la Corte costituzionale L’uguaglianza di fronte alla pena viene a significare, in definitiva, proporzione della pena rispetto alle personali responsabilità e alle esigenze di risposta che ne conseguono, svolgendo una funzione che è essenzialmente di giustizia e anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potestà punitiva statuale così C. cost. sent. 15-24/06/1992, n. 299 nonché l’esigenza di garantire la ragionevole durata dei processi , assicurabile anche mediante una deflazione del carico giudiziario dai fatti bagatellari. Il legislatore ha dunque rimesso al prudente apprezzamento del giudice la verifica in merito alla offensività in concreto della condotta, così da lasciare esente da responsabilità quei fatti connotati da uno scarso disvalore. Accanto all’istituto del reato impossibile contemplato dall’art. 49, comma 2, cod. pen. - teso a sottrarre da sanzione penale i fatti sguarniti di offensività -, il sistema penale si è arricchito di un nuovo strumento volto a deflazionare la risposta giudiziaria in relazione a tutti quei fatti che, seppure non radicalmente inoffensivi, realizzino una lesione del bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice di minima gravità, previsione normativa che andrà inevitabilmente ad abbracciare quelle situazioni che, in via interpretativa, si erano fatte rientrare nell’alveo dell’art. 49 cod. pen. Si pensi, ad esempio, al caso della coltivazione di piante da cui possono ricavarsi sostante stupefacenti inoffensiva , affrontato dalla Corte Costituzionale nelle decisioni n. 360/1995 e n. 296/1996 e da questa Corte nel suo più ampio concesso Sez. U n. 28605, del 24/04/2008 - dep. 10/07/2008, Di Salvia, Rv. 239921 . 4.2. Tanto premesso in linea teorica, ritiene il Collegio che, nel caso di specie, ricorrano i presupposti per applicare l’istituto. 4.3. Sotto un primo aspetto, mette conto rilevare che si tratta di reato per il quale è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, che il fatto non appare caratterizzato dai motivi delineati al comma 2 della disposizione, né risulta commesso da soggetto dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza o che abbia commesso più reati della stessa indole , e che il reato non pare connotato da abitualità, dovendosi ritenere tale giusta la previsione del comma 3 - quello che si articoli in condotte plurime, abituali e reiterate . Ed invero, da quanto si evince dalla lettura delle sentenze di primo e di secondo grado, si tratta di una violazione alle prescrizioni connesse alla misura degli arresti domiciliari del tutto episodica ed isolata, né risultando che C. abbia commesso altri reati della stessa indole . Siffatta condizione può infatti dirsi integrata - mutando i principi già affermati da questa Suprema Corte allorquando si tratti di condotte che siano lesive del medesimo bene giuridico tutelato dalla disposizione di cui all’art. 385 cod. pen. - id est l’amministrazione della giustizia -, ovvero che, avendo riguardo al caso concreto, presentino caratteri fondamentali comuni, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati ex plurimis , Sez. 6, n. 53590 del 20/11/2014 - dep. 23/12/2014, Genchi, Rv. 261869 . 4.4. Sotto diverso aspetto, va notato come C. fosse colto fuori dal perimetro della propria abitazione, nell’area condominiale ove si trovavano i contenitori dell’immondizia mentre indossava in pigiama il luogo ove è stata rilevata la violazione alle prescrizioni della misura domiciliare e l’abbigliamento indossato dall’agente all’atto della commissione del fatto devono ritenersi entrambi sintomatici dell’intenzione del prevenuto di fare immediato rientro nell’alloggio o, comunque, della volontà di non allontarvisi definitivamente – e dunque di non sottrarsi allo strumento di cautela personale applicato nei suoi confronti -, né di impedire o di ostacolare il controllo da parte delle forze dell’ordine. La condotta serbata dal C. , per la specificità storico-fattuale che la connota, può dunque ritenersi avere solo blandamente intaccato il contenuto prescrittivo della misura cautelare custodiale in atto e segnatamente l’esigenza di precludere i contatti con l’esterno e di limitare il libero movimento della persona, strumentali alla tutela dei pericula libertatis ad essa sottesi, ed avere vulnerato in termini solo minimali le esigenze di controllo delle forze dell’ordine e, per tali ragioni, può stimarsi avere realizzato un’offesa di particolare tenuità al bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice. Si versa, d’altronde, in un caso in tutto sovrapponibile a quello già sottoposto allo scrutinio di questa Corte, nel quale si è riconosciuta la causa di non punibilità nei confronti del soggetto, sottoposto agli arresti domiciliari, trovato ad una trentina di metri dall’abitazione, in ciabatte e pigiama segnatamente in abiti da casa , come riferito dai Carabinieri , mentre faceva espletare al cane i bisogni fisiologici il cane sarebbe stato sottoposto tre giorni prima ad intervento chirurgico, l’ascensore di casa era non funzionante come accertato dalla polizia giudiziaria, per caratteristiche fisiche-fisiologiche la moglie non sarebbe stata nelle condizioni di sollevare il cane nel caso di necessità Sez. 6, n. 45073 del 16/09/2015 - dep. 10/11/2015, Barrara, Rv. 265224 . 5. Dato conto della sussistenza di tutti i presupposti della causa di non punibilità in parola, resta da affrontare un’ultima questione, quella concernente la possibilità di applicare l’art. 131-bis cod. pen. nel giudizio di cassazione. 5.1. A tale quesito può darsi risposta positiva, là dove - ribadendo quanto questa Corte ha già avuto modo di affermare - la previsione della causa di non punibilità, avendo natura sostanziale, è pacificamente applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del con d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare anche di ufficio ex art. 609, comma 2, cod. proc. pen., la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto ex plurimis, Sez. 2, n. 41742 del 30/09/2015 - dep. 16/10/2015, Clemente, Rv. 264596 . 5.2. Più problematica è la questione - strettamente connessa - se, giusta la natura del giudizio di legittimità - che non può mai trasmodare in un apprezzamento di merito sulla vicenda sottoposta a scrutinio -, questa Corte regolatrice debba limitarsi ad un vaglio di astratta non incompatibilità della fattispecie concreta come ricostruita dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali , con i requisiti ed i criteri indicati dal predetto art. 131-bis cod. pen., ovvero se possa sempre procedere direttamente alla delibazione sulla ricorrenza dei presupposti della causa di non punibilità. Mette conto rilevare come, nella recente sentenza del 26 febbraio 2016, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte siano state chiamate a risolvere diversi nodi ermeneutici concernenti la disciplina dell’art. 131-bis cod. pen. e, pronunciandosi espressamente sulla questione, hanno affermato il principio secondo il quale la Cassazione, se riconosce la sussistenza della suddetta causa di non punibilità, la dichiara anche d’ufficio ex art. 129, comma 1 cod. proc. pen., annullando senza rinvio la sentenza impugnata a norma dell’art. 620, comma 1 lett. I cod. pen 5.3. Va posto in luce come, dalla informazione provvisoria, non sia dato di evincere se le Sezioni Unite abbiano inteso affermare il principio secondo il quale, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità de qua, la diretta applicazione dell’istituto da parte di questa Corte presupponga la possibilità di riconoscerne i relativi presupposti se riconosce la sussistenza della suddetta causa di non punibilità sulla base della ricostruzione dei fatti e delle valutazioni compiute dai giudici della cognizione, dovendo diversamente demandare la decisione al giudice di merito cassando con rinvio la sentenza impugnata, ovvero se la Corte sia sempre legittimata a compiere direttamente l’apprezzamento di merito sulla ricorrenza dei presupposti, accedendo agli atti del processo ed affidandosi al proprio prudente apprezzamento , e ciò anche nel caso - per vero raro a verificarsi in concreto - nel quale i giudici della cognizione non abbiano affrontato, neanche implicitamente, il punto, né abbiano offerto - nel ricostruire e valutare i fatti - elementi certi di riconoscibilità dei presupposti dell’istituto. Nel primo senso, si è in passato orientata questa Corte regolatrice, là dove ha affermato che, nel giudizio di legittimità, è possibile applicare direttamente la causa di non punibilità in oggetto in tutti i casi in cui il riconoscimento dell’istituto non risulti precluso da un vaglio di astratta non incompatibilità della fattispecie concreta, e che, in caso contrario, la valutazione circa l’applicabilità della causa di non punibilità in parola deve essere demandata al Giudice di merito con un provvedimento di cassazione con rinvio , non potendo espletarsi nella sede di legittimità - giusta la specifica natura del sindacato rimesso a questa Corte - apprezzamenti di fatto tesi alla ricostruzione ed alla valutazione dei fatti v. da ultimo, Sez. 6, n. 168, del 10/02/2016, Zuccato . 5.5. Ad ogni modo, quale che sarà l’ampiezza che le Sezioni Unite riconosceranno alla facoltà di questa Corte di applicare direttamente l’ipotesi di cui all’art. 131-bis, non è revocabile in dubbio che, nel caso sottoposto al vaglio di questo Collegio, sussistano le condizioni per un’applicazione diretta dell’istituto già nel giudizio di legittimità. Ed invero, per quanto si è già sopra dato atto, dalla ricostruzione della fattispecie storico-fattuale e dalle valutazioni espresse dai Giudici della cognizione - quali emergono dalla sentenza impugnata e, soprattutto, dalla pronuncia di primo grado -, nel caso di specie, emerge con evidenza la ricorrenza dei presupposti di operatività dell’invocata causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., di tal che essa può essere applicata direttamente, pronunciando sentenza di annullamento senza rinvio ai sensi dell’art. 620 lett. l cod. proc. pen. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il ricorrente è persona non punibile per la particolare tenuità del fatto-reato ascrittogli.