Il profitto del reato di associazione per delinquere è sequestrabile in via autonoma

Il delitto di associazione per delinquere può essere considerato in sé idoneo a generare un profitto, che è sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente, in via del tutto autonoma rispetto a quello prodotto dai reati fine.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 46162, depositata il 23 novembre 2015. Il caso. Nei confronti di una società per azioni veniva emesso decreto di sequestro preventivo per equivalente ritenuta configurabile una responsabilità per illecito amministrativo dipendente da reato art. 416 c.p., artt. 3 e 4 l. n. 146/2006 . Davanti alla Suprema Corte si pone, dunque, il tema del rapporto tra reati tributari e responsabilità degli enti ai sensi del d.lgs. n. 231/2001. I Giudici di legittimità, infatti, nella pronuncia in oggetto hanno affrontato la questione dell’ammissibilità del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di un ente, imputato per associazione per delinquere connotata dalla transnazionalità ed avente come reati scopo dei delitti di natura fiscale. La conclusione dei Giudici è stata per l’accoglimento del ricorso proposto dalla società imputata contro il decreto di sequestro a suo carico, sostenendo che i Giudici di merito avrebbero dovuto motivare in ordine all’esistenza dell’associazione ed in particolare in merito agli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 416 c.p., nonché in ordine alla non ipotizzabilità di un concorso continuato nei reati fiscali. L’autonomo profitto del reato di associazione per delinquere. Nell’accogliere il ricorso per tali motivi, però, la Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento consolidato in giurisprudenza Corte Cass. n. 26721/2015 in base al quale il delitto di associazione per delinquere può essere considerato in sé idoneo a generare un profitto, che è sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente , in via del tutto autonoma rispetto a quello prodotto dai reati fine, e che è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguiti dall’insieme di questi ultimi, siano essi attribuibili ad uno o più associati . Sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente A norma dell’art. 5 del d.lgs. n. 231/2001, sostiene la Corte, l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio ed ai sensi dell’art. 19, nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca. Trai i reati per i quali è configurabile l’illecito amministrativo dell’ente, è compreso l’art. 416 c.p Quanto al reato associativo transnazionale contestato, per il quale è prevista la responsabilità amministrativa dell’ente, l’art. 11 stabilisce che, qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la confisca per equivalente. per la responsabilità amministrativa dell’ente. Correttamente, pertanto, conclude la Corte, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente è stato applicato in relazione al reato di cui agli artt. 416 c.p., 3 e 4 l. n. 146/2006 ed altrettanto correttamente il Tribunale ha ritenuto che il profitto conseguito andasse individuato in quello derivante dai reati di frode fiscale rientranti nel programma associativo dell’organizzazione criminale transnazionale. In base ai principi richiamati, quindi, non è condivisibile la tesi sostenuta dalla ricorrente secondo la quale non sarebbe ammessa la possibilità di imputare direttamente al reato associativo il profitto dei reati-fine. Come si è detto, infatti, la giurisprudenza di legittimità, ha avuto modo di affermare che il profitto dei reati fine ben può essere direttamente considerato come profitto del reato associativo . fonte www.ilsocietario.it

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 ottobre – 23 novembre 2015, numero 46162 Presidente Squassoni – Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza in data 28/07/2014, rigettava la richiesta di riesame, proposta nell'interesse della società Verbatim Italia S.p.a., confermando il decreto di sequestro preventivo per equivalente, emesso dal G.i.p. del Tribunale di Napoli in data 02/07/2014 ed avente ad oggetto beni mobili, beni immobili e conti correnti intestati alla società fino alla concorrenza della somma di Euro 96.327.534,80. Premetteva il Tribunale che il G.i.p. aveva disposto il sequestro, ritenendo configurabile nei confronti della Verbatim una responsabilità per illecito amministrativo dipendente da reato articolo 416 cod.penumero , articolo 3 e 4 Lnumero 146/2006 , per il quale risultavano indagati B.M. , quale amministratore, L.M. , nella qualità di responsabile commerciale, S.M.S. , quale amministratore delegato e rappresentante legale pro tempore, per aver organizzato, promosso e comunque fatto parte di un'associazione per delinquere transnazionale finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti in materia di evasione fiscale e truffa. Il G.i.p. emetteva, nei confronti degli indagati, anche ordinanza di applicazione di misure cautelari personali, in relazione ai reati di cui agli articolo 416 cod.penumero , 5 e 8 D.L.vo 74/2000, che veniva confermata dal Tribunale del riesame in data 14/05/2014, sul presupposto della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Tanto premesso, assumeva il Tribunale che il G.i.p. avesse correttamente ritenuto, attraverso una verifica in concreto, sussistenti nei confronti della Verbatim i gravi indizi di colpevolezza in ordine all'illecito amministrativo contestato, che non risultavano certo scalfiti dalle argomentazioni difensive. Dalle indagini, lunghe ed articolate, consistite in sequestri, intercettazioni, accertamenti documentali, acquisizione di documentazione contabile, era emerso che il sodalizio criminoso operasse in un contesto internazionale, avvalendosi di una pluralità di società estero vestite, con sedi sia in paesi a fiscalità privilegiata che in paesi UE, con la finalità di evadere le imposte dovute e commettere truffe in danno dello Stato. Il sistema fraudolento ideato dagli associati prevedeva l'acquisto di CD e DVD vergini ed altro materiale informatico, con marchio Verbatim, destinati al mercato italiano attraverso vendite supportate dall'emissione di documenti fiscali per operazioni inesistenti da parte di varie società cartiere, con conseguimento di un ingiusto profitto, corrispondente all'evasione dell'iva, delle imposte sui redditi ed alla mancata corresponsione dell'imposta Siae. Soltanto apparentemente la merce veniva esportata dalla Verbatim al di fuori del territorio nazionale, attraverso vendite estero su estero la merce, invece, arrivava direttamente in Italia con falsa documentazione di trasporto, con conseguente emissione di false fatturazioni da parte delle società cartiere, che, in quanto importatrici di merce proveniente dall'estero, erano gravate dall'obbligo di versare l'iva e l'imposta Siae incassate al momento della cessione al cliente italiano tale obbligo veniva però evaso. Un ruolo fondamentale nell'organizzazione avevano i vertici della Verbatim Italia, la quale traeva indiscutibile vantaggio dall'attuazione del programma criminoso. La società, infatti, attraverso la cessione solo cartolare alle società estere anziché diretta ai clienti italiani non assumeva la veste di importatore dei propri prodotti in Italia e, pertanto, non assumeva l'obbligo di versamento delle imposte il che consentiva di vendere i prodotti a prezzi fortemente concorrenziali, come era attestato dall'aumento del fatturato e dei volumi di vendita . Come emergeva, in particolare, dalle intercettazioni vi era un diretto coinvolgimento dei vertici aziendali della Verbatim Italia negli illeciti rapporti commerciali con le società estero vestite e di tale operato illecito traeva direttamente vantaggio economico la società. Riteneva, pertanto, il Tribunale che il quadro indiziario fosse idoneo ad integrare il fumus criminis dell'illecito amministrativo dipendente da reato a carico della Verbatim Italia. Le risultanze delle indagini, poi, smentivano l'assunto difensivo, secondo cui i vertici della società avrebbero agito per un interesse personale, procurando non un vantaggio ma un danno economico alla società lo schema fraudolento posto in essere, invero, consentiva alla Verbatim di praticare prezzi concorrenziali e ricavare quindi enormi guadagni . Assumeva, infine, il Tribunale che correttamente il G.i.p. avesse disposto il sequestro per un valore corrispondente al profitto, conseguito attraverso i reati di frode fiscale rientranti nel programma associativo dell'organizzazione criminale transnazionale essendo il sequestro applicato in relazione al reato associativo transnazionale, era irrilevante che i reati di frode fiscale non fossero inclusi nell'elenco degli illeciti penali di cui all'articolo 24 e ss. D.L.vo 231/2001 . 2. Ricorre per cassazione l'avv. Giulia Bongiorno, nella qualità di difensore ex articolo 39 D.L.vo 231/2001 della Verbatim Italia S.p.a Dopo una premessa, con la quale si evidenzia che la Verbatim non è una società schermo, ma una importante realtà imprenditoriale, denuncia, con il primo motivo, la violazione degli articolo 125, 321 cod.proc.penumero per motivazione meramente apparente in tema di fumus dell'illecito amministrativo dipendente da reato articolo 10 L. 146/2006 , nonché la inosservanza od erronea applicazione degli articolo 110, 81 e 416 cod.penumero . Il Tribunale ha motivato in ordine alla configurabilità dei reati fine, senza argomentare in relazione agli elementi costitutivi del reato associativo limitandosi ad affermare che tale reato risultava dai provvedimenti cautelari in precedenza richiamati . Nella motivazione del provvedimento impugnato si fa riferimento soltanto al supposto schema fraudolento posto in essere. Non è stato quindi svolto alcun esame in ordine alle ragioni per cui non fosse ipotizzabile il mero concorso continuato nella commissione di reati fiscali. Tale accertamento risultava indispensabile in quanto i reati fiscali non comportano responsabilità amministrativa dell'ente. L'ordinanza impugnata è affetta anche da una erronea interpretazione della legge penale, avendo il Tribunale ritenuto sostanzialmente sussistente l'ipotesi associativa per il solo fatto che l'ente abbia tratto vantaggi economici dalla commissione dei reati fiscali da parte dei propri organi tesi questa che escluderebbe qualsiasi distinzione tra concorso nel reato e reato associativo . Né certamente l'elemento temporale è risolutivo. Era necessario, invece, individuare e motivare in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo. E tanto meno l'assenza di motivazione sul punto può essere superata con il rinvio ad altri provvedimenti cautelari, che si limitano anche essi a ricostruire i meccanismi operativi della frode fiscale. E, secondo, la giurisprudenza di legittimità, il Tribunale non può limitarsi a prendere atto della tesi accusatoria, dovendo sottoporre a vaglio l'integralità dei presupposti che legittimano la misura cautelare. Con il secondo motivo denuncia la violazione degli articolo 38 e 40 D.L. 331/1983, 5 e 8 D.L.vo 74/2000. L'ordinanza impugnata risulta condizionata dalla erronea ricostruzione della normativa fiscale applicabile. Le operazioni poste in essere dalla Verbatim Italia S.p.a. sono conformi allo schema di triangolazione intracomunitaria previsto dagli articolo 38 e 40 D.L.331/1983., che consente ad un operatore italiano di acquistare beni da un operatore comunitario per poi cederli ad altro soggetto di impresa comunitario. L'acquisto si intende effettuato in Italia, ma senza l'assolvimento di imposta, quando i beni vengano trasportati da uno Stato membro all'altro senza passare in Italia e vengano trasferiti ad un soggetto passivo di imposta nello Stato membro di destinazione, purché il cessionario sia designato come debitore di imposta. È questo lo schema legittimamente utilizzato dalla Verbatim. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all'articolo 2635 c.c. ed agli articolo 5 e 6 D.L.vo 231/2001. Secondo la tesi del Tribunale potrebbe parlarsi di un reato in danno dell'ente, commesso da un dirigente corrotto, soltanto quando dall'illecito non sia derivato alcun profitto. Ma, a parte il fatto che l'ente non ha ricevuto alcun vantaggio, l'articolo 6 comma 5 D.L.vo 231/2001 prevede la confisca del profitto derivante dalla commissione del reato da parte di un soggetto che si trovi in posizione apicale, quando la società non sia ritenuta responsabile dell'illecito amministrativo si tratta quindi di un'ipotesi di ristoro dell'equilibrio economico alterato, per la quale non è utilizzabile il sequestro preventivo . La confisca del profitto del reato prevista dagli articolo 9 e 19 D.L.vo 231/2001 ha, invece, carattere sanzionatorio ed è collegata all'illecito amministrativo posto in essere. Non è sufficiente quindi, perché insorga la responsabilità amministrativa, che l'ente abbia tratto vantaggio dal comportamento infedele dei propri rappresentanti. Nel caso di specie risulta che le direttive impartite dal Gruppo Verbatim in ordine ai rapporti con clienti e fornitori erano rigorose e che esse erano state disattese. Tanto che la società ha proposto denuncia querela nei confronti di tutti coloro che si siano resi autori di condotte infedeli e dannose. La Verbatim ha subito un danno dalle plurime violazioni dei doveri di ufficio, come già evidenziato nella richiesta di riesame come emergeva dalle stesse intercettazioni e dalla documentazione prodotta . L'incremento delle vendite si era risolto a vantaggio delle società dei Meoni, i quali avevano beneficiato di forti sconti, al punto da poter rivendere i prodotti con marchio Verbatim al di sotto deprezzo minimo praticato dalla società. L'aumento delle vendite, quindi, non si era risolto in un corrispondente incremento degli utili. Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge in relazione agli articolo 2,19 e 53 D.L.vo 231/2001, 416 c.p., 3,4, 10 e 11 L. 146/2006. Il Tribunale ha ritenuto assoggettabile a confisca il profitto dei reati fiscali rientranti nel programma associativo, in base al disposto dell'articolo 11 D.L.vo 146/2006. Ma, attraverso tale interpretazione, ha violato l'articolo 2 D.Lvo 231/2001, secondo cui l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa non sia espressamente prevista da una legge entrata in vigore prima del fatto commesso. Ha, invero, ritenuto che possa essere sottoposto a sequestro per equivalente un profitto relativo a reati di natura fiscale non indicati nel D.L.vo 231/2001. In tal modo ha, altresì, disatteso i principi enunciati dalle Sezioni Unite sent. 10561/2014 , secondo cui la confisca per equivalente non può essere disposta nei confronti della persona giuridica per reati tributari commessi dai suoi organi, non essendo tali reati previsti dagli articolo 24 e ss. D.L.vo 231/2001, a meno che non si tratti di uno schermo fittizio utilizzato dal reo per commettere l reati. Secondo le Sezioni Unite non può neppure ricorrersi ad una interpretazione analogica, che opererebbe in malam partem. Né è possibile procedere alla confisca attraverso l'articolo 416 cod.penumero , come del resto già affermato dalla sentenza della sez. 6 numero 3635/2013. I reati fiscali, non previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità dell'ente, non possono infatti essere recuperati attraverso il reato associativo, trattandosi di delitti scopo del sodalizio. Il profitto confiscabile è stato dal Tribunale fatto coincidere con il vantaggio economico coincidente con il profitto dei reati di frode fiscale . Trattandosi di questione rilevante e vertendosi in una materia di speciale importanza, potendo la questione di diritto da risolvere dar luogo a contrasto giurisprudenziale, si chiede la rimessione alle Sezioni Unite, a norma degli articolo 610, comma 2, e 619 c.p.p Con il quinto motivo denuncia la violazione degli articolo 19 e 53 D.L.vo 231/2001, 322 ter c.p. e 11 L.146/2006, nonché l'apparenza della motivazione. Il Tribunale ha ritenuto che non fosse necessario procedere alla ricerca del profitto diretto del reato, eventualmente esistente nelle casse delle società cartiere del gruppo Meoni. Tale assunto si pone però in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui tale accertamento preliminare è assolutamente doveroso. Come ribadito dalle Sezioni unite il sequestro funzionale alla confisca per equivalente è legittimo soltanto se il reperimento dei beni costituenti il profitto di reato sia impossibile, anche se transitoriamente Sez.Unumero Gubert del 2014 . Il Tribunale, quindi, non ha affrontato la questione della impossibilità di procedere alla confisca del profitto diretto del reato. Con il sesto motivo, infine, denuncia la violazione degli articolo 109 e 53 D.L.vo 231/2001, 132 ter cod.penumero , 11 L. 146/2006, essendosi fatto riferimento, nel calcolare la presunta evasione dell'IRES, anche all'anno 2007 annualità che non riguarda la presunta operatività dell'associazione . 2.1. Con memoria, depositata in cancelleria in data 08/10/2015, nell'insistere per l'annullamento dell'ordinanza impugnata per i motivi di cui al ricorso, si chiede di valutare gli effetti della sentenza, emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli, depositata in data 04/08/2015, con la quale, nell'ambito dello stesso procedimento a carico dell'Ente, è stato dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dei dirigenti della Verbatim S.p.a. in relazione all'unico reato fine di cui all'articolo 8 D.L.vo 74/2000, commesso per la realizzazione del programma associativo. Secondo il G.i.p. erroneamente risultava contestato detto reato, che sanziona l'emissione o il rilascio di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, e non invece l'introduzione nel territorio italiano di merce. I dirigenti della Verbatim avrebbero, quindi, aderito all'associazione per commettere un reato insussistente. A maggior ragione non si comprende come l'Ente potesse trarre vantaggio da una condotta non sussumibile nella fattispecie di cui all'articolo 8 cit Si ribadisce, in ogni caso, quanto evidenziato nel terzo motivo di ricorso e cioè che, eventualmente, i dirigenti della Verbatim avevano agito per conseguire un profitto esclusivamente personale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini e nei limiti di seguito indicati. 2. Va premesso che, a norma dell'articolo 325 cod.proc.penumero , il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge. Secondo le Sezioni Unite sentenza numero 5876 del 28/1/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710 , nella nozione di violazione di legge rientrano, però, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l'articolo 125 cod.proc.penumero , che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso dall'articolo 606 lett. e c.p.p Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza numero 25932 del 29/5/2008-Ivanov, Rv. 25932, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. 3. Quanto ai poteri del Tribunale del riesame, secondo la giurisprudenza di questa Corte cfr.in particolare Sez.unite 29.1.1997, ric. P.M. in proc.Bassi , nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una piena cognitio del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all'esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul meritum causae , così da determinare una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell'ambito di un medesimo procedimento. L'accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono in una prospettiva di ragionevole probabilità di sussumere l'ipotesi formulata n quella tipica. Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro ex multis Cass. penumero sez. 3 numero 40189 del 2006 ric. Di Luggo . Il controllo non può, pertanto, limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall'accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell'antigiuridicità penale del fatto come contestato, tenendo conto, nell'accertamento del fumus commissi delicti , degli elementi dedotti dall'accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive. Secondo anche la già citata sentenza sez. unumero numero 23/1997 , non sempre correttamente richiamata, al giudice del riesame spetta quindi il dovere di accertare la sussistenza del c.d. fumus commissi delicti che, pur se ricondotto nel campo dell'astrattezza, va sempre riferito ad una ipotesi ascrivibile alla realtà fattuale e non a quella virtuale principi affermati più volte da questa sezione 3, 29.11.1996, Carli 1.7.1996, Chiatellino 30.11.199, Russo 2.4.2000, P.M. c. Cavagnoli numero 5145/2006 . In conclusione la verifica da parte del giudice del riesame del fumus commissi delicti , ancorché limitata all'astratta configurabilità del reato ipotizzato dal P.M., importa che lo stesso giudice, lungi dall'essere tenuto ad accettare comunque la prospettazione dell'accusa, abbia il potere-dovere di escluderla, quando essa appaia giuridicamente infondata cfr. Cass. penumero sez. 1 numero 15914 del 16.2.2007 Borgonovo . L'unica differenza che corre tra giudice cautelare e giudice di merito è che il primo non ha poteri di istruzione e di valutazione probatoria, che sono incompatibili con la natura cautelare del giudizio, ma tuttavia conserva in pieno il potere di valutare in punto di diritto se sulla base delle prospettazioni hic et inde dedotte ricorra il reato contestato cfr. Cass.penumero sez.3 numero 33873 del 7.4.2006-Moroni conf. Sez. 1 numero 21736 del 11.5.2007 sez.5 numero 24589 del 18.4.2011 . Anche più di recente è stato ribadito che, nella valutazione del fumus commissi delicti, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l'impostazione accusatoria e plausible un giudizio prognostico negativo per l'indagato Cass. sez. 5 numero 49596 del 16.9.2014 conf. sez. 5 numero 28515 del 21.5.2014 sez. 4 numero 15448 del 14.3.2012 sez. 5 numero 49596 del 16.9.2014 sez. 3 numero 26197 del 5.5.2010 . 4. Il sequestro preventivo è stato disposto nei confronti della Verbatim s.p.a., essendo stato ritenuto configurabile una responsabilità per illecito amministrativo dipendente da reato articolo 416 cod.penumero , articolo 3 e 4 L.146/2006 commesso dai vertici societari, nei confronti dei quali veniva emessa anche misura cautelare personale per il reato associativo transnazionale e per i reati fine di natura fiscale. A norma dell'articolo 5 D.L.vo 231/2001 l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio ed ai sensi dell'articolo 19 nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato comma 1 e, quando non è possibile eseguire la confisca, a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato. Tra i reati indicati negli articolo 24 e ss. D.L.231/2001, in ordine ai quali è configurabile l'illecito amministrativo dell'ente, è compreso il 416 cod.penumero non sono invece indicati i reati fiscali di cui al D.L.vo 74/2000. Quanto al reato associativo transnazionale contestato, per il quale è prevista la responsabilità amministrativa dell'ente articolo 3 e 10 , l'articolo 11, a sua volta, stabilisce che, qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la confisca di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo. Correttamente, pertanto, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente è stato applicato in relazione al reato di cui agli articolo 416 cod.penumero , 3 e 4 L.146/2006 ed altrettanto correttamente il Tribunale ha ritenuto, richiamando la prevalente giurisprudenza di legittimità, che il profitto conseguito andasse individuato in quello derivante dai reati di frode fiscale rientranti nel programma associativo dell'organizzazione criminale transnazionale pag. 18 e 19 ordinanza . 4.1. La tesi della ricorrente, fondata su qualche decisione rimasta isolata, secondo cui in tema di responsabilità da reato degli enti, allorché si proceda per il delitto trnsnazionale per delinquere e per reati non previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, la rilevanza di questi ultimi non può essere indirettamente recuperata, ai fini della individuazione del profitto confiscabile, per il loro carattere di delitti scopo del reato associativo contestato Cass. sez. 6 numero 3635 del 20/12/2013 , non è condivisa dal Collegio. Tale orientamento non tiene conto, infatti, che il profitto inteso come l'insieme dei benefici tratti dall'illecito può consistere anche nel complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme dei reati fine, dai quali il reato associativo è del tutto autonomo e la cui esecuzione è agevolata proprio dall'esistenza di una stabile struttura organizzativa e da un comune progetto delinquenziale Cass. sez. 3 numero 5869 del 27/01/2011, Cass. sez. 3 numero 11969 del 24/02/2011 sez. 2 numero 28960 del 26/06/2014 . Tale maggioritario orientamento è andato consolidandosi non si ritiene, pertanto, di rimettere la questione alle Sezioni Unite con la sentenza di questa sezione numero 26721 del 04/03/2015, Rv. 263945 , secondo cui il delitto di associazione per delinquere può essere considerato in sé idoneo a generare un profitto, che è sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente nei casi previsti dalla legge in via del tutto autonoma rispetto a quello prodotto dai rati fine, e che è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall'insieme di questi ultimi, siano essi attribuibili ad uno o più associati, anche non identificati, posto che l'istituzione della societas sceleris è funzionale alla ripartizione degli utili derivanti dalla realizzazione di programma criminoso. Si legge in motivazione proprio il rapporto esistente tra reato-mezzo e reati-fine, che è quello intercorrente tra il reato associativo e i reati-scopo, rende il fatto tipico del primo delitto diverso dal fatto tipico dei secondi sicché non appare giustificabile la tesi che non ammette la possibilità di imputare direttamente al reato associativo il profitto dei reati-fine. Una tale possibilità sembra peraltro ammessa ex positivo iure laddove l'articolo 416 bis c.p., afferma che l'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono del metodo mafioso per realizzare, tra l'altro, profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri sicché, in un contesto criminale associativo sia esso o meno di tipo mafioso, non vale obiettare che, siccome gli agenti pongono in essere i reati-fine, sono questi delitti non quello associativo a produrre direttamente il profitto. Il reato di associazione per delinquere, integrate tutte le altre condizioni per la sua configurabilità implica che gli associati agiscano nella consapevolezza delle attività volte alla realizzazione del comune programma criminale e dei profitti che ne derivano, ossia dei profitti che, in qualunque forma, l'associazione vada concretamente e periodicamente a conseguire in maniera duratura e permanente, anche e soprattutto attraverso la consumazione dei reati programmati, sicché non vi è dubbio che i proventi delittuosi, realizzati con la consumazione dei detti reati costituisce il vantaggio per il quale il reato associativo è stato concepito, anche in funzione della prevedibile ripartizione degli utili, del cui conseguimento, quale profitto del reato associativo, tutti gli associati, a maggior ragione i promotori e gli organizzatori, devono pertanto rispondere. In altri termini, i partecipi sono consapevoli sia del fatto che le proprie condotte rientrano nell'esecuzione del programma criminoso attraverso lo specifico contributo ricompreso nel generico programma di delinquenza e sia del fatto che il profitto non è destinato a recare un vantaggio uti singuli, se non limitatamente alla divisione degli utili conseguiti dall'organizzazione. Questa è la ragione per la quale la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il profitto dei reati-fine ben può essere direttamente considerato come profitto del reato associativo Sez. 3, numero 11969 del 24/02/2011, Rossetti, Rv. 249760 , senza che si abbia alcuna inaccettabile duplicazione di esso. In siffatti casi il profitto dei singoli reati-fine, e dunque la sommatoria dei vantaggi che da essi scaturiscono, si traduce in una utilità per l'intera organizzazione criminale ed i suoi componenti sicché, quando il profitto dei reati-fine . giova all'intera societas sceleris nel suo complesso, tale profitto, così individuato, può essere fondamentalmente posto a base della quantificazione del valore dei beni da confiscare per equivalente alla duplice condizione che la confisca di valore, cui il sequestro preventivo è finalizzato, costituisca misura espressamente prevista in presenza della realizzazione del reato associativo e sempre che, qualora detta misura sia anche espressamente prevista per in caso di realizzazione dei reati fine, non si abbia una indebita duplicazione del profitto confiscabile, preclusa, stante la natura sanzionatoria della confisca, dal principio del ne bis in idem sostanziale e da quello di proporzionalità, presidiato da copertura costituzionale articolo 42 Cost. e sovranazionale articolo 1 del protocollo addizionale CEDU nella misura in cui appresta una stringente tutela alla proprietà non ammettendo una disciplina della confisca di valore che vedesse fissati i limiti di espropriabilità dei beni in maniera troppo elastica o contrastante con il principio di ragionevolezza o di proporzionalità . 4.2. Ma proprio perché il sequestro del profitto del reato è stato disposto in relazione al solo reato associativo transnazionale non potendo essere applicato con riferimento ai reati fiscali rientranti nel programma criminoso era necessario motivare sull'esistenza dell'associazione ed in particolare sugli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 416 cod.penumero , nonché in ordine alla non ipotizzabilità di un concorso continuato nei reati fiscali. È pacifico che l'associazione per delinquere si caratterizzi per tre fondamentali elementi, costituiti da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione di delitti concretamente programmati, dall'indeterminatezza del programma criminoso che distingue il reato associativo dall'accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, e dall'esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obbiettivi criminosi presi di mira. Cass. sez. 2 numero 16339 del 17/01/2013 . Quanto poi all'elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, secondo la giurisprudenza di questa Corte, esso è individuabile nel carattere dell'accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed incidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati anche nell'ambito di un medesimo disegno criminoso con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati sez. 5 numero 42635 del 04/10/2004 . Sicché si è ritenuto non configurabile il delitto di associazione per delinquere, quando, pur in presenza di plurime condotte delittuose, siano stati predisposti complessi accorgimenti organizzativi al solo fine di perseguire lo scopo crimnoso preventivamente individuato, e non di realizzare una struttura stabile, funzionalmente destinata alla commissione di una serie indeterminata di delitti Sez. 6 numero 19783 del 16/04/2013 . 4.3. Il Tribunale, nonostante i rilievi difensivi, non ha motivato in proposito ovvero lo ha fatto in modo apodittico ed apparente, con conseguente violazione di legge ex articolo 125, comma 3, riconducibile, come si è visto in premessa, alla previsione dell'articolo 325 cod.proc.penumero . Si è limitato, infatti, a far riferimento al meccanismo operativo della frode fiscale ed al coinvolgimento in esso dei vertici della Verbatim oppure a rinviare genericamente ad altri provvedimenti emessi in sede cautelare personale non indicando neppure se tale problematica sia stata in essi affrontata pag. 6 e ss. , senza specificare da quali elementi abbia tratto il convincimento, sia pure in relazione al fumus , dell'esistenza degli elementi costitutivi del reato associativo ovvero della non configurabilità di un concorso continuato nel reato. 5. Ogni altra doglianza rimane assorbita. Va, comunque, rilevato che il Tribunale non ha motivato, compiutamente, neppure in ordine ai numerosi rilievi difensivi riproposti con il terzo motivo di ricorso quanto alla insussistenza, per l'ente, di un profitto ed alla dedotta estraneità di esso alle condotte illecite poste in essere dai propri rappresentanti. Inoltre, il sequestro è stato disposto anche in relazione alla evasione Ires relativa all'anno 2007, pur facendo riferimento l'incolpazione provvisoria ad un reato associativo commesso in epoca compresa tra il 03/10/2007 ed 7/11/2011 . 6. L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli, che si atterrà ai rilievi ed ai principi in precedenza enunciati. Valuterà altresì il Tribunale l'incidenza, sulla disposta misura cautelare reale, della sentenza del G.i.p. del Tribunale di Napoli del 10/07/2015, con la quale nei confronti dei dirigenti della Verbatim s.p.a. è stato dichiarato non luogo a procedere in ordine al reato di cui agli articolo 61 numero 2, 110, 112 cpv. cod.penumero e 8, comma 1, D.L.vo 74/2000, 4 L.146/2006, ascritto al capo 2 della contestazione, perché il fatto non sussiste . P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Napoli.