Sonno provocato dai farmaci, nessuna risposta al controllo della polizia: condannato

Non più discutibile il reato di evasione. Per i magistrati è evidente l’assenza illegittima dell’uomo dall’abitazione. Fatale la verifica notturna effettuata dalle forze dell’ordine. Fragile l’alibi della terapia farmacologica essa avrebbe dovuto comportare problemi anche in occasione di altri controlli.

Sonno profondissimo, provocato da una forte terapia farmacologica, e tale da non avvertire minimamente il suono del citofono di casa. Alibi troppo fragile, però così l’uomo, costretto ai ‘domiciliari’, si ritrova condannato per evasione”. Fatale il non aver risposto ‘presente’ in occasione di un controllo notturno delle forze dell’ordine Corte di Cassazione, sentenza n. 1071/2016, depositata oggi . Citofonare. Pena dura ben otto mesi di reclusione . Nessun dubbio per i giudici di merito l’uomo, agli arresti domiciliari , si è allontanato illegittimamente, in piena notte, dalla propria abitazione. Inequivocabile, in sostanza, il fatto che egli non abbia dato risposte in occasione di un controllo della polizia giudiziaria. Gli uomini delle forze dell’ordine, difatti, hanno suonato insistentemente, alle 3 e 45 del mattino, per circa venti minuti al citofono dell’abitazione , ma l’uomo non ha dato segnali di vita. Logico, quindi, dedurre da quel silenzio il reato di evasione . Assente. E ora la linea di pensiero tracciata tra primo e secondo grado viene condivisa anche dalla Cassazione. Non più discutibile, quindi, la condanna. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, è semplice la lettura della mancata risposta in occasione del controllo da parte delle forze dell’ordine l’uomo si era allontanato senza autorizzazione , quella notte, dal luogo degli arresti domiciliari . Risibile la linea difensiva proposta anche in Cassazione. Il legale ribadisce che il suo cliente è affetto da una patologia psicotica – disturbo bipolare , per la precisione –, e che è obbligato ad assumere farmaci che provocano, come effetto collaterale, un sonno profondissimo. Ecco perché l’uomo non ha reagito al suono del citofono , nonostante, secondo il legale, egli fosse in casa. Per i giudici, però, a smentire questo alibi è sufficiente il richiamo a precedenti verifiche , andate regolarmente a buon esito. Detto in maniera chiara, gli uomini delle forze dell’ordine hanno effettuato ripetutamente controlli notturni, e tutti hanno dato riscontro positivo, consentendo di accertare la presenza dell’uomo nell’abitazione . Poco plausibile che la terapia farmacologica abbia avuto effetti collaterali solo in un’occasione Evidente, quindi, il reato di evasione commesso dall’uomo, che, però, in ultima battuta vede ridotta la pena a quattro mesi di reclusione .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 – 13 gennaio 2016, n. 1071 Presidente Rotundo – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza pronunciata in data 16 aprile 2014, la Corte di appello di Catanzaro, confermando la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Lamezia Terme il 19 novembre 2012, ha condannato P.M., concesse le attenuanti generiche, alla pena di otto mesi di reclusione. Il prevenuto è stato in tal modo ritenuto responsabile dei reato di evasione di cui all'art. 385 cod. pen., in relazione all'art. 3 d.l. n. 152 del 1991 cony. in legge n. 203 del 1991, perché essendo egli legalmente detenuto, in quanto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari presso la propria abitazione, in forza dell'ordinanza emessa in data 11 dicembre 2008 dal Tribunale di Catanzaro, si allontanava dal luogo di espiazione della misura, sottraendosi volontariamente allo stato di detenzione personale e alla costante e immediata possibilità di controllo da parte della polizia giudiziaria. La Corte territoriale, richiamandosi alle motivazioni spese dal Giudice di primo grado, ha confermato l'esistenza dell'elemento materiale del contestato reato, non essendo stato l'imputato rinvenuto presso la propria abitazione il giorno 12 dicembre 2009, in occasione di un ordinario controllo dagli operanti che, dopo aver suonato insistentemente, per circa venti minuti, alle ore 3,45 dei mattino, al citofono funzionante dell'abitazione del primo, non ricevevano dallo stesso risposta. La Corte ha, per contro, disconosciuto fondatezza alla tesi difensiva dei prevenuto, tesi per la quale l'imputato - affetto da malattia psichica e sottoposto a terapia farmacologica - si sarebbe trovato in uno stato di sonno profondissimo che avrebbe impedito allo stesso di avvertire il suono del campanello. I Giudici di secondo grado, facendo applicazione dei costante orientamento della Corte di cassazione - che vuole il reato di evasione integrato, quanto all'estremo obiettivo, da un qualsiasi allontanamento, impeditivo del dovuto agile controllo da parte delle forze dell'ordine, dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, e, quanto all'estremo soggettivo, dalla consapevolezza dell' agente del carattere indebito del primo - hanno concluso per l'esistenza del contestato reato. 2. Avverso l'indicata sentenza propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato che articola tre motivi. 2.1. Con il primo motivo, la parte fa valere illegittimità da violazione di legge art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. pen., in relazione agli artt. 385 e 192 cod. pen. e, ancora, illogicità e contraddittorietà della motivazione art. 606, comma 1, lett. e cod. proc. pen. , denunciando la non sussumibilità del fatto, come accertato, alla fattispecie di cui all'art. 385 cod. pen., in difetto di prova dell'elemento materiale dell'allontanamento dal luogo di detenzione. 2.2. Con il secondo motivo, la difesa del ricorrente denuncia la sentenza della Corte territoriale di illegittimità per violazione di legge processuale e vizio di motivazione art. 606, comma 1, lett. b e c cod. proc. pen. in relazione agli artt. 385 e 43 cod. pen. , contestando della prima il carattere meramente assertivo dell'esistenza in capo all'agente dell'elemento soggettivo, esistenza non sostenuta, in punto di motivazione, in ordine alla volontarietà dell'azione. Il prevenuto, deduce la difesa, avrebbe infatti curato la patologia psicotica disturbo bipolare da cui era affetto assumendo farmaci, in ragione dei quali non avrebbe udito il suono del campanello e su detta circostanza i Giudici di appello, e prima ancora il Tribunale, non avrebbero motivato non stimando come rilevante la documentazione medica prodotta. 2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente fa valere violazione di legge art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. pen. dell'impugnata sentenza in relazione all'art. 2 della legge n. 199 del 2010 e dell'art. 385 cod. pen., lamentando l'erroneità del calcolo determinativo della pena così come operato dal primo giudice e confermato in appello. Per detto calcolo si sarebbe fatta applicazione del più severo trattamento sanzionatorio di cui all'art. 385, comma primo, cod. pen., come novellato dall'art. 2, comma 1, lett. a della legge 26 novembre 2010, n. 199, in vigore solo a far data dal 16 dicembre 2010, e non del previgente e più mite regime da applicarsi, nella specie, in ragione dell'epoca di commissione del reato intervenuta il 12 dicembre 2009. La parte ha quindi chiesto di fissarsi la pena irrogata in quattro mesi di reclusione, previa concessione delle generiche, muovendo da una pena base di sei mesi di reclusione, ridotta per la concessione delle generiche. Ritenuto in diritto 1. Ik primo motivo di ricorso è infondato. La Corte di appello di Catanzaro ha fatto corretta applicazione dei principio consolidato affermato dalla giurisprudenza di legittimità per il quale, integra il reato di evasione qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, non rilevando la durata e la distanza dello spostamento o i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale Sez. 6, 09/06/2015, n. 28118, Rapino, Rv. 263977 Sez. 6, 21/03/2012, n. 11679, Fedele . L'impugnata sentenza dà congruamente conto, quanto all'estremo dell'allontanamento, della circostanza che il M. non venne rinvenuto dagli operanti presso la propria abitazione nel corso del controllo effettuato, debitamente valorizzando, per motivazione sorretta da logica e come tale non sindacabile in sede di legittimità, la mancata risposta dei prevenuto al suono dei citofono attivato dalla p.g. alle ore 3,45 del mattino, per un rilevante lasso temporale - venti minuti - ed insistentemente e, quindi, con modalità tali da richiamare l'attenzione dell'imputato. Il raffronto con quanto avvenuto all'esito di precedenti controlli che, effettuati dalla p.g. secondo le medesime modalità, avrebbero invece consentito agli operanti la verifica della presenza dei M. presso l'abitazione, luogo di espiazione della misura cautelare, è argomento che vale, ancora congruamente, a sostenere l'esistenza dei ritenuto allontanamento. Le indicate circostanze sono state debitamente apprezzate poi dalla Corte territoriale come non superabili, dalla prova raggiunta in giudizio in ordine alla dedotta patologia psichica da cui l'imputato sarebbe stato affetto ed agli effetti della connessa terapia farmacologica, la cui osservanza avrebbe provocato nel M. uno stato di sonno profondissimo che avrebbe reso lo stesso insensibile ad ogni richiamo sonoro. La Corte territoriale ha infatti, con ragionamento pienamente sorretto da logica, argomentando da quanto accaduto nel corso di pregressi controlli, evidenziato come questi ultimi, pur svolti secondo identiche modalità, avessero dato esito positivo, consentendo agli operanti di verificare la presenza del prevenuto nella sua abitazione. I Giudici di appello hanno altresì sottolineato come non fosse stata prodotta documentazione medica - risultando quella versata in udienza, in secondo grado, relativa a periodo successivo a quello in contestazione - diretta a segnalare dell'indicata terapia natura ed effetti o comunque l'assunzione della stessa nella notte del controllo o, ancora, differenze nell'assunzione della terapia tali da suggerire, per quella notte, i diversi, dedotti, esiti sul paziente. 2. II secondo motivo di ricorso è del pari infondato. La sentenza della Corte di appello di Catanzaro infatti, ancora in adesione a giurisprudenza di legittimità, ha fatto corretta applicazione del principio per il quale il reato di evasione è sostenuto dal dolo generico, caratterizzato dalla consapevolezza dell'agente di allontanarsi dal luogo di detenzione in assenza della necessaria autorizzazione Sez. 6, 08/05/2012, n. 19218, Rapillo, Rv. 252876 Sez. 6, 06/11/2008, n. 44969, Lussi . Le vicende dedotte dalla difesa in fase di appello e riproposte in sede di legittimità sulla patologia, da cui derivare il difetto della consapevolezza dei prevenuto di essersi sottratto alla misura ed ai connessi controlli, restano assorbite, nel loro voluto rilievo, da quanto complessivamente motivato nella sentenza impugnata in ordine alla prova raggiunta sullo stato patologico in cui il prevenuto si sarebbe trovato sulla terapia osservata e sugli effetti della stessa. 3. Il terzo motivo di ricorso è fondato. Il M. ha posto in essere la condotta di evasione al 12 dicembre 2009 allorché era in vigore il trattamento sanzionatorio contenuto nella cornice edittale tra i sei mesi e l'anno di detenzione laddove il Tribunale di Lamezia Terme in primo grado, applicandolo, e la Corte di appello di Catanzaro in secondo grado, confermandolo, hanno ritenuto in capo al prevenuto la più severa pena introdotta dall'art. 2, comma 1, lett. b , n. 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199 che ha ridefinito i termini edittali come ricompresi tra uno e tre anni di detenzione. La pena finale risulta infatti erroneamente determinata dal nuovo minimo edittale, pari ad un anno di reclusione, in base al quale il primo Giudice ha determinato la pena finale in otto mesi di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche. Per il generale disposto di cui all'art. 2, comma quarto, cod. pen., che governa il fenomeno della successione nel tempo delle leggi penali, il trattamento sanzionatorio applicabile è quello più favorevole al reo da individuarsi, per le indicate cornici di pena, in quello ante legge n. 199 del 2010, e quindi in quello in vigore all'epoca della consumazione dei contestato reato. Per detta evidenza la Corte, per mero calcolo aritmetico sottratto ad ogni sindacato di merito, può pervenire alla ortopedica lettura del trattamento ritenuto ex art. 620, comma primo, lett. I , cod. proc. pen. , fissando lo stesso nella pena finale di mesi quattro di reclusione pena base mesi sei di reclusione, ridotta ex art. 62-bis cod. pen. alla pena applicata . 4. Conclusivamente quindi va annullata senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta, con rideterminazione della stessa nei termini sopra indicata. Nel resto, il ricorso va rigettato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta, che ridetermina in mesi quattro di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.