Quando l’evento del reato può ritenersi integrato?

L’art. 340 c.p. è un reato di evento la cui consumazione richiede un pregiudizio effettivo della continuità o della regolarità di un servizio pubblico o di pubblica necessità tuttavia, poiché l’evento è identificato proprio in tale effettivo pregiudizio della continuità o della regolarità di un servizio pubblico o di pubblica necessità, una volta accertate tali evenienze, non occorre evidentemente che si materializzi alcunché di diverso sul piano fisico-materiale, essendo infatti l’evento in re ipsa.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6412/16, depositata il 17 febbraio. Il caso. La Corte di appello di Messina, parzialmente riformando con esclusivo riferimento al trattamento sanzionatorio la statuizione di prime cure, riaffermava la penale responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 340 c.p., ovvero turbativa della regolarità di un pubblico servizio, per avere – quale messo notificatore comunale – omesso di eseguire le notifiche di atti di accertamento della TARSU nei confronti dei cittadini residenti in un Comune del messinese. Avverso tale decisione l’imputato ricorreva per cassazione deducendo, tra gli altri, i seguenti motivi di ricorso in primis , inosservanza dell’art. 521 c.p.p. e violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza in secundis , erronea applicazione dell’art. 340 c.p., non essendo stato individuato l’evento di danno costituito dall’effettiva interruzione o dalla turbativa della regolarità di un ufficio, servizio pubblico o di pubblica necessità infine, erronea applicazione degli artt. 28 e 31 in relazione all’art. 340 c.p. per avere la Corte di appello riqualificato giuridicamente il fatto contestato – originariamente ex art. 328 c.p. – ai sensi dell’art. 340 c.p. pur non essendo mai stata contestata l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p., donde la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici doveva ritenersi illegittima. Il principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Secondo il ricorrente il fatto storico in addebito non corrisponde alla fattispecie astratta tratteggiata dalla previsione penale ritenuta in sentenza, difettando la descrizione dell’evento richiesto per la configurabilità dell’art. 340 c.p., ma secondo la Suprema Corte l’assunto è infondato. In effetti, chiariscono i Supremi Giudici, il contenuto della regola desumibile dal combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 521 c.p.p. è che non può essere emessa condanna per fatto diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione modificata ex artt. 516, 517 e 518 c.p.p. quando ciò avviene, infatti, il giudice è tenuto a restituire gli atti al pm che deve esercitare ex novo l’azione penale in ordine al diverso fatto. Ciò che vale, pertanto, a stabilire se vi è stata violazione o meno del principio è l’immutazione del fatto materiale contestato, atteso che se questo è rimasto inalterato, il giudice può darvi una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione entro i limiti stabiliti dal comma 1 dell’art. 521 c.p.p Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, ai fini e per gli effetti di tale previsione codicistica la nozione di identità del fatto non può che avere la medesima portata di quella ex art. 649 c.p.p., attinente alle sue componenti essenziali di condotta, evento – ove sussistente – e nesso causale, nonché alle circostanze di tempo e luogo del fatto reato, considerate nella loro dimensione storico-naturalistica, ferma restando l’ovvia differenza riferita alla dimensione giuridica correlata alla diversa qualificazione che il giudice può dare della fattispecie esaminata. L’evento nel reato di cui all’art. 340 c.p Secondo il ricorrente, poiché l’art. 340 c.p. costituisce reato di evento, risulta impossibile ravvisarlo in una condotta meramente omissiva quale in origine contestata. Ora, ha chiarito la Corte Regolatrice, per giurisprudenza consolidata non v’è dubbio che l’art. 340 c.p. è un reato di evento la cui consumazione richiede un pregiudizio effettivo della continuità o della regolarità di un servizio pubblico o di pubblica necessità. Tuttavia, poiché l’evento è identificato proprio in tale effettivo pregiudizio della continuità o della regolarità di un servizio pubblico o di pubblica necessità, una volta accertate tali evenienze, non occorre evidentemente che si materializzi alcunché di diverso sul piano fisico-materiale, essendo infatti l’evento in re ipsa , da cui per converso l’irrilevanza penale della mera inosservanza di istruzioni interne o di ordini di servizio, potenzialmente rilevante sotto il profilo disciplinare, insuscettibili di per se di determinare soluzioni nella continuità e regolarità del servizio. L’interdizione temporanea dai pubblici uffici. L’interdizione temporanea dai pubblici uffici è applicabile anche se non sia stata contestata l’aggravante dell’abuso di pubblica funzione di cui all’art. 61 n. 9 c.p., trattandosi di pena accessoria relativa ope legis a tutti i reati commessi in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 – 18 febbraio 2016, n. 6412 Presidente Rotundo – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Messina, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Patti il 14/06/2010, ha riaffermato la responsabilità di C.C. per avere, quale messo notificatore comunale, omesso di eseguire le notifiche di atti di accertamento della TARSU nei confronti di cittadini residenti nel Comune di omissis , ritenendo nei fatti integrato il reato di turbativa della regolarità di un pubblico servizio art. 340 cod. pen. in luogo di quello di cui all'art. 328 cod. pen. originariamente contestato alla pena principale, rideterminata nella misura di otto mesi di reclusione, la Corte territoriale ha poi aggiunto, ribadendo sul punto la decisione di primo grado, quella dell'interdizione dai pubblici uffici di pari durata. Confermando le valutazioni del Tribunale quanto alla materialità dei fatti in addebito, la Corte territoriale ha, infatti, escluso la ricorrenza del reato di rifiuto di atti d'ufficio, non ravvisando nella fattispecie la sussistenza di quelle ragioni di giustizia” art. 328 comma 1 cod. pen. che rendono obbligatoria l'esecuzione dell'atto o degli atti omessi escludendo profili di violazione del principio di correlazione tra imputazione originaria e sentenza art. 521 od. pen. , anche sotto il profilo di possibili contrasti con l'art. 6 par. 3 lett. a della Convenzione EDU, la Corte d'appello ha, tuttavia, attribuito al fatto la meno grave qualificazione giuridica di cui all'art. 340 cod. pen 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, articolato su quattro motivi di censura - inosservanza dell'art. 521 cod. proc. pen. e violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Secondo il ricorrente, la diversa qualificazione giuridica del fatto contestato non poteva in alcun modo essere prevista come possibile atto decisorio del giudizio poiché il fatto storico in addebito non corrisponde alla fattispecie astratta tratteggiata dalla previsione penale ritenuta in sentenza, difettando la descrizione dell'evento richiesto per la configurabilità dell'art. 340 cod. pen. - erronea applicazione dell'art. 340 cod. pen., non essendo stato individuato l'evento di danno costituito dall'effettiva interruzione o dalla turbativa della regolarità di un ufficio, servizio pubblico o di pubblica necessità il ricorrente esclude che la turbativa nelle funzioni dell'ente richiamata in sentenza sia ricompresa tra le ipotesi dell'art. 340 cod. pen., né del resto la Corte d'appello ha proceduto a compiuta verifica circa l'intervenuta alterazione del funzionamento di un ufficio, servizio pubblico o di pubblica necessità - mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all'elemento materiale del reato ritenuto in sentenza anche con riferimento alle mansioni di fatto espletate presso il Comune di omissis , quale addetto alla biblioteca comunale, in costanza di svolgimento del servizio da parte di altri messi notificatori - erronea applicazione degli artt. 28 e 31 in relazione all'art. 340 cod. pen. per avere la Corte d'appello riqualificato giuridicamente il fatto contestato ai sensi dell'art. 340 cod. pen. pur non essendo mai stata contestata l'aggravante di cui all'art. 61 n. 9 cod. pen., talché la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici deve ritenersi illegittima. L'art. 340 cod. pen. ha, infatti, natura residuale e poiché la sua applicabilità prescinde dal fine perseguito dall'agente, la qualifica soggettiva di quest'ultimo non è di per sé rivelatrice di una condotta connotata da abuso di poteri o da violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio poiché, inoltre, l'abuso ha natura solo eventuale ed accessoria, esso può ritenersi integrato ai fini dell'applicabilità dell'art. 31 cod. pen. solo ove sia stata contestata o ritenuta sussistente la ricordata circostanza aggravante. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 2. Il primo profilo che deve essere affrontato riguarda la dedotta violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza di cui all'art. 521 cod. proc. pen. secondo il ricorrente, infatti, il fatto storico in addebito non corrisponde alla fattispecie astratta tratteggiata dalla previsione penale ritenuta in sentenza, difettando la descrizione dell'evento richiesto per la configurabilità dell'art. 340 cod. pen L'assunto è infondato. Il contenuto della regola desumibile dal cbn. disp. dei commi 1 e 2 dell'art. 521 cod. proc. pen. è che non può essere emessa condanna per fatto diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione modificata secondo le modalità stabilite dagli artt. 516, 517 e 518 cod. proc. pen. quando ciò avviene, infatti, il giudice è tenuto a restituire gli atti al PM che deve in ordine al diverso fatto esercitare ex novo l'azione penale. Ciò che vale, dunque, a stabilire se vi è stata violazione o meno del principio è l'immutazione del fatto materiale contestato, atteso che se questo è rimasto inalterato, il giudice può darvi una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione entro i limiti stabiliti dal comma 1 dell'art. 521 nonché dalla giurisprudenza formatasi in relazione al parametro di legalità convenzionale di cui all'art. 6, par. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo sent. CEDU, Drassich c. Italia dell'11 dicembre 2007 . Nulla di tutto ciò avvenuto nel caso oggetto della presente verifica giudiziale. Secondo l'accusa originaria, il ricorrente, nella sua qualità, aveva indebitamente rifiutato di eseguire le notifiche degli atti di accertamento TARSU nei confronti dei concittadini del Comune di OMISSIS , mentre la Corte d'appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto che il mero inadempimento dell'obbligo su di lui gravante, pacificamente emerso dalle risultanze del processo, pur non ricorrendo una delle ragioni indicate nell'art. 328, comma 1 cod. pen., avesse in ogni caso integrato una grave turbativa del servizio affidatogli in violazione dell'art. 340 cod. pen Va rilevato, infatti, che la Corte territoriale ha chiaramente delineato la condotta materiale in addebito nella perdurante omissione nell'esecuzione delle notifiche di cui il C. era incaricato, non qualificabile in termini di rifiuto ex art. 328 comma 1 cod. pen. per le ragioni anzidette ma, ferma restandone la materialità negativa, valutabile in relazione alle conseguenze provocate nello espletamento del servizio di messo notificatore comunale. Il fatto storico oggetto dell'imputazione e vale a dire la persistente omissione nell'esecuzione di atti di sua competenza è rimasto, dunque, inalterato e proprio per tale ragione non sussiste margine concettuale per ritenere violato il principio di cui all'art. 521 cod. proc. pen Ai fini e per gli effetti di tale articolo, infatti, la nozione di identità del fatto non può che avere la medesima portata di quella di cui all'art. 649 cod. proc. pen., attinente alle sue componenti essenziali di condotta, evento ove sussistente e nesso causale, nonché alle circostanze di tempo e di luogo del fatto reato, considerate nella loro dimensione storico - naturalistica da ultimo ex pluribus Sez. 2, sent. n. 19712 del 06/02/2015, Alota e altri, Rv. 263543 , ferma restando l'ovvia differenza riferita alla dimensione giuridica correlata alla diversa qualificazione che il giudice può dare della fattispecie esaminata. Secondo diversa prospettazione, il ricorrente sostiene, inoltre, che poiché l'art. 340 cod. pen. costituisce reato di evento, l'impossibilità di ravvisarlo in una condotta meramente omissiva quale in origine contestata, rende manifesta la intervenuta modifica della primigenia imputazione. Ora non v'è dubbio che la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione formatasi in relazione all'art. 340 cod. pen. lo definisca reato di evento la cui consumazione richiede un pregiudizio effettivo della continuità o della regolarità di un servizio pubblico o di pubblica necessità” Sez. 6, sent. n. 29351 del 03/05/2006, Parisi, Rv. 235089 Sez. 6, sent. n. 8651 del 18/05/1999, P.G. in proc. Frangella e altro, Rv. 214198 , ma sull'uso del termine evento nelle fattispecie esaminate occorre spendere qualche considerazione. Poiché, infatti, l'evento è identificato nel pregiudizio effettivo della continuità o della regolarità di un servizio pubblico o di pubblica necessità, una volta accertate tali evenienze, non occorre evidentemente che si materializzi alcunché di diverso sul piano fisico - materiale, essendo infatti l'evento in re ipsa, da cui per converso l'irrilevanza penale della mera inosservanza di istruzioni interne o di ordini di servizio, potenzialmente rilevante sotto il profilo disciplinare” v. sent. citt. insuscettibili di per sé di determinare soluzioni nella continuità e regolarità del servizio. Il ricorrente obietta ancora che ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 340 cod. pen. è necessario che l'evento costituito dal turbamento della regolarità riguardi il funzionamento del servizio nel suo complesso e non già soltanto di un settore limitato di esso. L'obiezione riecheggia il contenuto di alcuni arresti giurisprudenziali di questa Corte di legittimità, ma vale ricordare che essi riguardano casi di turbamento dell'attività di uffici di consistenti dimensioni v. ad es. Sez. 6, sent. n. 6257 del 07/01/2003, Buonocore, Rv. 223740 inerente il funzionamento di una Intendenza di Finanza parzialmente invasa da soggetti che protestavano per la conduzione delle operazioni di estrazione del giuoco del lotto , mentre in quello in esame è l'andamento del servizio di notificazione nell'ambito di un comune di piccole dimensioni a venire in rilievo, il cui turbamento costituisce dato incontroverso. Quanto, infine, alla doglianza relativa alle mansioni concretamente svolte dal ricorrente nell'ambito degli uffici comunali, essa si rivela improponibile in questa sede art. 606, comma 3 cod proc. pen. attenendo con tutta evidenza al merito del giudizio. 3. L'altro caposaldo dell'impugnazione riguarda la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici, applicata dalla Corte d'appello in misura corrispondente a quella della pena principale di otto mesi di reclusione ai sensi dell'art. 37 cod. pen. Sul punto, il ricorrente deduce l'illegittimità dell'applicazione in difetto di formale contestazione dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 9 cod. pen. dell'avere commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, atteso il carattere residuale dell'art. 340 cod. pen., il quale non configura un reato proprio. A sostegno di tale tesi, allega il tenore di una non recente decisione di questa Corte di Cassazione secondo cui il reato di cui all'art. 340 cod. pen. non è di per sé rivelatore di una condotta connotata da abuso di poteri o da violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio da parte del soggetto attivo. Poiché, dunque, detto abuso ha natura soltanto eventuale ed accessoria, esso può configurarsi soltanto quando sia stata contestata e ritenuta sussistente la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 9 cod. pen.” Sez. 2, sent. n. 3394 del 12/02/1998, Sabella, Rv. 210328 . Trattasi, tuttavia, di statuizione che resta isolata nel panorama di decisioni tanto precedenti quanto successive e più recenti, tutte di segno contrario nello affermare che l'interdizione temporanea dai pubblici uffici è applicabile anche se non sia stata contestata la circostanza aggravante dell'abuso di pubblica funzione di cui all'art. 61, n. 9 cod. pen., trattandosi di pena accessoria relativa ope legis a tutti i reati commessi in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione” Sez. 5, n. 1450 del 04/11/2010, dep. 2011, Antoci e altro, Rv. 249095 conf. mass. n 158909 Sez. 2, n. 13435 del 19/04/1989, Poggiani, Rv. 182230 conf mass. n 140903 Sez. 2, sent. n. 4243 del 09/11/1982, Porcelli, Rv. 158909 Sez. 5, sent. n. 871 del 28/11/1978, dep. 1979, Mosca, Rv. 140903 Sez. 5, ord. n. 886 del 25/03/1968, Boschini, Rv. 107747 , giurisprudenza cui questo Collegio non ha valide ragioni da opporre e che ritiene, pertanto, di dovere confermare. 4. Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.