Istanza di revisione: preliminare una valutazione di non manifesta infondatezza

La verifica dell’ ammissibilità di un’istanza di revisione comporta la preventiva analisi della non manifesta infondatezza degli elementi addotti, dovendosi rimandare la valutazione nel merito degli stessi al giudizio di revisione vero e proprio.

È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 42004/15, depositata il 20 ottobre. Il caso. La Corte d’appello di Milano dichiarava l’inammissibilità dell’istanza di revisione della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Torino, non avendo l’istante prospettato quali fossero le prove nuove, scoperte o sopravvenute dopo la pronuncia. Il condannato ricorreva per cassazione, lamentando carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 630, comma 1, lett. c c.p.p. , ovvero alla valutazione della sussistenza di prove nuove. La revisione è un mezzo di impugnazione straordinaria. La Suprema Corte ha ribadito che l’istituto della revisione non costituisce un’impugnazione tardiva, ma si configura come un mezzo di impugnazione straordinaria. In particolare, tale istituto, rispondendo alla ratio del perseguimento di una giustizia sostanziale, permette il venir meno degli effetti del giudicato in casi tassativamente previsti ed assolutamente eccezionali. L’ammissibilità di un’istanza di revisione, in relazione alla prospettazione di nuove prove, comporta una preventiva valutazione ad opera della Corte d’Appello circa la non manifesta infondatezza degli elementi addotti come nuove prove l’apprezzamento approfondito del merito deve aver luogo in sede di giudizio di revisione, nel rispetto del contraddittorio. Gli Ermellini hanno ritenuto adeguato l’esame posto in essere dalla Corte territoriale e, per le ragioni sopra esposte, hanno dichiarato inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 settembre – 20 ottobre 2015, n. 42004 Presidente Gentile – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 11.02.2015, la Corte d'appello di Milano dichiarava inammissibile l'istanza di revisione della sentenza di condanna emessa dalla Corte d'appello di Torino in data 17.02.2002, irrevocabile in data 22.05.2003 per ritenuta mancata prospettazione, da parte dell'istante, di nuove prove, scoperte o sopravvenute dopo la pronuncia della sentenza di condanna ovvero non valutate nei vari gradi di giudizio. 2. Lamenta il ricorrente la mancanza e/o la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione ed alla sussistenza di prove nuove ex art. 630, comma 1 lett. c cod. proc. pen., nonché l'erronea applicazione di legge. Si censura, in particolare, come la Corte territoriale avesse disatteso il più recente insegnamento della giurisprudenza di legittimità Sez. 6, sent. n. 20022/14 Sez. U, sent. n. 624/2002 secondo cui, ai fini dell'ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purchè non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice . 2.1. Su questo presupposto, assume il ricorrente come non tutti gli elementi proposti nella richiesta di revisione siano stati presi in considerazione ai fini della valutazione del presupposto della non manifesta infondatezza della stessa non vi è infatti nessun riferimento a tutti quegli elementi che non sono stati valutati nella fase di merito, in particolare al ruolo che avrebbe svolto la persona che ha trattenuto le persone offese nel negozio e, soprattutto, al tragitto che hanno raccontato di aver percorso le persone offese, elemento che, in caso di conferma della tesi difensiva, sarebbe stato da solo sufficiente a mettere in dubbio la credibilità delle persone offese e la loro ricostruzione dell'aggressione subita. 2.2. Sotto altro profilo, si censura il giudizio della Corte che nell'escludere valore probatorio alla scritta i colpevoli fuori e gli innocenti dentro , finisce con l'esprimere una valutazione sostanziale non ammessa in questa fase. Considerato in diritto 1. II ricorso è manifestamente infondato e, come tale, va dichiarato inammissibile. 2. Come è noto, l'istituto della revisione non si configura come un'impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo, definitivamente concluso, non è stato rilevato o non è stato dedotto, bensì costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, eccezionalmente e nei casi tassativamente previsti, di rimuovere gli effetti del giudicato dando priorità all'esigenza di giustizia sostanziale, anche a scapito della certezza dei rapporti giuridici. Da tale rilievo consegue che la risoluzione dell'efficacia del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un'inedita disamina del deducibile cfr., Sez. 2, n. 762 del 19/10/2005, Licata, Rv. 232988 in termini Sez. 3, n. 2940 del 20/09/1995, Rossi, Rv. 203112 Sez. 6, n. 18338 del 10/03/2003, Cesarano, Rv. 227242 . La medesima giurisprudenza di legittimità ha affermato al riguardo che, ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla prospettazione di nuove prove, l'esame preliminare della Corte d'appello circa il presupposto della non manifesta infondatezza deve essere limitato ad una sommaria delibazione degli elementi di prova addotti, in modo da verificare l'eventuale sussistenza di un'infondatezza rilevabile ictu oculi e senza necessità di approfonditi esami, dovendosi ritenere preclusa in tale sede una penetrante anticipazione dell'apprezzamento di merito, riservato invece al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2013, dep. 14/05/2014, Di Piazza, Rv. 259779 Sez. 6, n. 2437 del 03/12/2009, dep. 20/01/2010, Rv. 245770 . Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come la Corte territoriale non abbia in alcun modo travalicato i limiti del preliminare esame di ammissibilità - il cui scrutinio non può ritenersi superato - facendo riferimento alla cartolina con la scritta i colpevoli fuori e gli innocenti dentro , peraltro né prodotta, né reperita in originale o in copia e, comunque, anonima e, come tale, priva di qualsivoglia valore probatorio. 5. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00 P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.