Stesso stabile, diverso piano…lo spostamento gli costa una condanna per evasione

Qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, benché di breve durata e avente ad oggetto uno spostamento di distanza modesta, integra l’illecito di evasione ciò, in quanto lo scopo della disposizione incriminatrice consiste nel fatto che il soggetto rimanga nel luogo che è stato ritenuto idoneo per il soddisfacimento delle esigenze cautelari e per un agevole controllo da parte delle autorità competenti.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8388/2016, depositata il 1° marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Milano, confermando la statuizione del giudice di prime cure, condannava un imputato per il reato di evasione art. 385 c.p. il medesimo, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari per l’illecito di cui all’art. 73 d. P.R. n. 309/90 produzione, traffico, detenzione illeciti di sostanze stupefacenti , in occasione di un controllo, da parte delle autorità competenti, non era stato trovato presso l’abitazione dei genitori, indicata come luogo di esecuzione della misura, bensì nell’appartamento del fratello, sito al terzo piano del medesimo stabile. Il condannato ricorreva per cassazione, lamentando erronea applicazione di legge e vizio di motivazione, avendo il giudice di merito ritenuto integrato l’illecito di evasione nonostante l’assenza di una volontà, dell’impugnante, di allontanarsi dal luogo della detenzione o di sottrarsi ai controlli delle autorità. La nozione di abitazione. La Suprema Corte ha precisato che lo scopo della norma incriminatrice è quello di garantire la costante osservanza dei provvedimenti giudiziari volti a limitare la libertà personale. Gli Ermellini hanno chiarito che deve ritenersi abitazione quel luogo in cui un soggetto conduca la propria vita domestica e privata, con l’esclusione di ogni altra appartenenza aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili , la quale non sia di stretta pertinenza dell’abitazione stessa e non ne costituisca parte integrante. La nozione di abitazione di cui sopra permette di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato tali controlli, infatti, che devono essere pronti e non aleatori. L’evasione è un reato proprio, a forma libera. I Giudici del Palazzaccio hanno chiarito che il reato di evasione è un illecito proprio, a forma libera, la cui integrazione può verificarsi con qualsiasi modalità esecutiva. Non rilevano, ha sottolineato il Collegio, i motivi che hanno determinato l’allontanamento del soggetto, né tantomeno rivestono alcuna importanza la durata del medesimo e la distanza dal domicilio. Unica eccezione a quanto sopra, viene rinvenuta nella sussistenza di uno stato di necessità indifferibile, ovvero di eventi impeditivi straordinari. Gli Ermellini hanno affermato che qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, benché di breve durata e avente ad oggetto uno spostamento di distanza modesta, integra l’illecito di evasione ciò, in quanto lo scopo della disposizione incriminatrice in esame consiste nel fatto che il soggetto rimanga nel luogo che è stato ritenuto idoneo per il soddisfacimento delle esigenze cautelari e per un agevole controllo da parte delle autorità competenti. A chiosa della sentenza in commento, i Giudici di Piazza Cavour hanno evidenziato che l’illecito di evasione è caratterizzato da dolo generico e che la permanenza del soggetto nello stretto ambito del suo domicilio abitazione rappresenta, per definizione, l’obbligo essenziale del sottoposto alla misura domestica e non una semplice imposizione ad esso inerente . Pertanto l’allontanamento dall’ambito domiciliare, guidato dalla consapevolezza di fruire di una libertà di movimento spazio – temporale, rappresenta una condotta idonea ad integrare l’elemento psicologico dell’illecito. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 febbraio – 1 marzo 2016, numero 8388 Presidente Conti – Relatore Criscuolo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5 maggio 2014 la Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza emessa il 25 maggio 2011 dal Tribunale di Sondrio, sezione di Morbegno, nei confronti di M.P., ritenuto responsabile del reato di evasione, commesso in Ardenno il 5 agosto 2009, e per l'effetto condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti all'aggravante contestata ed alla recidiva infraquinquennale, alla pena di mesi 7 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. In sede di merito era stato accertato che l'imputato, sottoposto alla misura degli arresti domiciliare per il reato di cui all'articolo 73 d.P.R. 309/90 in forza di ordinanza cautelare, emessa il 29/04/2009 dal G.i.p. dei Tribunale di Sondrio, il 4 agosto 2009 era stato autorizzato a trasferire il luogo di esecuzione della misura cautelare in Ardenno presso l'abitazione dei genitori, sita al secondo piano di un edificio, composto da tre piani, ubicato in via Libertà numero 28, ma, in occasione dei controllo eseguito il 5 agosto non era stato trovato presso detta abitazione, bensì nell'appartamento dei fratello, sito al terzo piano dell'edificio. In sede di appello il difensore dell'imputato ne aveva chiesto l'assoluzione per difetto di dolo, non essendo la condotta sorretta dalla volontà di allontanamento dal luogo di detenzione né dall'intenzione di eludere i controlli, in quanto il M. era stato rintracciato sul pianerottolo dell'abitazione. I Giudici dell'appello avevano respinto la tesi difensiva in ragione delle circostanze accertate dall'operante, che, trovata aperta la porta dello stabile, era salito direttamente al secondo piano e, dopo aver suonato varie volte, aveva atteso cinque minuti invano solo dopo aver chiarito ai presenti nell'appartamento, che continuavano a non aprire, le ragioni della sua presenza, si era aperta la porta dell'appartamento sito al terzo piano, occupato dal fratello dei M., e si era presentato l'imputato. 2. Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore dell'imputato, che ne chiede l'annullamento per inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione. Il difensore deduce che erroneamente è stato ritenuto integrato il reato di evasione, nonostante la condotta dell'imputato non fosse sorretta dalla specifica volontà di allontanamento dal luogo di detenzione né tantomeno dalla volontà di sottrarsi all'eventuale controllo da parte dell'autorità vigilante. Segnala, infatti, che l'imputato si era reso prontamente reperibile, come emerge dalle stesse dichiarazioni dei maresciallo, riportate in sentenza il 5 agosto, portatosi in loco per un controllo, trovava la porta dello stabile aperta, il Sottile era direttamente salito al secondo piano si era aperta la porta di un appartamento sito al piano superiore e si era presentato l'imputato . Considerato in diritto 1. II ricorso è inammissibile. Il ricorrente si limita a riproporre il motivo proposto in appello, al quale la Corte territoriale ha fornito esaustiva e puntuale risposta, nuovamente contestata in questa sede con le stesse argomentazioni. Precisato che la finalità della norma incriminatrice è quella di assicurare il costante rispetto dei provvedimenti giudiziari limitativi della libertà personale e che per abitazione deve intendersi il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili , che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, che devono avere, infatti, il carattere della prontezza e della non aleatorietà Sez. 6, numero 4830 del 21/10/2014, dep. 02/02/2015, Rv. 262155, che in motivazione ha precisato che il fine primario e sostanziale della misura coercitiva degli arresti domiciliari è quello di impedire i contatti con l'esterno ed il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni , la decisione della Corte di appello risulta coerente con tali principi. Considerato, infatti, che il reato di evasione è un reato proprio a forma libera, che può essere integrato da qualsiasi modalità esecutiva, risultando indifferenti i motivi dell'allontanamento salva la sussistenza di indifferibili e rigorosamente documentati stati di necessità o di eccezionali eventi impeditivi ed irrilevanti la durata dell'allontanamento e la distanza maggiore o minore dal domicilio Sez. 6, 09/06/2015, numero 28118, Rapino, Rv. 263977 Sez. 6, 21/03/2012, numero 11679, Fedele , pacificamente integra gli estremi del reato di evasione qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, anche se di breve durata ed implicante uno spostamento di modesta distanza, in quanto lo scopo della norma incriminatrice va ravvisato nel fatto che la persona sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari resti nel luogo indicato, perché ritenuto idoneo a soddisfare le esigenze cautelari e, nel contempo, a consentire agevolmente il prescritto controllo dell'autorità. Ritenuto altresì, che il reato di evasione è caratterizzato da dolo generico e che la permanenza del soggetto nello stretto ambito del suo domicilio abitazione rappresenta, per definizione, l'obbligo essenziale dei sottoposto alla misura domestica e non una semplice imposizione ad esso inerente Sez. 7, 3.2.2011 numero 8604, Rv. 249649 , ad integrare l'elemento psicologico del reato è sufficiente che la condotta di allontanamento dallo stretto ambito domiciliare sia sorretta dalla consapevolezza di fruire di una libertà di movimento spazio temporale, che la corretta esecuzione della misura cautelare precluderebbe. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in € 1.500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.