Ragazzo aggredito da un vicino, il padre scende in strada: condannato per evasione

Confermata la sanzione dodici mesi di reclusione. Improponibile la tesi difensiva dello stato di necessità. Irrilevante anche il fatto che l’uomo ai domiciliari sia stato beccato sì sulla strada, ma nei pressi del portone di ingresso dell’abitazione.

Raptus paterno per difendere il figlio. Ma la discesa di corsa in strada costa carissima all’uomo, costretto ai domiciliari. Consequenziale la condanna per il reato di evasione. Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 47277/15 depositata oggi Padri. Lite tra ragazzini. A far degenerare la situazione, però, sono i due padri. Uno aggredisce il minore che si è scontrato con suo figlio, l’altro reagisce e scende in strada per difendere il proprio ragazzo. Ma l’uomo che abbandona di corsa la propria abitazione per vendicare l’offesa subita dal figlio minore, che aveva avuto una discussione con un vicino di casa, paga un conto salato per quel ‘colpo di testa’ da padre arrabbiato. Egli, difatti, era sottoposto agli arresti domiciliari per tentato omicidio , e la sua scelta di allontanarsi da casa viene punita con una condanna a un anno di reclusione per evasione . Per i Giudici di merito è di facile lettura la vicenda l’uomo, ai domiciliari, ha aggredito il vicino di casa sulla pubblica via, fuori dal portone del palazzo dove abita con la famiglia. Fuga. Risibile, quindi, il richiamo dell’uomo a un presunto stato di necessità , ossia l’aver dovuto soccorrere il figlio per evitargli danni e lesioni . Ma tale visione viene riproposta dal legale dell’uomo con ricorso ad hoc in Cassazione. In particolare, il difensore sostiene che il suo cliente non ha mai inteso sottrarsi alla vigilanza, avendo avuto solo lo scopo di soccorrere il figlio , vittima di una aggressione . Allo stesso tempo, poi, viene sostenuta l’illogicità della visione tracciata in appello. Per il legale, difatti, non può considerarsi evasione un qualsiasi allontanamento di poco conto , proprio come in questa vicenda, in cui l’uomo è stato colto appena fuori dal portone di ingresso della propria abitazione . Anche nel contesto del Palazzaccio, però, le obiezioni difensive si rivelano inutili. Per i Giudici di terzo grado, innanzitutto, è impensabile parlare di stato di necessità per giustificare la condotta dell’uomo. Soprattutto perché egli ha lasciato l’abitazione per vendicare l’offesa subita poco prima dal figlio, che era stato schiaffeggiato dal vicino dopo che il ragazzo aveva indirizzato uno sputo verso suo figlio . Peraltro, l’evasione , ossia l’allontanamento dagli arresti domiciliari , prescinde dai motivi che hanno determinato la condotta , ossia la fuga. Contemporaneamente è inutile anche il richiamo al fatto che l’uomo aveva realizzato una evasione ‘minima’, essendo stato beccato vicinissimo alla propria abitazione . Ciò perché per abitazione si intende esclusivamente il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata . Inevitabili e facili da trarre le conclusioni confermata la condanna dell’uomo a un anno di reclusione .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 5 – 30 novembre 2015, n. 47277 Presidente Rotundo – Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Caltanissetta confermava la sentenza del Tribunale di Gela del 25 novembre 2010 che aveva dichiarato S. A. P. responsabile del delitto di cui all'art. 385 cod. pen., condannandolo alla pena di un anno di reclusione. In particolare, era stato accertato in sede di merito che l'imputato, sottoposto agli arresti domiciliare per tentato omicidio, si era allontanato senza autorizzazione dal luogo di esecuzione della misura, per vendicare l'offesa subita dal figlio minore che aveva avuto una discussione con il titolare di un negozio ubicato sotto la sua abitazione. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, quest'ultimo era stato aggredito dall'imputato sulla pubblica via, fuori dal portone dell'abitazione di questi, tanto da farsi medicare al pronto soccorso per le lesioni riportate. In sede di appello, erano state rigettate le tesi della difesa, volte ad escludere l'oggettiva e soggettiva configurabilità del reato per essersi l'imputato allontanato dalla propria abitazione per un fatto del tutto urgente ed occasionale e per soccorrere il figlio ed evitargli danni e lesioni all'incolumità e la sua antigiuridicità ai sensi dell'art. 54 cod. pen., così come la richiesta per un trattamento sanzionatorio più mite. 2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione il difensore dell'imputato, articolando cinque motivi di impugnazione. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della legge penale per carenza dell'elemento oggettivo dei reato e della violazione dell'interesse tutelato dall'art. 385 cod. pen., nonché irrazionalità e contraddittorietà della motivazione. Il ricorrente contesta che possa considerarsi evasione un qualsiasi allontanamento di poco conto, come quello in esame, nel quale l'imputato era stato colto appena fuori del portone di ingresso della propria abitazione, e denuncia che su tale questione la sentenza non si sia pronunciata. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione della legge penale per carenza dell'elemento soggettivo dei reato, in quanto l'imputato non avrebbe mai inteso sottrarsi alla vigilanza, avendo avuto la azione il solo scopo di soccorrere il figlio, e che la sentenza impugnata su tale punto risulterebbe carente. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione della legge e carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'esimente di cui all'art. 54 cod. pen., almeno nella forma putativa, in quanto l'azione dell'imputato era giustificata dallo stato di necessità, creatosi a causa dell'aggressione subita dal figlio, documentata con certificazione medica, e che su tale punto la motivazione della sentenza di appello sarebbe laconica. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la carenza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio per aver irrogato una pena effettivamente elevata. Con l'ultimo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della legge e l'irrazionalità del giudizio per mancata valutazione della carenza di un elemento obiettivo di punibilità, in quanto al momento della condotta la misura cautelare aveva perso di efficacia per scadenza dei termini di fase, benché il formale provvedimento di scarcerazione venne adottato solo 5 giorni dopo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, per essere i motivi proposti manifestamente infondati e non consentiti in sede di legittimità. 2. Il primo motivo è palesemente infondato. Va ribadito il consolidato principio di diritto secondo cui, agli effetti dell'art. 385 cod. pen., deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non aleatorietà tra tante, Sez. 6, n. 4830 del 21/10/2014 - dep. 02/02/2015, P.M. in proc. Capkevica, Rv. 262155, in motivazione, la S.C. ha precisato che il fine primario e sostanziale della misura coercitiva degli arresti domiciliari è quello di impedire i contatti con l'esterno ed il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelare, che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni . Il giudice di appello si è attenuto a questo principio di diritto, come è dato leggere a pagina 4 della motivazione del provvedimento impugnato, che non può essere all'evidenza definirsi carente, tenuto anche conto che la medesima censura era stata già proposta e risolta in modo conforme in prime cure. 3. Il secondo motivo è anch'esso manifestamente infondato. Va riaffermato il principio consolidato secondo cui l'evasione consistente nell'allontanamento del detenuto agli arresti domíciliari richiede il dolo generico, caratterizzato dalla consapevolezza di allontanarsi in assenza della necessaria autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell'agente tra tante, Sez. 6, n. 19218 del 08/05/2012, P.G. in proc. Rapillo, Rv. 252876 . Il giudice di appello si è attenuto a questo principio di diritto, come è dato leggere a pagina 4 della motivazione del provvedimento impugnato, che non può essere all'evidenza definirsi carente, tenuto anche conto che la medesima censura era stata già proposta e risolta in modo conforme in prime cure. 4. Il terzo motivo è inammissibile. I Giudici di merito hanno escluso la ricorrenza nel caso in esame dei presupposti per l'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 54 cod. pen., avendo l'imputato rappresentato di aver lasciato l'abitazione per vendicare l'offesa subita poco prima dal figlio, che era stato schiaffeggiato dal vicino dopo che il ragazzo aveva indirizzato uno sputo al figlio di questi. A fronte di questa ricostruzione, il ricorrente sottopone alla Corte di legittimità una non consentita rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione nella prospettiva di una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali ex multis, Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 . 5. Il quinto motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte di appello offerto adeguata e logica motivazione al diniego di un trattamento sanzionatorio più mitigato avendo tenuto conto della gratuità dei gesto e dei precedenti penali per reati in materia di stupefacenti . Deve ritenersi infatti adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza glì elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 cod. pen. tra tante, Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Urrata S e altri, Rv. 211582 Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013 - dep. 23/01/2014, Waychey e altri, Rv. 258410 . 6. L'ultimo motivo è del tutto generico, in quanto il provvedimento di scarcerazione allegato, nulla dice in ordine alla presunta scadenza dei termini di durata della misura cautelare la motivazione attiene infatti solo alla cessazione delle esigenze cautelarí e il ricorrente non ha prodotto altra documentazione a riprova del suo assunto, che quindi resta solo labialmente enunciato. 7. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di euro 1.000 a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.