Sanitario reperibile: alla chiamata consegue l’obbligo di presentarsi, urgenza o meno

L’operatore sanitario ospedaliero, in servizio di reperibilità e contattato dal medico già in struttura, deve ritenersi responsabile dell’illecito di omissione di atti d’ufficio, ove rifiuti di recarsi in ospedale sulla base della presupposta insussistenza della situazione d’urgenza prospettata.

In questo senso di è pronunciata la Corte di Cassazione, con sentenza n. 47206/2015, depositata il 27 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Campobasso, riformando parzialmente la sentenza di condanna del giudice di prime cure, operava una riduzione della pena inflitta ad un imputato per il reato di cui all’art. 328, comma 1, c.p. rifiuto di atti d’ufficio . Il condannato ricorreva per cassazione, lamentando violazione di legge e carenza di motivazione in relazione all’affermazione, da parte della Corte territoriale, della sua responsabilità per l’illecito contestato. La necessità e l’urgenza della chiamata non sono sindacabili da parte dell’operatore sanitario reperibile. La Suprema Corte ha ribadito il proprio orientamento per cui l’operatore sanitario ospedaliero, in servizio di reperibilità e contattato dal medico già in struttura, deve ritenersi responsabile dell’illecito di omissione di atti d’ufficio, ove rifiuti di recarsi in ospedale sulla base della presupposta insussistenza di una situazione d’urgenza. La necessità e l’urgenza della chiamata non sono suscettibili di essere messe in discussione da parte del sanitario in reperibilità. Gli Ermellini, a sostegno di quanto sopra, hanno confermato la tesi, consolidata in giurisprudenza, per cui il servizio di pronta disponibilità, disciplinato dal d.P.R. n. 348/1983 art. 25 , ha lo scopo di rinforzare l’assistenza sanitaria nelle strutture ospedaliere e ricopre, pertanto, una funzione integrativa, e non sostitutiva, del turno di guardia. Il presupposto del servizio è, pertanto, la concreta reperibilità del sanitario ed il suo immediato intervento nel reparto. L’atto dovuto oggetto dell’obbligo, quindi, deve essere riscontrato nell’assicurare l’intervento presso il luogo di cura, intervento cui l’operatore non può sottrarsi sulla base del proprio giudizio tecnico inerente al difetto di una situazione di urgenza. La violazione dell’obbligo sopra descritto, a parere del Collegio, integra il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell’art. 328, comma 1, c.p., essendo irrilevante l’effettiva ricorrenza dell’urgenza dell’intervento chirurgico. La Suprema Corte ha ribadito che l’istituto della reperibilità deve essere ritenuto una modalità organizzativa del servizio garantito dalla struttura ospedaliera e che l’urgenza ed il relativo obbligo di presentarsi, in caso di chiamata dell’operatore reperibile da parte del medico presente in struttura, si configurano in termini formali, senza possibilità di sindacato. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 ottobre – 27 novembre 2015, n. 47206 Presidente Milo – Relatore Rotundo Fatto e diritto 1 .-. L. V. ha proposto, tramite il suo difensore, ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale, in data 8-1-15, la Corte di Appello di Campobasso, in parziale riforma della condanna pronunciata nei suoi confronti in primo grado per il reato di cui all'art. 328, comma primo, c.p., concesse le attenuanti generiche, ha ridotto la pena a lui inflitta a mesi cinque e giorni dieci di reclusione, con rifusione delle spese di parte civile, liquidate come da dispositivo. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione della sua responsabilità per il reato a lui ascritto, osservando che non vi era alcuna urgenza ovvero indifferibilità di intervento che gli accertamenti radiologici erano stati eseguiti e restava da effettuare la sola refertazione che nessun rifiuto vi era stato da parte sua, avendo i due sanitari R. ed esso L. discusso e valutato insieme la stato del paziente in esito alla visita eseguita dal R. ed agli esami tecnici prontamente effettuati con semplice differimento della loro refertazione che si era trattato di una sola chiamata da parte del R. allo L., chiamata mai reiterata né dal R. né da altri sanitari. 2 .-. Questa Corte, affrontando una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, ha ritenuto che risponde del delitto di omissione di atti di ufficio il sanitario ospedaliero, in servizio di pronta reperibilità, che, chiamato dal medico già presente nel nosocomio, si rifiuta di recarsi in ospedale, sul presupposto che non sarebbe ravvisabile alcuna situazione di urgenza. Sez. 6, Sentenza n. 12376 del 13/02/2013, Rv. 255391, Da Col . Nella motivazione di questa sentenza, si è precisato che il sanitario in servizio di pronta reperibilità non ha alcuna possibilità di sindacare la necessità e l'urgenza della chiamata. Del resto é orientamento di legittimità consolidato quello secondo il quale il servizio di pronta disponibilità previsto dal D.P.R. 25 giugno 1983, n. 348 è finalizzato ad assicurare una più efficace assistenza sanitaria nelle strutture ospedaliere ed in tal senso è integrativo e non sostitutivo del turno cosiddetto di guardia. Ne consegue che esso presuppone, da un lato, la concreta e permanente reperibilità del sanitario e, dall'altro, l'immediato intervento del medico presso il reparto entro i tempi tecnici concordati e prefissati, una volta che dalla Sede ospedaliera ne sia stata comunque sollecitata la presenza. Su questi presupposti, concretandosi l'atto dovuto nell'obbligo di assicurare l'intervento nel luogo di cura, il sanitario non può sottrarsi alla chiamata deducendo che, secondo il proprio giudizio tecnico, non sussisterebbero i presupposti dell'invocata emergenza. Sez. 6, Sentenza n. 5465 del 18/03/1986 Rv. 173105 Imputato BADESSA e che il chirurgo in servizio di reperibilità, chiamato dal medico già presente in ospedale che ne sollecita la presenza in relazione ad una ravvisata urgenza di intervento chirurgico, deve recarsi subito in reparto e visitare il malato, non essendogli consentito di sindacare a distanza la necessità e l'urgenza della chiamata. Ne consegue che il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell'art. 328 cod. pen., comma 1, si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non è tecnicamente connessa all'effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell'intervento chirurgico Sez. 6, Sentenza n. 48379 del 25/11/2008 Rv. 242400, Brettoni . Come ha chiarito l'ultimo arresto citato, l'istituto della reperibilità o di pronta disponibilità costituisce una modalità organizzativa dei servizi apprestati dalle aziende sanitarie ed è disciplinato dal D.P.R. 25 giugno 1983, n. 348, art. 25, recante trattamento del personale delle unità sanitarie locali G.U. 20 luglio 1983, n. 197 , successivamente sempre richiamato o ripreso dai contratti collettivi nazionali dell'area della dirigenza medico veterinaria del servizio sanitario nazionale v. in particolare artt. 19 e 20 C.C.N.L. 5.12.1996, art. 16, comma 6, C.C.N.L. 1998-2001 e interpretazione autentica dell'art. 16 C.C.N.L. 8.6.2000 concordata il 7.5.2003 . Tale servizio è caratterizzato dall'immediata reperibilità del dipendente e dall'obbligo per lo stesso di raggiungere il presidio nel più breve tempo possibile dalla chiamata . Questa Corte ha, del resto, già avuto modo di precisare, ovvero che il chirurgo in servizio di reperibilità, chiamato dal collega già presente in ospedale che ne sollecita la presenza in relazione ad una ravvisata urgenza di intervento chirurgico, deve recarsi subito in reparto e visitare il malato. L'urgenza ed il relativo obbligo di recarsi subito in ospedale per sottoporre a visita il soggetto infermo vengono a configurarsi in termini formali, senza possibilità di sindacato a distanza da parte del chiamato. Ne consegue che il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell'art. 328 c.p., comma l, si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non è tecnicamente connessa all'effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell'intervento chirurgico Cass. sez. 6, n. 6328/1996, RV 205089 . 3 . Tanto premesso, deve in primo luogo rilevarsi che le censure del ricorrente attengono prevalentemente alla valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del giudice di merito e non può essere posta in questione in sede di giudizio di legittimità quando fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica. Nel caso di specie, i giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono pervenuti alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. In secondo luogo, va evidenziato che la Corte di merito nella sentenza impugnata ha correttamente applicato i principi espressi nel punto che precede. L. V. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 328, comma 1, c.p., perché, in qualità di medico radiologo in servizio presso l'Ospedale SS. Rosario di Venafro, ed in turno di reperibilità, chiamato da un collega presente nel suddetto ospedale per redigere il referto di una TAC effettuata su Violo Christian il quale, poco prima, era caduto in bicicletta, procurandosi un trauma cranico di grado lieve gruppo 1, essendosi su di lui riscontrate evidenti amnesie, con ferite lacere al cuoio capelluto e trauma al gomito ed al ginocchio destro , aveva rifiutato di recarsi presso il nosocomio per attendere alle incombenze a lui affidate. Come si è visto, il servizio che l'imputato stava espletando comporta, in base alla normativa che lo disciplina, l'immediata reperibilità del dipendente e l'obbligo per lo stesso di raggiungere il presidio nel più breve tempo possibile dalla chiamata. D'altra parte dalla escussione del dr. R. è emerso che il rifiuto dello L. di recarsi presso il nosocomio, pur essendogli state illustrate le condizioni cliniche del paziente, era risultato del tutto immotivato e le deduzioni di senso contrario del ricorrente sono rimaste del tutto indimostrate. Dalle argomentazioni sopra svolte discende la infondatezza del ricorso in esame. 4 . Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile, Violo Christian, liquidate in euro duemilacinquecento, oltre iva e cpa.