Il solo esercizio della prostituzione non è sufficiente per l’emissione del foglio di via

L’ordine di allontanamento, di cui all’art. 2 della l. n. 1423/1956, ha come presupposto applicativo la realizzazione di condotte pericolose per la sicurezza pubblica, previste espressamente dall’art. 1 della medesima legge. L’esercizio della prostituzione non rientra nei comportamenti pericolosi idonei a determinare l’emissione del provvedimento.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47474/2015, depositata il 1° dicembre. Il caso. La Corte d’Appello di Ancona, confermando la pronuncia di primo grado, affermava la penale responsabilità di un’imputata per l’illecito di cui all’articolo 2 della l. n. 1423/1956 inottemperanza a foglio di via emesso dal Questore . La condannata ricorreva per cassazione, rilevando l’illegittimità del provvedimento amministrativo adottato dall’Autorità competente e lamentandone la mancata disapplicazione da parte del giudice penale. La ricorrente, esercente la prostituzione, sottolineava la natura lecita di tale attività ed escludeva l’idoneità della stessa a dar luogo all’emissione del foglio di via. I fatti di adescamento non integrano una condotta di reato. La Suprema Corte ha mostrato di aderire al costante orientamento giurisprudenziale per cui debba essere disapplicato, dal giudice penale, il provvedimento amministrativo di cui all’articolo 2, l. n. 1423/1956, ove trovi esclusiva motivazione nell’esercizio dell’attività di prostituzione. La norma in esame, hanno precisato gli Ermellini, fa dipendere l’ordine di allontanamento dalla realizzazione di condotte pericolose per la sicurezza pubblica, previste espressamente dall’articolo 1 della medesima legge. L’esercizio della prostituzione, secondo una tesi pacifica in giurisprudenza, non rientra nei comportamenti pericolosi atti a determinare l’emissione del provvedimento di allontanamento. La Corte di legittimità ha, peraltro, chiarito che i fatti di adescamento non integrano una condotta di reato, essendo intervenuta la depenalizzazione, con l’articolo 81 della l. n. 689/1981, della fattispecie prevista originariamente dall’articolo 5, comma 1, della l. n. 75/1958. Il provvedimento di allontanamento, poi, deve essere motivato con riferimento ad elementi concreti di fatto, non con un rimando generico alla categoria della pericolosità. Gli Ermellini hanno, infine, evidenziato come, dal testo di legge, emerga l’impossibilità di far ricadere sul soggetto interessato dal provvedimento le eventuali condotte illecite poste in essere da tersi. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio il provvedimento impugnato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 ottobre – 1 dicembre 2015, numero 47474 Presidente Chieffi – Relatore Magi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 15 luglio 2013 la Corte d'Appello di Ancona confermava i contenuti della decisione di primo grado, emessa in data 22 giugno 2012 dal G.M. presso la Sezione Distaccata di S.Elpidio a Mare dei Tribunale di Fermo, nei confronti di P.T. . Con tali conformi decisioni di merito è stata dunque affermata la penale responsabilità dell' imputata per il reato di cui all'art. 2 legge numero 1423 dei 1956 - inottemperanza al foglio di via obbligatorio emesso dal Questore di Ascoli Piceno e notificatole il 18 giugno 2009 - per fatto avvenuto il 13 gennaio 2011 in Porto Sant'Elpidio con condanna a giorni venti di arresto . Il giudice di primo grado ritiene integrata la fattispecie in virtù della constatazione obiettiva dei rientro nel comune e della legittimità del provvedimento amministrativo posto a monte. La pericolosità della P. era stata ritenuta sussistente in virtù dei fatto che costei era stata più volte controllata in località Fratte di Sant'Elpidio, mentre esercitava la prostituzione in atteggiamenti definiti `adescatori e scandalosi', nonostante la presenza in loco di civili abitazioni. Tale motivazione dell'atto amministrativo viene ritenuta fondata in fatto e comunque insindacabile in punto di valenza dei giudizio di pericolosità. La Corte d'Appello, nel valutare i contenuti a lei offerti, affermava, in sintesi, che l'atto amministrativo posto a monte non poteva essere oggetto di disapplicazione da parte dei giudice penale in quanto non si limitava a parificare l'esercizio dell'attività di prostituzione ad una condotta in sé pericolosa per la pubblica sicurezza o tranquillità, ma evidenziava modalità del fatto ora, forme e luogo dell'offerta sessuale tali da far ragionevolmente presumere la violazione di norme penali o comunque idonee a sostenere la valutazione di pericolosità di cui alle norme regolatrici. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - P.T. , deducendo erronea applicazione delle norme regolatrici e vizio di motivazione. Nel ricorso si ribadisce che in realtà il provvedimento amministrativo violato era illegittimo e il giudice penale avrebbe dovuto disapplicarlo. Ciò perché l'esercizio della prostituzione non è di per sé un reato e dunque non può dar luogo alla emissione - da parte dell'autorità amministrativa - dei foglio di via obbligatorio. Né risultano - in concreto - indicate condotte tali da integrare una o più ipotesi di reato commesse durante l'esercizio di detta attività dall'imputata. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato, per le ragioni che seguono. Questa Corte, con orientamento cui il Collegio presta adesione da ultimo sent. numero 41738 del 16.9.2014, rv 260515 ha affermato che lì dove il provvedimento amministrativo di cui all'art. 2 legge numero 1423 del 1956 foglio di via obbligatorio sia motivato con esclusivo riferimento all'attività di prostituzione - esercitata dall'imputata - è doverosa la sua disapplicazione da parte del giudice penale chiamato a pronunziarsi sulla ricorrenza dell'ipotesi di reato di cui all'art. 2 co.2 1.1423/'56 v. anche Sez. I numero 4426 del 5.12.2013, rv 259015 . Ciò perchè la stessa norma dell'art. 2 pone come presupposto dell'ordine di allontanamento non un qualsivoglia comportamento 'pericoloso per la sicurezza pubblica' nozione che aprirebbe il varco a forme incontrollabili di discrezionalità ma una condotta pericolosa che sia espressione delle riconosciute categorie criminologiche di cui al precedente articolo 1 numero 1 soggetti abitualmente dediti, sulla base di elementi di fatto, a traffici delittuosi/ numero 2 soggetti che per condotta e tenore di vita debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, produttori di proventi derivanti da attività delittuose con cui si sostengono, almeno in parte /numero 3 soggetti dediti, sulla base di elementi di fatto, alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica . Ora, come è stato già ritenuto nelle precedenti decisioni sul tema, è dei tutto pacifico che l'esercizio della prostituzione in sè non rientra tra le categorie delle persone pericolose ai sensi della vigente normativa già in base alla L. numero 327 del 1988 che ebbe ad eliminare il riferimento a coloro che svolgono abitualmente attività contrarie alla morale pubblica ed al buon costume . Nè può ritenersi condotta di reato quella consistente in fatti di 'adescamento', stante la depenalizzazione operata con art. 81 della legge numero 689 del 1981 della fattispecie originariamente prevista dall'art. 5 co.1 legge numero 75 dei 1958. Va poi rilevato come sia anche dei tutto certo che, pur nell'ambito delle categorie contemplate dalla legge, il provvedimento amministrativo non possa essere motivato con indicazione generica della categoria di pericolosità ritenuta presente nel caso specifico, ma debba indicare gli elementi concreti in fatto, riferibili al soggetto interessato, sui quali il provvedimento è fondato. Non può ritenersi, dunque, che l'esercizio della prostituzione - in sè attività non costituente reato - possa fondare l'emissione di un provvedimento di allontanamento basato sulle ipotesi di cui al numero 1 dell'art. 1 traffici delittuosi o numero 2 vivere con provento di attività delittuose . Ma neanche tale attività può dar luogo alla 'iscrizione' del soggetto nella categoria di cui all'art. 1 numero 3 della legge in parola, evocato nel provvedimento posto a base della successiva condotta illecita in termini di inottemperanza . È dei tutto evidente, sul punto, che l'offesa o la messa in pericolo dei beni indicati in detta norma l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica , per essere rilevante ai fini in parola, deve discendere da veri e propri reati ascrivibili al soggetto, e non da condotta in sè non costituente reato o dal mero pericolo della sua consumazione . Ritenere diversamente finirebbe invero, in modo dei tutto inammissibile, per ripristinare surrettiziamente, a questi fini, la categoria già soppressa dalla L. numero 327 del 1988. Dal chiarissimo testo di legge è poi rilevabile, in modo dei tutto piano, che eventuali reati, o comportamenti pericolosi, commessi da terze persone, sia pur occasionati dall'offerta prostitutoria, non possono ricadere ai sensi di legge sul soggetto che si prostituisce, a meno che l'offerta stessa non si concretizzi in condotte di reato. Ciò posto, meramente ipotetica risulta essere - nel caso in esame - la commissione di reati 'correlati' all'attività esercitata e posti in essere dall'imputata coinvolgimento di minori o realizzazione di atti osceni in luogo pubblico . Sul punto, la motivazione della decisione impugnata risulta dei tutto carente e inadeguata proprio perchè affronta il tema muovendosi sul terreno della 'probabilità', e dunque valorizzando indicatori generici e non soggettivizzati, posto che dagli atti non era dato scorgere alcuna condotta diversa dalla ordinaria attività di offerta delle prestazioni sessuali. In ciò le critiche mosse nel ricorso risultano fondate, posto che l'illegittima emissione del provvedimento amministrativo - disapplicabile per violazione di legge e vizio di motivazione - rende insussistente la fattispecie di reato oggetto di contestazione. Da ciò deriva l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto di reato non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.