Se la nullità vuoi evitare, alla persona offesa dal reato l’esito delle indagini tu devi comunicare…

Alla luce della plurioffensività del reato di peculato, il soggetto che abbia subito un danno dalla condotta rientrante nella fattispecie di cui all’art. 314 c.p. riveste la qualità di persona offesa e, per come tale, è legittimata a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, la quale deve essergli notificata a cura dello stesso magistrato inquirente, sempreché abbia espressamente dichiarato di voler essere informata circa l’esito delle indagini.

Con una breve ma densa pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione sentenza n. 46797, depositata il 25 novembre 2015 ha svolto pregevoli considerazioni, sia di diritto sostanziale, sia di diritto processuale. Il nuovo peculato post legge n. 86/1990. A seguito della rilevante novella risalente al 1990, l’odierna fattispecie di peculato contenuta entro l’art. 314 c.p. ingloba al suo interno sia il vecchio” peculato, sia la malversazione a danno di privati contenuta nell’abrogato art. 315 c.p. . Quest’ultima – pur avendo una struttura analoga al peculato – si differenziava per la minore entità della pena e per l’oggetto materiale della condotta, costituito da denaro o cosa mobile non appartenente alla PA laddove nel peculato, invece, l’appartenenza era richiesta . Il legislatore del 1990 ha sostituito l’appartenenza con il concetto di altruità, che evidentemente comprende sia la titolarità pubblica che quella privata nella nuova” fattispecie di cui all’art. 314 c.p. rientra, pertanto, anche la precedente ipotesi di malversazione a danno dei privati. La accertata plurioffensività. Proprio alla luce dell’ampliamento della portata incriminatoria dell’art. 314 c.p. si evince che i beni tutelati dallo stesso sono non soltanto il buon andamento, l’imparzialità, la legalità e l’efficienza della PA, ma anche l’interesse che il titolare dell’oggetto di appropriazione ha di conservarlo, sia esso di tipo patrimoniale, sia esso anche o solo di natura diversa, in considerazione di particolari legami esistenti tra il soggetto passivo e il bene. Pertanto, proprio dalla postulata plurioffensività del peculato se ne trae che colui che abbia subito un danno dalla condotta incriminata riveste la qualità di persona offesa in quanto tale, quindi, legittimata proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, giusta gli artt. 408 e 410 c.p.p Mancato inoltro dell’avviso alla persona offesa. La circostanza che ha dato luogo alla pronuncia degli Ermellini è stata la mancata comunicazione alla persona offesa della richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, benché la stessa ne avesse fatto richiesta all’atto di presentazione della denunzia - querela. Il Gip presso il Tribunale di Asti, infatti, aveva – conseguentemente alla richiesta - disposto con decreto l’archiviazione del procedimento. Il difensore della persona offesa, avendo avuto conoscenza del suddetto decreto solamente in occasione del ritiro di copia degli atti contenuti nel fascicolo del PM, ai fini della presentazione di una memoria integrativa, proponeva ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge relativamente agli artt. 408, comma 2, 409, comma 6, 127, comma 5, e 178, lett. c , c.p.p., lamentando l’assenza di qualsivoglia comunicazione in merito alla avanzata richiesta di archiviazione. Vulnus del diritto al contraddittorio. In linea con l’ormai pacifico orientamento della stessa, la Cassazione ribadisce il principio secondo cui l’omissione ad opera del pubblico ministero dell’avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa che abbia espressamente dichiarato di volerne essere informata integra una violazione del diritto costituzionalmente garantito al contraddittorio ne consegue, pertanto, la nullità del decreto di archiviazione ai sensi dell’articolo 127 comma 5 c.p.p Conseguentemente, qualificato il denunziante – avente effettuato la richiesta di essere informato circa l’esito delle indagini – come persona offesa del delitto di peculato, stante la mancata notifica dell’avviso richiesto dall’artt. 408, comma 2, c.p.p., visto il combinato disposto degli artt. 127, comma 5, e 178, lett. c , c.p.p., gli Ermellini hanno annullato senza rinvio il decreto del Gip, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Asti per l’ulteriore corso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 ottobre – 25 novembre 2015,n. 46797 Presidente Agrò – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con decreto emesso in data 11 settembre 2014 il G.i.p. presso il Tribunale di Asti ha disposto l'archiviazione del procedimento penale iscritto a nome di G.G. per il reato di cui all'art. 314 c.p., con la restituzione degli atti al P.M. richiedente. 2. Avverso il su citato decreto il difensore di fiducia della persona offesa P. G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge in relazione agli artt. 408, comma 2, 409, comma 6, 127, comma 5 e 178, lett. c , c.p.p., sul rilievo che nessun avviso gli era stato notificato dal P.M. in merito alla richiesta di archiviazione avanzata nell'agosto 2014 di cui era venuta a conoscenza in occasione del ritiro di copia degli atti contenuti nel fascicolo, ai fini della presentazione di una memora integrativa , con la conseguente vanificazione dei diritto al contraddittorio, benchè avesse espressamente dichiarato di volerne essere informato nell'atto di denuncia-querela. I fatti oggetto di denuncia, in particolare, assumono una veste pubblicistica in ragione della qualifica di amministratore di sostegno degli anziani genitori rivestita dal denunciato fratello Giacomo, integrando, per il resto, un'appropriazione indebita in danno del patrimonio del denunciante. Al riguardo si deduce, inoltre, la natura plurioffensiva del delitto di peculato, la cui previsione è dal legislatore posta a tutela non solo del buon andamento e dell'imparzialità della P.A, ma anche dei beni patrimoniali della pubblica amministrazione e di soggetti privati. 3. Con memoria pervenuta in Cancelleria il 6 ottobre 2015 il difensore di fiducia di G.G. ha dedotto che il ricorrente è privo della qualità di persona offesa e del tutto legittimamente, pertanto, egli non ha ricevuto l'avviso ex art. 408, comma 2, c.p.p. . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate. 2. E' noto che l'odierna fattispecie di peculato è il risultato di un'opera di semplificazione e di chiarimento cui l'originaria previsione è stata sottoposta dall'art. 1 della l. n. 86/1990 tale semplificazione, infatti, è avvenuta unificando in una sola fattispecie, denominata peculato , le due precedenti figure delittuose del peculato e della malversazione a danno di privati. Quest'ultima, in particolare, era prevista nell'art. 315 c.p. - che l'art. 20 della su citata I. n. 86/90 ha abrogato - e presentava la medesima struttura dei peculato, da cui tuttavia si differenziava per la minore pena da tre ad otto, anziché da tre a dieci anni di reclusione e per l'oggetto materiale della condotta appropriazione o distrazione a profitto proprio o altrui , costituito dal denaro ovvero da cosa mobile non appartenente alla P.A., mentre l'appartenenza a quest'ultima era richiesta nel peculato. Nella nuova figura di peculato, invece, l'appartenenza non è più presente, sostituita dalla nozione di altruità dei denaro o della cosa mobile secondo un'espressione evidentemente comprensiva della titolarità sia pubblica che privata , ed è altresì scomparsa la condotta distrattiva, a profitto proprio o di altri. L'opera di chiarimento dei legislatore, infine, si è estrinsecata in due ulteriori direzioni a da un lato, la riforma ha affiancato al possesso dei denaro o della cosa mobile il requisito della loro disponibilità da parte dell'agente, così escludendo che fossero sottratte all'area di rilevanza del peculato talune situazioni esulanti dalla nozione di possesso restrittivamente interpretata b dall'altro lato, è stata introdotta la nuova figura del peculato d'uso, ossia di un uso momentaneo della cosa, seguito dalla sua immediata restituzione. L'attuale modello, così come disegnato dal legislatore, costituisce dunque una crasi tra le originarie, diverse, figure delittuose descritte negli artt. 314 e 315 c.p., rivelando la totale indifferenza dell'appartenenza della cosa mobile o del denaro oggetto di appropriazione alla P.A. ovvero ai privati, per effetto della trasposizione all'interno della nuova fattispecie della precedente ipotesi di malversazione a danno di privati ossia dell'abrogato art. 315 c.p. . Ne consegue che, oltre a vulnerare l'interesse per il buon andamento e l'imparzialità della P.A., il peculato offende anche l'interesse che il titolare del bene oggetto dell'appropriazione ha di conservarlo si tratta, generalmente, di un interesse patrimoniale, ma non si può affatto escludere, come pure si è evidenziato da parte della dottrina, che sia, anche o solo, di altra natura, in dipendenza di particolari legami del soggetto passivo con il bene. Emerge in tal modo la natura plurioffensiva del peculato, poiché all'indubbia esigenza di attribuire rilievo al disvalore delle particolari forme di abuso che si realizzano attraverso le condotte di appropriazione o di uso non compatibili con la funzione o il servizio, o comunque non consentite dall'ordinamento, si affianca, proprio in ragione dei tipici elementi strutturali della fattispecie, quella di tutelare gli aspetti patrimoniali che risultino danneggiati da condotte lesive di interessi propri della stessa P.A., ovvero di soggetti privati. Del resto, è proprio l'offensività patrimoniale del reato di peculato a dischiudere la possibile applicazione delle circostanze di cui agli artt. 61, n. 7 e 61, n. 4, c.p. per l'attenuante v., ad es., Sez. 6, n. 12838 del 10/02/2005, dep. 06/04/2005, Rv. 231040 Sez. 5, n. 6067 del 04/04/1979, dep. 30/06/1979, Rv. 142403 per l'aggravante v. Sez. 3, n. 2768 del 12/12/1966, dep. 23/03/1967, Rv. 103837 . Entro tale prospettiva, infatti, questa Suprema Corte Sez. 6, n. 2963 del 04/10/2004, dep. 31/01/2005, Rv. 231032 Sez. 6, n. 4328 del 02/03/1999, dep. 07/04/1999, Rv. 213660 Sez. 6, n. 8009 del 10/06/1993, dep. 24/08/1993, Rv. 194920 ha più volte affermato che la natura plurioffensiva dei reato di peculato implica che l'eventuale mancanza di danno patrimoniale conseguente all'appropriazione non ne esclude la sussistenza, atteso che rimane pur sempre leso dalla condotta dell'agente l'altro interesse, diverso da quello patrimoniale, protetto dalla norma incriminatrice, ossia quello del buon andamento della P.A. . La previsione dei reato di peculato, infatti, è posta a tutela non solo della legalità, dell'efficienza, della probità ed imparzialità dell'attività della P.A., ma altresì del patrimonio, della stessa o di terzi Sez. 6, n. 8009 del 10/06/1993, dep. 24/08/1993, cit. . Per le medesime ragioni, inoltre, si è, anche di recente, precisato v. Sez. 6, n. 41587 del 19/06/2013, dep. 08/10/2013, Rv. 257148 v., inoltre, Sez. 6, n. 8009 del 10/06/1993, dep. 24/08/1993, Rv. 194921 che, in tema di peculato, la semplice restituzione della somma sottratta al privato non comporta il riconoscimento dell'attenuante della riparazione dei danno provocato dalla condotta illecita del pubblico ufficiale, poiché la fattispecie di reato, pur potendo tutelare eventualmente anche il patrimonio dei privati, si caratterizza principalmente per le finalità di tutela del patrimonio della P.A. e dell'interesse alla legalità, efficienza e imparzialità della sua attività. Dalla connotazione di eventuale plurioffensività del delitto di peculato, in ragione dei vulnus inferto al concorrente interesse del privato danneggiato dalla condotta appropriativa del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, discende, pertanto, che il soggetto al quale tale condotta abbia arrecato un danno riveste la qualità di persona offesa dal reato, legittimata in quanto tale a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, in applicazione degli artt. 408 e 410 cod. proc. pen. . Non dissimile, sotto altro ma connesso profilo, deve ritenersi la ragione giustificativa della soluzione indicata in questa Sede Sez. 6, n. 20399 del 22/03/2006, dep. 14/06/2006, Rv. 234728 Sez. 6, n. 1106 del 13/03/1997, dep. 14/05/1997 Rv. 207933 per l'ipotesi dell'abuso d'ufficio finalizzato ad arrecare ad altri un danno ingiusto - avente natura plurioffensiva per la sua idoneità a ledere, oltre all'interesse pubblico al buon andamento e alla trasparenza della P.A., anche il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento illegittimo ed ingiusto del pubblico ufficiale - ovvero per il delitto di omissione di atti di ufficio, di cui all'art. 328, comma secondo, cod. pen., sul rilievo che la sua realizzazione lede, oltre l'interesse pubblicistico, anche il concorrente interesse del privato eventualmente danneggiato dall'omissione o dal ritardo dell'atto amministrativo dovuto Sez. 6, n. 9730 del 27/11/2013, dep. 27/02/2014, Rv. 259104 Sez. 2, n. 17345 del 29/03/2011,. dep. 05/05/2011, Rv. 250077 . In entrambi i casi ora considerati, infatti, si è ritenuto che il privato danneggiato riveste la qualità di persona offesa dal reato e che l'omesso avviso della richiesta di archiviazione, qualora egli abbia chiesto di esserne informato, viola il diritto al contraddittorio. Non pertinente, infine, deve ritenersi il richiamo operato nella motivazione del provvedimento impugnato ad un precedente di questa Suprema Corte Sez. 6, n. 4074 dei 22/02/1999, dep. 30/03/1999, Rv. 214151 , avente ad oggetto la diversa ipotesi di peculato mediante profitto dell'errore altrui ex art. 316 c.p. , le cui concrete modalità di realizzazione coinvolgevano, propriamente, i soli interessi patrimoniali dell'amministrazione finanziaria dello Stato. 3. Nel caso in esame non emerge dagli atti l'espletamento del su descritto incombente procedurale, benchè il ricorrente avesse espressamente manifestato, nel suo atto di denuncia-querela, di voler essere informato circa l'esito delle indagini effettuate dal P.M. relativamente al procedimento in oggetto. Al riguardo, invero, costituisce il frutto di una pacifica linea interpretativa di questa Suprema Corte il principio secondo cui l'omesso avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa che ne abbia fatto espressa richiesta determina la violazione del contraddittorio, con la conseguente nullità dei decreto dì archiviazione ai sensi dell'art. 127, comma quinto, cod. proc. pen. Sez. 6, n. 24273 del 19/03/2013, dep. 04/06/2013, Rv. 255108 Sez. 4, n. 47025 del 26/09/2014, dep. 13/11/2014, Rv. 260950 Sez. 3, n. 11543 del 27/11/2012, dep. 12/03/2013, Rv. 254743 . 4. II provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Asti per l'ulteriore corso. P.Q.M. Annulla senza rinvio il decreto impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Asti per l'ulteriore corso.