Collaboratore di giustizia in detenzione domiciliare: non ha diritto alla liberazione anticipata speciale

La liberazione anticipata speciale, a differenza di quella ordinaria, può essere riconosciuta e concessa ai detenuti soltanto in relazione ai periodi di espiazione della pena all’interno degli istituti carcerari.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 987/16, depositata il 13 gennaio, si esprime in tema di liberazione anticipata speciale, introdotta con il d.l. numero 146/2013, convertito nella l. numero 10/2014. La quaestio. Il caso trae origine dal provvedimento di rigetto emesso dal Tribunale di Sorveglianza di Roma a seguito del reclamo proposto da un collaboratore di giustizia in regime di detenzione domiciliare, il quale aveva proposto istanza di liberazione anticipata speciale al Magistrato di Sorveglianza di Roma per il periodo di restrizione relativa al semestre 09.05.2013/09.11.2013. Il Giudice di prima istanza rigettava la richiesta di liberazione anticipata speciale ma, allo stesso tempo, concedeva il beneficio nella forma ordinaria pari a giorni quarantacinque. Siffatto provvedimento, come innanzi detto, trovava conferma in sede di reclamo, poiché, secondo i giudici della Sorveglianza, l’istituto premiale di natura speciale troverebbe applicazione solo per i detenuti che espiano la pena in carcere. Tali conclusioni derivano dalla ratio dell’ordito normativo che ha introdotto la liberazione anticipata speciale, che è da ricercare nella riduzione del sovraffollamento carcerario. Avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma propone ricorso per cassazione il difensore del detenuto, lamentando l’inosservanza od erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 4, comma 5, d.l. numero 146/2013, convertito nella l. numero 10/2014, 47- ter , 54 e 58- ter O.P. e 16- nonies della l. numero 82/1991. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Le doglianze difensive non colgono nel segno. Osserva il Supremo Consesso che l’indirizzo ermeneutico seguito dal Tribunale di Sorveglianza romano è aderente alla littera legis dell’articolo 4, comma 5, del d.l. numero 146/13, soprattutto così come ampliato dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, numero 21. La prefata norma, infatti, statuisce in maniera chiara e lineare che le disposizioni relative alla liberazione anticipata speciale non si applicano ai condannati ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare nè ai condannati che siano stati ammessi all’esecuzione della pena presso il domicilio o che si trovino agli arresti domiciliari ai sensi dell’articolo 656, comma 10, c.p.p. . E’ inconfutabile, quindi, la previsione di esclusione dalla fruizione del beneficio speciale dei condannati relativamente ai periodi in cui abbiano espiato la pena al di fuori degli istituti carcerari. Tanto assodato, è conseguenza logica l’esclusione dall’applicazione della liberazione anticipata speciale anche per coloro che scontano la pena presso il proprio domicilio come collaboratori di giustizia, ai sensi dell’articolo 16- nonies della l. numero 82/1991. Infine, evidenziano gli Ermellini che non sussiste alcuna violazione del principio di uguaglianza tra i detenuti la specialità” dell’istituto in esame deve desumersi già dal nome stesso e, soprattutto, dalle ragioni che hanno condotto alla sua introduzione d’urgenza nel nostro sistema normativo. Il beneficio della liberazione anticipata speciale, infatti, rientra tra quelle misure adottate dal legislatore italiano per fronteggiare l’annoso problema del sovraffollamento carcerario, divenuto una piaga sociale a tal punto da attirare l’attenzione dell’Unione Europea e le condanne da parte della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 ottobre 2015 – 13 gennaio 2016, n. 987 Presidente La Posta – Relatore Minchella Rilevato in fatto Con ordinanza in data 07.01.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto nell’interesse di C.S. avverso il provvedimento in data 26.07.2014 del Magistrato di Sorveglianza di Roma reiettivo di una istanza di liberazione anticipata speciale relativa al semestre 09.05.2013/09.11.2013 e concessivo del citato beneficio nella misura ordinaria di giorni quarantacinque. Il provvedimento reiettivo originario non aveva accolto la suddetta richiesta rilevando che la maggiore riduzione di pena non era prevista per coloro che si trovassero in espiazione di pena nella forme della detenzione domiciliare, per come era appunto il caso del C. . Avverso detto provvedimento la Difesa del condannato aveva proposto reclamo, sostenendo l’irragionevole valutazione rigorosa adottata, sul presupposto che la liberazione anticipata rappresenta un premio per la partecipazione all’opera rieducativa, maggiormente evidenziata da coloro che sono stati ritenuti meritevoli di una misura alternativa si sosteneva, inoltre, che una lettura costituzionalmente orientata della norma avrebbe dovuto indurre alla concessione del beneficio, altrimenti si sarebbe determinata una disparità di trattamento non ragionevole e cioè la concessione di un beneficio più ampio a condannati ritenuti meno meritevoli . Ma, nella ordinanza in data 07.01.2015, il Tribunale di Sorveglianza di Roma affermava che Part. 4, comma 5, del D.L. n 146/2013, convertito nella Legge n 10/2014, aveva previsto il beneficio della liberazione anticipata speciale giorni settantacinque per semestre di pena espiata con condotta regolare e partecipativa , soltanto con riguardo ai condannati in espiazione di pena carceraria, tanto da escludere la misura premiale più ampia anche per coloro che, sia pure soltanto in parte, avessero fruito di misure alternative nell’ambito dei semestri di pena da considerare. La ratio della normativa veniva ricondotta alla manifestata esigenza di ridurre il sovraffollamento carcerario nonché a quelle di compensare quei condannati che, a decorrere dal gennaio 2010, avevano patito deteriori condizioni di vita carceraria a motivo appunto del sovraffollamento e di conformarsi, in tempi ristrettissimi, alle indicazioni fornite dalla CEDU. Si dichiaravano infondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate con riguardo all’art. 4, comma 5, del D.L. n 146/2013, convertito nella Legge n 10/2014, non ravvisandosi né irragionevole disparità di trattamento né violazione del principio rieducativo sulla scorta delle condizioni restrittive cosi’ più favorevoli per coloro che espiano la pena in forma alternativa. Avverso detta decisione ricorreva per cassazione l’interessato,, a mezzo del suo Difensore, chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma nel ricorso si lamentava, ex art. 606, comma 1 lett. b cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 4 D.L. n 146/2013 anche nel testo convertito con legge n 10/2014 , 47 ter, 54 e 58 ter O.P. e 16 nonies della Legge n 82/1991. In primo luogo si evidenziava che l’interessato non si trovava in detenzione domiciliare in via ordinaria bensi’ ai sensi della normativa speciale sui collaboratori di giustizia, la quale, all’art. 16 nonies delle L. 82/1991, prevede come condizione imprescindibile, per la concessione del beneficio, il requisito del ravvedimento non richiesto dalla normativa ordinaria tale da superare le preclusioni di cui all’art. 4 bis O.P si sosteneva poi che questo elemento andava necessariamente raccordato con la natura della liberazione anticipata quale premio alla consapevole opera di partecipazione all’azione rieducativa della pena ciò era tanto più vero se si constatava che proprio la Corte di Cassazione aveva esteso il beneficio de quo ai condannati ammessi alla liberazione condizionale, colmando una lacuna normativa, cosi’ affermando il principio secondo il quale la liberazione anticipata può essere concessa a tutti coloro che espiano una pena, sia pure nelle forme alternative di più ampio respiro se ne faceva derivare il paradosso di una normativa che - operando un’arbitraria distinzione tra il comportamento post delictum del condannato per reati ordinari rispetto a quelli in esecuzione di delitti di cui all’art. 4 bis O.P. - giungeva a negare il beneficio più ampio proprio a coloro che avevano raggiunto un più elevato livello di ravvedimento, resipiscenza e partecipazione, e soltanto perché fruenti di una misura alternativa. Si contestava l’ampiezza della discrezionalità riconosciuta al Legislatore, il quale dopo la tardiva esclusione del beneficio più ampio rispetto ai condannati per i delitti di cui all’art. 4 bis O.P. non avrebbe dovuto operare in dispregio dei principi cardine dell’ordinamento. Si riportava poi che l’interessato era ormai in espiazione di reati ordinari e che il rigetto del reclamo lo avrebbe equiparato a quei condannati che, espiando la pena per delitti di cui all’art. 4 bis O.P., erano sottoposti a regimi più restrittivi ed al medesimo sovraffollamento carcerario, ma non potevano accedere alla misura maggiore della liberazione anticipata. Ed ancora, si rilevava che l’ordinamento prevede in via ordinaria la duplicazione di benefici compatibili tra di loro e reiterava la questione di legittimità costituzionale della nuova normativa per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cosi, contestando al provvedimento impugnato la mancata analisi della ragionevolezza delle scelte legislative si rammentava che le persone che espiano la pena nella forma domiciliare sono talora prive di quegli spazi di socialità dei quali, invece, fruiscono i condannati che espiano la pena in carcere che il detenuto semilibero può fruire della liberazione anticipata speciale che i periodi trascorsi in permesso premio non vengono esclusi dal computo del semestre ai fini della liberazione anticipata speciale che la Corte Suprema ha ritenuto di applicare, nell’ipotesi della possibile revoca, i medesimi principi alla liberazione anticipata ed alla liberazione condizionale che l’esecuzione della pena in carcere ha la medesima portata giuridica di quella attuata in detenzione domiciliare. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e non può essere accolto. La decisione impugnata, sul pacifico presupposto che il C. , nel periodo sopra precisato, ha espiato pena detentiva in regime di detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 16 nonies della Legge n. 8/1991, ha respinto il reclamo proposto dal condannato, odierno ricorrente, sulla scorta della corretta interpretazione testuale della disposizione di legge che disciplina l’istituto della liberazione anticipata speciale, cosi’ avallando la decisione reclamata, che aveva discriminato la possibilità di accordargli tale beneficio in dipendenza delle modalità e del luogo di esecuzione della pena, se avvenuta in condizioni di detenzione carceraria, oppure di detenzione al domicilio. Il caso in esame ricade effettivamente nell’ambito di applicazione del D.L. n 146/2013, art. 4, comma 5, il quale prevedeva che Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai condannati ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative ”. La Legge di Conversione 21 febbraio 2014, n 10, in vigore dal 22 febbraio 2014, ha modificato il predetto quinto comma nel senso che ne ha ampliato la portata derogatoria all’ambito soggettivo di fruizione dell’istituto, prescrivendo Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai condannati ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative, né ai condannati che siano stati ammessi all’esecuzione della pena presso il domicilio o che si trovino agli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 10 ”. È dunque testuale e ribadita in entrambe le fonti normative, persino estesa nella sfera applicativa soggettiva nella legge di conversione, la previsione di esclusione dalla fruizione della liberazione anticipata speciale dei condannati per i periodi di espiazione avvenuti al di fuori delle strutture carcerarie grazie all’accesso alle misure alternative indicate o, comunque, alla misura domiciliare esecutiva, prevista dall’art. 656 cod. proc. pen., comma 10. Va, pertanto, condivisa l’opzione ermeneutica, espressa dal Tribunale di Sorveglianza, che ritiene il detenuto sottoposto a detenzione domiciliare ai sensi della Legge n. 1991, art. 16-nonies, ossia alla misura alternativa alla carcerazione disciplinata dal richiamato testualmente art. 47-ter O.P., rientrare nelle situazioni che non consentono di beneficiare dell’istituto invocato nella sua maggiore estensione possibile, pena la ingiustificata ed illegittima disapplicazione della norma che lo introduce e lo regola. Vanno disattese perché prive di fondamento giuridico, le obiezioni mosse in ricorso. In primo luogo la pretesa perfetta assimilazione tra la liberazione anticipata ordinaria e l’istituto introdotto col D.L. n. 146/2014 convertito nella L. n. 10/2014 non ha sostegno argomentativo nel contesto dell’impugnazione viene affermata in modo apodittico, ma non illustrata nelle ragioni che dovrebbero giustificarla, risultando, dunque, generico il relativo assunto. Pretende poi la Difesa di trarre elementi confermativi alla propria tesi della necessità di applicazione generalizzata a tutti i condannati dal fatto che l’istituto della liberazione anticipata non prevede alcuna distinzione tra il condannato in detenzione inframuraria e quello promosso in misura alternativa, ma in tal modo vengono ignorate la peculiarità della disciplina, delle finalità e degli effetti del beneficio in esame. Sin dall’intitolazione della disposizione che l’ha introdotta, l’istituto rivela la sua specialità di strumento apprestato al fine di contribuire alla soluzione dell’annoso problema della sovrappopolazione carceraria e l’inserimento nel contesto di misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria , con le quali il Legislatore italiano ha inteso varare un quadro di interventi concreti nel settore penitenziario, già sollecitatigli dalla pronuncia pilota della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo nel noto caso Torregiani c/ Italia del dì 08 gennaio 2013 e dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 279 del 9 ottobre 2013. La prima pronuncia non si pone dunque, rispetto al risultato normativo in esame, quale mero richiamo, ma quale preciso e giuridicamente vincolante antecedente, posto che la stessa ha imposto allo Stato Italiano l’adozione entro un anno di misure volte alla riduzione del numero di persone incarcerate. Anche il profilo sistematico conferma la specialità del nuovo regime premiale, inserito dal Legislatore, non nel già esistente art. 54 O.P., che si occupa della liberazione anticipata ordinaria, ma in una norma espressamente dedicata ad evidenziarne la natura di rimedio eccezionale e temporalmente delimitato nella sua applicazione in favore dei detenuti per il solo periodo di due anni dalla vigenza del provvedimento legislativo che l’ha disposto e di quanti abbiano già fruito della liberazione anticipata nel periodo decorso dal dì 01 gennaio 2010. Quanto poi alle finalità perseguite, l’istituto ora in esame persegue finalità rieducative del condannato, ma al contempo, mediante la più ampia abbreviazione della durata della pena da espiare, anche l’assolvimento di funzioni deflattive e risarcitorie, le quali per essere realizzate in concreto ed avere un significato razionale postulano l’effettiva permanenza del condannato presso gli istituti penitenziari nei periodi di riferimento. In tal senso militano una pluralità di elementi innanzitutto, il preambolo del D.L. n 146/2013, il quale indica l’obiettivo di ridurre con effetti immediati il sovraffollamento carcerario” quale primaria esigenza dai caratteri di straordinaria necessità ed urgenza, cui si è inteso far fronte attraverso misure straordinarie e temporanee in tema di liberazione anticipata in secondo luogo, la relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n 146/2013 A.C. nr. 1921, la quale riporta l’indicazione che quello previsto si atteggia a rimedio compensativo, secondo le indicazioni della Corte Europea di Strasburgo della violazione del diritti dei detenuti in conseguenza della situazione di sovraffollamento carcerario e, più in generale, del trattamento inumano e degradante che, per carenze strutturali, possono essersi trovati a subire. Si tratta, pertanto, di una misura la cui adozione è indispensabile ai fini dell’adeguamento alle indicazioni della già menzionata sentenza Torreggiani c/ Italia della Corte Europea. Ed è questa la ragione che ha indotto ad individuare il termine di efficacia nel 1 gennaio 2010, data in cui si è determinata la situazione di emergenza detentiva in terzo luogo, il parere espresso dal Consiglio Superiore della Magistratura ai sensi della L. n. 195 del 1958, art. 10, con deliberazione del 23 gennaio 2014, il quale al punto a2 ha evidenziato che il diretto legame tra la negativa evoluzione delle condizioni di vita carcerarie ed il riconoscimento di una più consistente detrazione sulla pena da scontare spiega perché dell’art. 4, comma 5, sia stata esclusa, con previsione difforme rispetto a quella che regola la liberazione anticipata ordinaria, l’applicazione dell’istituto eccezionale ai condannati affidati in prova ed in regime domiciliare e che ha sollecitato l’estensione del divieto di accesso all’istituto anche a quanti si trovino in detenzione domiciliare ex lege n 199/2010 ed agli arresti domiciliari esecutivi, indicazioni poi recepite nella Legge di Conversione in quarto luogo, una conferma testuale delle finalità deflattive e compensative a vantaggio dei soli condannati ristretti in carcere si trae dalle disposizioni che limitano la vigenza temporale della liberazione anticipata speciale sotto il primo profilo, viene in rilievo la decorrenza iniziale dal dì 01 gennaio 2010, ossia dal momento in cui interviene la prima condanna dell’Italia da parte della Corte EDU per le condizioni detentive, considerate disumane e degradanti in contrasto con i principi sanciti dalla Convenzione, e del fenomeno le autorità nazionali prendono atto quale stato di emergenza, apprestando i primi concreti rimedi, nonché la fissazione alla data del 23 dicembre 2015 quale momento finale, in cui si è presunto di conseguire il superamento dell’emergenza col ripristino di una situazione di generale vivibilità negli istituti penitenziari, compatibile con i diritti fondamentali dei detenuti. La natura compensativa del beneficio si rinviene tanto nel fatto che rimedi siffatti erano stati già sollecitati dalla Corte EDU con la citata sentenza Torreggiani c/Italia, laddove si era evidenziata la necessità che l’Italia prevedesse strumenti in grado di garantire, sia effetti preventivi, che compensativi della patita violazione della Convenzione da parte di quanti dovessero o avessero espiato la pena in condizioni di sovraffollamento carcerario quanto dall’inserimento nel nuovo testo normativo della disposizione con efficacia retroattiva a far data dal 1 gennaio 2010, come già detto, parametro temporale di emersione dell’emergenza penitenziaria. Né in senso contrario vale eccepire che, per essere coerente con tale intento riparatorio, la misura approntata dovrebbe essere applicata in modo indiscriminato a tutti i detenuti, compresi quelli condannati per i reati ostativi di cui all’art. 4-bis O.P., che hanno sofferto condizioni di restrizione tra le più gravose e penalizzanti, in quanto, da un lato la finalità compensativa non è l’unica perseguita, affiancandosi a quella riabilitativa del singolo condannato ed a quella deflattiva del sovraffollamento carcerario, dall’altro per le situazioni dell’art. 4-bis il Legislatore, libero di determinare le linee di politica criminale ritenute più consone al bisogno con scelta condivisa dalla maggioranza parlamentare, ha ritenuto nella sua discrezionalità di bilanciare interventi correttivi della pressione alloggiativa negli Istituti di Pena e diritti fondamentali dei detenuti, escludendo quanti siano più pericolosi socialmente, senza al contempo precludere loro in assoluto la fruibilità della liberazione anticipata ordinaria ed ostacolarne in via preclusiva e definitiva il percorso riabilitativo. Che poi la medesima finalità risarcitoria sia stata assolta in modo più esteso, organico ed incisivo quanto ad effettività dei rimedi accordati mediante l’introduzione del disposto dell’art. 35 ter O.P., operato dal D.L. 26 giugno 2014, n. 92, convertito nella L. n 147 del 2014 e destinato ad operare in via permanente ed in modo svincolato da limiti temporali, ciò non contraddice i superiori rilievi al contrario, gli strumenti apprestati a tutela dei detenuti che abbiano patito carcerazione in condizioni inaccettabili ricalcano in un caso il meccanismo di abbreviazione della durata della pena, stabilito con la liberazione anticipata speciale. Le nuove disposizioni sono dichiaratamente volte a risolvere carenze strutturali ed operative del sistema carcerario con incidenza limitativa sui flussi in ingresso ed in uscita nelle e dalle strutture penitenziarie e, per la loro applicazione, postulano la permanenza inframuraria, non già la mera attualità del rapporto esecutivo e l’indifferenza per le relative condizioni, che per affidati e detenuti domiciliari sono certamente più favorevoli e meno gravose, sia per il condannato individualmente considerato, sia per l’intero sistema dell’esecuzione penale. Ritiene questo Collegio di dover condividere la decisione impugnata anche in riferimento alla dichiarata manifesta infondatezza della questione di incostituzionalità della L. n 10/2014, art. 4, comma 5. Il Tribunale di Sorveglianza ha esaminato la tematica in modo analitico e ne ha dato conto con puntuale sviluppo argomentativo, che merita piena condivisione, avendo ricondotto la previsione di legge soggettivamente limitata nel suo ambito di applicazione alle scelte discrezionali del potere legislativo, non contrastanti con i principi costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza, né con la funzione rieducativa della pena. In particolare, va premesso che, come già osservato in modo convincente dalle pronunce di questa sezione n. 1650 del 22/12/2014, Mollace, rv. 261880 e n. 34073 del 27/06/2014, Panno, rv. 260849, la disposizione in questione estende, con alcune eccezioni, i vantaggi conseguenti ad un beneficio penitenziario ordinario, già previsto e reso accessibile a tutti i condannati, non quindi precluso, né ai condannati responsabili di determinate categorie di reato di maggiore gravità, né a quelli che abbiano già ottenuto l’applicazione di misure alternative alla detenzione. Il diverso trattamento di minor favore riservato ai detenuti che hanno scontato la pena in ambiente esterno al carcere non è ingiustificatamente discriminatorio e ne viola il principio di eguaglianza, il quale non ammette che situazioni identiche siano trattate in modo differente nell’assenza di una ragione meritevole di positiva considerazione. Tale sperequazione non sussiste nel caso di specie, dal momento che non è equiparabile, se non per l’attuazione in corso del rapporto esecutivo penale, la condizione di chi abbia trascorso anni in carcere in una situazione emergenziale di sovraffollamento, tale da aggravare ulteriormente la già penosa esperienza restrittiva e segregativa per il prolungato allontanamento forzato dal consesso sociale e per le conseguenti maggiori difficoltà di reinserimento in esso, rispetto a quella di chi abbia potuto permanere al domicilio scelto a contatto quotidiano con congiunti o conviventi e che ha potuto fruire di forme di socialità nell’ambito degli affetti più cari, negli spazi liberamente accessibili nel perimetro di un’abitazione o di altra soluzione alloggiativa confacente. La constatazione della più invasiva incidenza delle limitazioni alla libertà personale, della diversa qualità di vita e della ben maggiore afflittività in genere dell’esecuzione per i condannati effettivamente ristretti in ambito inframurario, giustifica un trattamento di favore speciale per quanti abbiano versato in condizioni oggettive di incrementata sofferenza, eccedenti la normale condizione restrittiva, e quindi anche la diversa protrazione della durata dell’espiazione, pur a parità di sanzione originariamente inflitta nel titolo esecutivo. Per contro, non giova additare ad esempio di un trattamento discriminante in danno dei detenuti domiciliari il diverso caso dei condannati ammessi alla semilibertà ed ai permessi premio costoro possono beneficiare della liberazione anticipata speciale per la evidente ragione che stanno ancora espiando la pena con la permanenza, ancorché parziale se commisurata al semestre o all’arco temporale giornaliero, all’interno degli Istituti penitenziari e quindi vanno annoverati a questi effetti nella popolazione carceraria, mentre non altrettanto può dirsi di chi sia affidato in prova al servizio sociale o permanga ristretto al proprio domicilio. Merita piena condivisione anche l’esclusione del contrasto tra la norma denunciata di incostituzionalità ed il principio di ragionevolezza. Rispetto ad affidati in prova al servizio sociale ed a detenuti domiciliari non è concepibile l’attuazione delle descritte finalità deflattiva e compensativa che concorrono a definire la ratio dell’istituto in esame, dal momento che l’abbreviazione della pena che costoro devono scontare non contribuisce sotto alcun profilo a migliorare la tensione alloggiativa nelle carceri e non li può ristorare di condizioni espiative che non sono degradanti e disumane resta quindi giustificata razionalmente la loro esclusione dal beneficio, che, per quanto già esposto, non ha quale presupposto esclusivo per l’accesso il profilo della meritevolezza e della partecipazione al trattamento rieducativo. Non ha alcun fondamento al riguardo la pretesa di assegnazione in via astratta e generalizzata al detenuto domiciliare, anche se sia tale per effetto delle disposizioni di favore applicabili ai collaboratori di giustizia, di un maggiore grado di recupero sociale rispetto a chi sconti la pena in contesto carcerario, dipendendo tale effetto dal grado di adesione individuale al percorso trattamentale e dalle concrete opportunità rieducative di cui ci si è giovati. Non può correttamente affermarsi che il detenuto al domicilio sia a priori più meritevole del detenuto che è in carcere, sicché soffre di irrimediabile astrazione ed apoditticità la tesi che addita quest’ultimo come meno sensibile e recettivo ai principi di legalità e revisione critica del proprio vissuto deviante. E nel diverso regime di accesso alla liberazione anticipata non è ravvisabile alcuna punizione per affidati in prova al servizio sociale e detenuti domiciliari, bensi’ si constata la ragionevole differenziata considerazione della loro situazione esecutiva. Ed ancora, non può condividersi l’assunto difensivo, secondo il quale l’avere potuto beneficiare delle previsioni della L. n. 82 del 1991, art. 16 nonies - e nella fattispecie di detenzione domiciliare che costituisce applicazione concreta dell’istituto omonimo più generale di cui all’art. 47 ter O.P. -, dimostra in sé un’evoluzione maggiormente positiva e più significativa della personalità del condannato, posto che non sussiste coincidenza di presupposti tra quanto preteso da detta norma e ciò che è richiesto per concedere la liberazione anticipata. È sufficiente considerare al riguardo che la norma pretende, quale condizione per la concessione dei benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia, condannati per determinate tipologie di reato, la prestazione di collaborazione utile alla fruizione delle circostanze attenuanti previste dal sistema codicistico o dalla legislazione speciale, nonché la positiva verifica dell’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, che in sé non assume significato di autentica revisione critica delle scelte delinquenziali pregresse, atteggiamento che non può, invece, escludersi in assoluto nel detenuto, pur di analoga estrazione criminosa, intenzionato a cambiare vita, ma non ad accusare altri, meritando cosi’ l’attenuazione del proprio regime sanzionatorio. Anche il distinto profilo di contrasto tra la disciplina dell’art. 4, comma 5, e la funzione rieducativa della pena non ha pregio se si considera che a quanti abbiano potuto godere della detenzione domiciliare è comunque consentito avvantaggiarsi della liberazione anticipata ordinaria e quindi di fruire di quello stimolo incentivante la fattiva partecipazione all’opera rieducativa, costituito dall’abbreviazione della pena nella misura di quarantacinque giorni per semestre di esecuzione Corte Cost., sentenza n 186 del 23/5/1995 . Quanto osservato induce dunque a concludere per l’effettiva manifesta infondatezza della questione d’incostituzionalità proposta. Per le considerazioni svolte, il ricorso va respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.